20 - 21 giugno 2003
ASTORGA - PONFERRADA
Nel grande dormitorio di Astorga la notte è stata un po’ difficile perché un brasiliano che la sera prima avevo notato che mangiava un mango, la notte ha tenuto svegli quasi tutti. Ad un certo punto mi sono alzata e per svegliarlo ho dovuto strattonargli il ginocchio e fargli prendere anche paura. Quando mi ha guardato sconvolto, mi sono scusata dicendo "No puedo dormir!". Lui ha chiesto scusa, ma dopo poco ha rincominciato.
Il ragazzo spagnolo che ieri mi aveva infastidito per il suo fissarmi di continuo ha passato la notte di qua e di là, mettendo anche il materasso per terra. Ogni volta che mi rigiravo era sempre in un posto diverso e il più delle volte mi fissava. Ho anche pensato che avesse brutte intenzioni, magari infilarmi qualcosa nello zaino, ma era evidente che non riusciva proprio a dormire. Comunque io in fondo devo aver dormito almeno un po' perché non mi sono svegliata distrutta. Solo la solita allergia con naso chiuso e orecchie irritate. Nel primo paesino ci fermiamo al volo a prendere un caffè, nel secondo solo il sello al bar, dato che ormai riempire la credenziale di selli è diventato il mio interesse maggiore.
Arriviamo a El Ganso e troviamo un bar molto particolare, tutto arredato stile western. Che cosa strana per un locale che si trova lungo il camino di Santiago! Ci sediamo nei tavolini fuori e facciamo colazione con un'ottima tortilla. Mentre ci stiamo preparando per ripartire, arriva un pellegrino tedesco, già notato nell'albergue di Astorga per i capelli rossi rossi, il suo sorriso molto gentile e soprattutto per le inseparabili bretelle (tra un po' le teneva anche a letto!).
Mi si avvicina e mi dice tutto serio una frase in tedesco. Dico che non capisco. Prova a dire qualche parola in inglese. Nomina Astorga, l'albergue, e indica proprio me! Che cosa avrò mai fatto ad Astorga? Ho russato? Ma perché è così preoccupato? Capisce che non ci intendiamo, allora tira fuori il suo coltellino (oh, oh…) ed estrae delle minuscole pinzette. Le schiaccia per farmele vedere bene, mi indica e poi fa il cenno indietro, ripetendo Astorga. Aaaah: ho lasciato le mie pinzette in albergue! Ma pensa! Che carino! Lo ringrazio e gli dico che vabbè, le ho dimenticate, ma non c'è problema. Lui alza gli occhi come per ricordare una parola e mi dice: "oro!". Si, è vero, le mie pinzette erano di colore oro, ma lo rassicuro: "no real oro!", "no gold!" Comincia a tranquillizzarsi e a quel punto si siede e ordina una bella birra fresca, finalmente rilassato.
Abbiamo già gli zaini in spalle ed arrivano i tontoloni: anche loro un bel discorso in tedesco fitto fitto per dirmi che ho lasciato le pinzette ad Astorga (il gesto delle dita a mò di pinzetta traduce chiaramente il loro discorso). "Si, si, lo so, no problem, no problem, muchas gracias!", continuo a ripetere e dico alla mamma di affrettarsi per non incombere in ulteriori pellegrini preoccupati.
Camminando sorridiamo e ci compiaciamo della gentilezza di questi pellegrini tedeschi. Ma quanto costeranno un paio di pinzette in Germania? Gli ultimi 7 chilometri per arrivare a Rabanal del Camino sono duri: lungo la strada asfaltata e assolata. Per fortuna ci sono poche macchine e l'umore è abbastanza alto. Dato che gli altri pellegrini ci hanno già superati tutti posso scatenarmi a cantare a squarciagola. L’albergue di Rabanal El Gaucelmo è tenuto da volontari della confraternita inglese di S. Giacomo e apre alle 14.30.Tutti aspettano e c’è una lunga fila di zaini davanti alla porta. In realtà ce ne sarebbe un altro più spartano, già aperto, ma quello degli inglesi è famoso e vale la pena andare lì.
Nell'attesa ci dissetiamo e osserviamo che l'amico "guardone" si prodiga in avance con una ragazza spagnola. Ormai sembrano quasi una coppia e mi sento più sollevata.
Le ospitaliere inglesi sono veramente delle signore: si presentano con il loro nome e chiedono informazioni ad ogni pellegrino, Maddalena prende i dati , Cristina accompagna alla camera e assegna il letto: a chi intende partire al mattino prima delle sei in un settore, gli altri nella parte centrale. Domando loro se conoscono il musical J.C. Superstar e il bellissimo brano di Maddalena , Maddalena non lo conosce ( è giovane ) invece Cristina me lo accenna e canta anche benissimo .L'accoglienza per noi è un po' speciale: Cristina ci accompagna in una piccola stanza con soli due letti a castello. Ci accorgiamo di essere delle privilegiate, quando vediamo che l'unica altra stanza raccoglie tutti gli altri pellegrini.
Non ci allarghiamo pensando che prima o poi arriverà un'altra coppia. Invece saremo così fortunate da avere la stanza tutta per noi. Il rifugio è bello, la cucina ordinata e pulitissima è fornita di tante cose per i pellegrini. Vediamo due sorelle giapponesi. Sembrano stanche morte, nonostante la doccia, e girano di qua e di là, sconvolte, controllando i panni stesi ad asciugare. Cogliamo l'occasione per conoscerle, parlando un timido inglese. Fanno tappe brevi perché camminano lentamente ed evidentemente non sono molto allenate. Riusciamo a dire loro che abbiamo una giapponese in famiglia, anche se in realtà ora la grande famiglia ora è proprio questa: tutti noi pellegrini!
Le poche informazioni scambiate vengono compensate da lunghi e sinceri sorrisi. 21 Giugno
Oggi è il primo giorno d'estate. Farà lo stesso caldo di ieri, spero non di più.
Stanotte mi sono alzata per andare in bagno: c'era un cielo stellato veramente fantastico. Siamo in montagna, il cielo è pulito e completamente ricoperto di stelle.
Dopo mi sono rigirata nel letto, non riuscivo a riaddormentarmi. Però alla fine ho anche fatto uno strano sogno: guardavo una partita di rugby e un ragazzo giovane, Sergio, si faceva male seriamente. Aveva preso un brutto colpo al petto, era sdraiato sul lato del campo ed io lo rassicuravo dicendogli che mi sarei occupata di lui... Verso le 5.30 cominciamo a sentire del movimento. La mamma sta ancora dormendo, perciò aspetto che suoni la sua sveglia.
Ci prepariamo comodamente, con la luce accesa, essendo da sole. Per le 6 siamo pronte e Cristina, l'ospitalera, viene ad aprirci la porta. Un bacino, saluti e via.
Usciamo dal paese su uno sterrato. La pista è buona e si vede bene. Percorriamo il sentiero di montagna e da lontano si sentono delle urla strane. Prima sembra quasi un uccello poi si distingue bene l'ululato di un cane. Mamma mi dice che questo è il punto famoso dei cani randagi e allora comincio a tendere l'orecchio per ascoltare ogni minimo rumore e percepirne la distanza. Per fortuna niente di vicino a noi.
Arriviamo sulla strada asfaltata e veniamo travolte da nuvole di mosche che ci seguono costantemente. All'inizio credo sia dovuto agli abiti che la mamma ha appeso sullo zaino. La convinco a mettere tutto dentro, ma travolgono anche me che non ho niente che possano attirarle.
Alle 7.30 arriviamo al Foncebadon, il villaggio che era stato abbandonato. Ora c'è un albergue e un bar, che però sono ancora chiusi. Attraversiamo il paese e vediamo molte case diroccate, ma alcune ristrutturate con grossi macchinoni parcheggiati davanti.
Riprendiamo lo sterrato e dopo una mezz'oretta siamo alla Cruz de Hierro. C'è un tipo in una roulotte che vende caffè caldo per 1 euro. Mamma dice che l'anno scorso lo stesso tipo era sull'Alto del Perdòn. Ci avrei giurato che qualcuno avrebbe approfittato del posto per tirar su qualche soldo!
I due tedeschi tontoloni ci chiedono di fare una foto ricordo con loro. Dopo anche lo spagnolo gallego ci chiede una foto insieme. Propongo alla mamma di farci pagare!
Mi faccio fare una foto in cima alla Cruz de Hierro e ne approfitto per lasciare la mia boccetta, ancora mezza piena, di Ribes Nigrum, esprimendo il desiderio di lasciare lì, come ricordo, la mia allergia alle graminacee. Speriamo che gradisca il regalo…
A Manjarin incontro un gruppetto di mucche al pascolo: ci sono due vitellini fantastici. Il tempo di fare qualche foto e la mamma mucca comincia a guardarmi male lanciandomi dei "mu" minacciosi. Ochei, ochei, me ne vado.
Mamma entra nel rifugio e ne esce con una piccola zucca come regalo. Che bello! Adesso mi sento un vera pellegrina anch'io.
Io nel frattempo la aspetto di fronte alla famosa insegna con l'indicazione delle distanze: Santiago 222km. Ma come? Nell'albergue di Rabanal c'era scritto Santiago 218km! Insomma, bisognerà che si mettano d'accordo!
Riprendiamo a camminare sull'asfalto e saliamo ancora. Bisogna arrivare all'antenna bianca e rossa per essere veramente in cima. Le mosche per fortuna sono sparite. Abbiamo scoperto che non eravamo le uniche ad esser state scambiate per m… Tutti i pellegrini che erano con noi avevano avuto lo stesso fastidio.
La strada comincia a scendere e siamo su uno sterrato molto ripido con grossi sassi. Bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi. Per fortuna il ginocchio non mi da fastidio.
Arriviamo a El Acebol , dove la via principale ha un pavimento particolare che mamma ricordava: ci sono sassi colorati incastonati nel suolo, così da confondere gli eventuali "ricordini" del passaggio delle mucche. Ci fermiamo a fare colazione e conosciamo due pellegrini ciclisti spagnoli. Uno di loro parla bene l'italiano perché ha già fatto il cammino a piedi con i suoi amici italiani, che sono la sua seconda famiglia. Dice che il pellegrinaggio in bicicletta offre la possibilità di visitare più luoghi e soffermarti di più sui particolari. E' tutta questione di tempo. All'uscita del paese li vediamo fermarsi a raccogliere qualche fiore da mettere su una lapide di ferro a forma di bicicletta, in ricordo di un pellegrino ciclista morto in quel punto.
Stiamo entrando nella regione del Bierzo, famosa per i suoi vini, come la Rioja.
A Riego de Ambros entriamo nell'albergue per riposarci un attimo e farci mettere il sello. Dentro c'è solo un ragazzo che ci guarda ma non ci considera. Prendiamo qualcosa di fresco nella macchinetta e solo quando mi avvicino per mettermi il sello, scopro che il ragazzo è in realtà l'ospitalero. Ci dice che l'albergue ha solo due anni e che lui è fisso, ma in luglio e agosto arrivano dei volontari ad aiutarlo.
Quando usciamo, mi fermo alla fontana per rinfrescarmi il viso. Mi aiuta il tedesco con le bretelle, che mi tiene schiacciato il pulsante mentre io tengo le mani a mò di bacinella. Purtroppo il getto è violento e il risultato è che alla fine siamo entrambi fradici, mentre il viso è ancora asciutto. Per fortuna il sole picchia.
La strada continua su pietre e terra e la discesa è molto ripida. Fa già molto caldo. Ci hanno detto che siamo quasi sui 40 gradi. Alle 13.30 siamo a Molinaseca: all'entrata del paese un signore già stravaccato per la siesta mi incita a proseguire, dicendo che c'è la piscina. Sul ponte romano vedo un sacco di gente che fa il bagno nel fiume. Ecco la piscina! Che bello! Vorrei andarci anch'io ma prima vogliamo raggiungere l'albergue. Purtroppo è alla fine del paese, a 1,5 km perciò dubito che riuscirò a tornare indietro per fare un tuffo.
Chiediamo un'ospitalità per qualche ora perché nel tardo pomeriggio vorremmo proseguire per Ponferrada. L'ospitalero dice che non può lasciarci il letto perché si aspetta che arrivino molti pellegrini. Riusciamo a strappargli il consenso per fare almeno la doccia.
Ci sediamo al tavolino fuori per mangiare e dissetarci. Dopo poco arriva il tedesco con le bretelle, fa delle gran feste all'ospitalero e poi si siede al mio tavolo con una brocca da mezzo litro di birra. Parla solo tedesco ma riesco a intendere alcune cose: si chiama Rudolph e ha già fatto il camino ben 5 volte. Mi fa vedere la sua credenziale e mi dice che quest'anno vuole arrivare fino a Finisterre.
L'attesa è stancante e il caldo spossa sempre di più. Cerchiamo di passare il tempo lavando i sandali, ma quando andiamo riprenderli, asciutti dal sole, la mamma si accorge che i suoi si sono rotti.
Oggi è sabato: chissà se i negozi sono aperti? Ci converrebbe andare subito a Ponferrada finchè abbiamo ancora qualche ora di tempo. Chiediamo ad alcuni pellegrini spagnoli se secondo loro i negozi di scarpe sono aperti al sabato pomeriggio. Ci dicono sicuri di sì. L'ospitalera non lo sa e suo marito sta dormendo. Le due sorelle giapponesi storgono il naso: a loro sembra strano che sia tutto aperto!
Decidiamo di chiamare un taxi e saltare questi 8 km, per risolvere un problema ben più serio. Non si può certo camminare solo con le scarpe, con questo caldo!
Il saluto con le due sorelle giapponesi sembra l'addio di due fidanzati: arriva il taxi, salutiamo con un cenno della mano e le vediamo sbracciarsi, seguirci con lo sguardo mentre il taxi si allontana. Non mi perdonerò mai di non aver scattato loro una foto!
Il taxista dice che il sabato pomeriggio sono aperti solo i supermercati, quindi gli chiediamo di portarci direttamente all'albergue. Quando scendiamo lui chiede alla mamma se vuole che ci porti in un grande magazzino di zapatos. Ma come? Non erano tutti chiusi? Sto per rispondergli male, ma la mamma mi dice di lasciar perdere. Anche l'anno scorso ne ha incontrati di furbi così, che ti fanno fare il giro della città pur di farti spendere dei soldi.
La rassicuro, dicendo che con una buona colla, glieli sistemo io i sandali.
Infatti affidiamo all'ospitalera i nostri zaini e andiamo diritte al supermercato, dove chiedo alla commessa una "colla mui fuerte".
In albergue ci sistemano in una stanza con tre letti a castello. Anche qui le camere sono separate per sesso. E' un'ottima cosa, così con questo caldo possiamo dormire mezze nude!
Dopo una cena a base di minestrina e prosciutto e melone, ci sistemiamo fuori, con i piedi in ammollo nella fontanella.
Vediamo all'opera la volontaria che cura i piedi:davanti a lei c'è una lunga fila di pellegrini che si fa sistemare le vesciche. Lei lancia dei sorrisi smaglianti ma quando prende il piede fra le mani si trasforma: controlla seria la situazione, apre la sua borsa medica e con grande professionalità estrae aghi, disinfettante e cotone. In un attimo il piede è sistemato e sul suo viso ritorna lo splendido sorriso. Non sempre vedi lo stesso nel pellegrino che è appena stato curato, che si allontana con un espressione mista tra la riconoscenza e l'enorme sofferenza. Mi domando se è il caso di farle vedere la mia piccola vescica. Non mi da molta noia, ma preferirei curarla in tempo. Consulto il dizionario tascabile della mamma e cerco come si dice "consiglio". L'intenzione è quella di non andare sotto i ferri, ma di chiedere solamente cosa devo fare. La sua risposta è rapida: allunga le mani e mi afferra il piede. Mi guarda sorridente e mi chiede se sono una donna "fuerte", mentre con una mano apre la sua valigetta. Con la voce tremante rispondo di sì e mi volto come quando vado a fare le analisi del sangue. Se non guardi, non sai quando arriverà il dolore dell'ago. "Vale!" Il piede è sistemato. Non credevo di essere così fuerte: non ho sentito proprio niente.
Dispiaciute per non aver fatto in tempo a dare il nostro contributo alla scultura di legno alla quale erano invitati tutti i pellegrini, io e la mamma ci contentiamo di pulire il terreno dalle scaglie. Si avvicina un ragazzo per ammirare l'opera e la mamma gli chiede se ha partecipato anche lui al lavoro: la sua risposta è fantastica: "Yo soy andalin!"
Nel grande dormitorio di Astorga la notte è stata un po’ difficile perché un brasiliano che la sera prima avevo notato che mangiava un mango, la notte ha tenuto svegli quasi tutti. Ad un certo punto mi sono alzata e per svegliarlo ho dovuto strattonargli il ginocchio e fargli prendere anche paura. Quando mi ha guardato sconvolto, mi sono scusata dicendo "No puedo dormir!". Lui ha chiesto scusa, ma dopo poco ha rincominciato.
Il ragazzo spagnolo che ieri mi aveva infastidito per il suo fissarmi di continuo ha passato la notte di qua e di là, mettendo anche il materasso per terra. Ogni volta che mi rigiravo era sempre in un posto diverso e il più delle volte mi fissava. Ho anche pensato che avesse brutte intenzioni, magari infilarmi qualcosa nello zaino, ma era evidente che non riusciva proprio a dormire. Comunque io in fondo devo aver dormito almeno un po' perché non mi sono svegliata distrutta. Solo la solita allergia con naso chiuso e orecchie irritate. Nel primo paesino ci fermiamo al volo a prendere un caffè, nel secondo solo il sello al bar, dato che ormai riempire la credenziale di selli è diventato il mio interesse maggiore.
Arriviamo a El Ganso e troviamo un bar molto particolare, tutto arredato stile western. Che cosa strana per un locale che si trova lungo il camino di Santiago! Ci sediamo nei tavolini fuori e facciamo colazione con un'ottima tortilla. Mentre ci stiamo preparando per ripartire, arriva un pellegrino tedesco, già notato nell'albergue di Astorga per i capelli rossi rossi, il suo sorriso molto gentile e soprattutto per le inseparabili bretelle (tra un po' le teneva anche a letto!).
Mi si avvicina e mi dice tutto serio una frase in tedesco. Dico che non capisco. Prova a dire qualche parola in inglese. Nomina Astorga, l'albergue, e indica proprio me! Che cosa avrò mai fatto ad Astorga? Ho russato? Ma perché è così preoccupato? Capisce che non ci intendiamo, allora tira fuori il suo coltellino (oh, oh…) ed estrae delle minuscole pinzette. Le schiaccia per farmele vedere bene, mi indica e poi fa il cenno indietro, ripetendo Astorga. Aaaah: ho lasciato le mie pinzette in albergue! Ma pensa! Che carino! Lo ringrazio e gli dico che vabbè, le ho dimenticate, ma non c'è problema. Lui alza gli occhi come per ricordare una parola e mi dice: "oro!". Si, è vero, le mie pinzette erano di colore oro, ma lo rassicuro: "no real oro!", "no gold!" Comincia a tranquillizzarsi e a quel punto si siede e ordina una bella birra fresca, finalmente rilassato.
Abbiamo già gli zaini in spalle ed arrivano i tontoloni: anche loro un bel discorso in tedesco fitto fitto per dirmi che ho lasciato le pinzette ad Astorga (il gesto delle dita a mò di pinzetta traduce chiaramente il loro discorso). "Si, si, lo so, no problem, no problem, muchas gracias!", continuo a ripetere e dico alla mamma di affrettarsi per non incombere in ulteriori pellegrini preoccupati.
Camminando sorridiamo e ci compiaciamo della gentilezza di questi pellegrini tedeschi. Ma quanto costeranno un paio di pinzette in Germania? Gli ultimi 7 chilometri per arrivare a Rabanal del Camino sono duri: lungo la strada asfaltata e assolata. Per fortuna ci sono poche macchine e l'umore è abbastanza alto. Dato che gli altri pellegrini ci hanno già superati tutti posso scatenarmi a cantare a squarciagola. L’albergue di Rabanal El Gaucelmo è tenuto da volontari della confraternita inglese di S. Giacomo e apre alle 14.30.Tutti aspettano e c’è una lunga fila di zaini davanti alla porta. In realtà ce ne sarebbe un altro più spartano, già aperto, ma quello degli inglesi è famoso e vale la pena andare lì.
Nell'attesa ci dissetiamo e osserviamo che l'amico "guardone" si prodiga in avance con una ragazza spagnola. Ormai sembrano quasi una coppia e mi sento più sollevata.
Le ospitaliere inglesi sono veramente delle signore: si presentano con il loro nome e chiedono informazioni ad ogni pellegrino, Maddalena prende i dati , Cristina accompagna alla camera e assegna il letto: a chi intende partire al mattino prima delle sei in un settore, gli altri nella parte centrale. Domando loro se conoscono il musical J.C. Superstar e il bellissimo brano di Maddalena , Maddalena non lo conosce ( è giovane ) invece Cristina me lo accenna e canta anche benissimo .L'accoglienza per noi è un po' speciale: Cristina ci accompagna in una piccola stanza con soli due letti a castello. Ci accorgiamo di essere delle privilegiate, quando vediamo che l'unica altra stanza raccoglie tutti gli altri pellegrini.
Non ci allarghiamo pensando che prima o poi arriverà un'altra coppia. Invece saremo così fortunate da avere la stanza tutta per noi. Il rifugio è bello, la cucina ordinata e pulitissima è fornita di tante cose per i pellegrini. Vediamo due sorelle giapponesi. Sembrano stanche morte, nonostante la doccia, e girano di qua e di là, sconvolte, controllando i panni stesi ad asciugare. Cogliamo l'occasione per conoscerle, parlando un timido inglese. Fanno tappe brevi perché camminano lentamente ed evidentemente non sono molto allenate. Riusciamo a dire loro che abbiamo una giapponese in famiglia, anche se in realtà ora la grande famiglia ora è proprio questa: tutti noi pellegrini!
Le poche informazioni scambiate vengono compensate da lunghi e sinceri sorrisi. 21 Giugno
Oggi è il primo giorno d'estate. Farà lo stesso caldo di ieri, spero non di più.
Stanotte mi sono alzata per andare in bagno: c'era un cielo stellato veramente fantastico. Siamo in montagna, il cielo è pulito e completamente ricoperto di stelle.
Dopo mi sono rigirata nel letto, non riuscivo a riaddormentarmi. Però alla fine ho anche fatto uno strano sogno: guardavo una partita di rugby e un ragazzo giovane, Sergio, si faceva male seriamente. Aveva preso un brutto colpo al petto, era sdraiato sul lato del campo ed io lo rassicuravo dicendogli che mi sarei occupata di lui... Verso le 5.30 cominciamo a sentire del movimento. La mamma sta ancora dormendo, perciò aspetto che suoni la sua sveglia.
Ci prepariamo comodamente, con la luce accesa, essendo da sole. Per le 6 siamo pronte e Cristina, l'ospitalera, viene ad aprirci la porta. Un bacino, saluti e via.
Usciamo dal paese su uno sterrato. La pista è buona e si vede bene. Percorriamo il sentiero di montagna e da lontano si sentono delle urla strane. Prima sembra quasi un uccello poi si distingue bene l'ululato di un cane. Mamma mi dice che questo è il punto famoso dei cani randagi e allora comincio a tendere l'orecchio per ascoltare ogni minimo rumore e percepirne la distanza. Per fortuna niente di vicino a noi.
Arriviamo sulla strada asfaltata e veniamo travolte da nuvole di mosche che ci seguono costantemente. All'inizio credo sia dovuto agli abiti che la mamma ha appeso sullo zaino. La convinco a mettere tutto dentro, ma travolgono anche me che non ho niente che possano attirarle.
Alle 7.30 arriviamo al Foncebadon, il villaggio che era stato abbandonato. Ora c'è un albergue e un bar, che però sono ancora chiusi. Attraversiamo il paese e vediamo molte case diroccate, ma alcune ristrutturate con grossi macchinoni parcheggiati davanti.
Riprendiamo lo sterrato e dopo una mezz'oretta siamo alla Cruz de Hierro. C'è un tipo in una roulotte che vende caffè caldo per 1 euro. Mamma dice che l'anno scorso lo stesso tipo era sull'Alto del Perdòn. Ci avrei giurato che qualcuno avrebbe approfittato del posto per tirar su qualche soldo!
I due tedeschi tontoloni ci chiedono di fare una foto ricordo con loro. Dopo anche lo spagnolo gallego ci chiede una foto insieme. Propongo alla mamma di farci pagare!
Mi faccio fare una foto in cima alla Cruz de Hierro e ne approfitto per lasciare la mia boccetta, ancora mezza piena, di Ribes Nigrum, esprimendo il desiderio di lasciare lì, come ricordo, la mia allergia alle graminacee. Speriamo che gradisca il regalo…
A Manjarin incontro un gruppetto di mucche al pascolo: ci sono due vitellini fantastici. Il tempo di fare qualche foto e la mamma mucca comincia a guardarmi male lanciandomi dei "mu" minacciosi. Ochei, ochei, me ne vado.
Mamma entra nel rifugio e ne esce con una piccola zucca come regalo. Che bello! Adesso mi sento un vera pellegrina anch'io.
Io nel frattempo la aspetto di fronte alla famosa insegna con l'indicazione delle distanze: Santiago 222km. Ma come? Nell'albergue di Rabanal c'era scritto Santiago 218km! Insomma, bisognerà che si mettano d'accordo!
Riprendiamo a camminare sull'asfalto e saliamo ancora. Bisogna arrivare all'antenna bianca e rossa per essere veramente in cima. Le mosche per fortuna sono sparite. Abbiamo scoperto che non eravamo le uniche ad esser state scambiate per m… Tutti i pellegrini che erano con noi avevano avuto lo stesso fastidio.
La strada comincia a scendere e siamo su uno sterrato molto ripido con grossi sassi. Bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi. Per fortuna il ginocchio non mi da fastidio.
Arriviamo a El Acebol , dove la via principale ha un pavimento particolare che mamma ricordava: ci sono sassi colorati incastonati nel suolo, così da confondere gli eventuali "ricordini" del passaggio delle mucche. Ci fermiamo a fare colazione e conosciamo due pellegrini ciclisti spagnoli. Uno di loro parla bene l'italiano perché ha già fatto il cammino a piedi con i suoi amici italiani, che sono la sua seconda famiglia. Dice che il pellegrinaggio in bicicletta offre la possibilità di visitare più luoghi e soffermarti di più sui particolari. E' tutta questione di tempo. All'uscita del paese li vediamo fermarsi a raccogliere qualche fiore da mettere su una lapide di ferro a forma di bicicletta, in ricordo di un pellegrino ciclista morto in quel punto.
Stiamo entrando nella regione del Bierzo, famosa per i suoi vini, come la Rioja.
A Riego de Ambros entriamo nell'albergue per riposarci un attimo e farci mettere il sello. Dentro c'è solo un ragazzo che ci guarda ma non ci considera. Prendiamo qualcosa di fresco nella macchinetta e solo quando mi avvicino per mettermi il sello, scopro che il ragazzo è in realtà l'ospitalero. Ci dice che l'albergue ha solo due anni e che lui è fisso, ma in luglio e agosto arrivano dei volontari ad aiutarlo.
Quando usciamo, mi fermo alla fontana per rinfrescarmi il viso. Mi aiuta il tedesco con le bretelle, che mi tiene schiacciato il pulsante mentre io tengo le mani a mò di bacinella. Purtroppo il getto è violento e il risultato è che alla fine siamo entrambi fradici, mentre il viso è ancora asciutto. Per fortuna il sole picchia.
La strada continua su pietre e terra e la discesa è molto ripida. Fa già molto caldo. Ci hanno detto che siamo quasi sui 40 gradi. Alle 13.30 siamo a Molinaseca: all'entrata del paese un signore già stravaccato per la siesta mi incita a proseguire, dicendo che c'è la piscina. Sul ponte romano vedo un sacco di gente che fa il bagno nel fiume. Ecco la piscina! Che bello! Vorrei andarci anch'io ma prima vogliamo raggiungere l'albergue. Purtroppo è alla fine del paese, a 1,5 km perciò dubito che riuscirò a tornare indietro per fare un tuffo.
Chiediamo un'ospitalità per qualche ora perché nel tardo pomeriggio vorremmo proseguire per Ponferrada. L'ospitalero dice che non può lasciarci il letto perché si aspetta che arrivino molti pellegrini. Riusciamo a strappargli il consenso per fare almeno la doccia.
Ci sediamo al tavolino fuori per mangiare e dissetarci. Dopo poco arriva il tedesco con le bretelle, fa delle gran feste all'ospitalero e poi si siede al mio tavolo con una brocca da mezzo litro di birra. Parla solo tedesco ma riesco a intendere alcune cose: si chiama Rudolph e ha già fatto il camino ben 5 volte. Mi fa vedere la sua credenziale e mi dice che quest'anno vuole arrivare fino a Finisterre.
L'attesa è stancante e il caldo spossa sempre di più. Cerchiamo di passare il tempo lavando i sandali, ma quando andiamo riprenderli, asciutti dal sole, la mamma si accorge che i suoi si sono rotti.
Oggi è sabato: chissà se i negozi sono aperti? Ci converrebbe andare subito a Ponferrada finchè abbiamo ancora qualche ora di tempo. Chiediamo ad alcuni pellegrini spagnoli se secondo loro i negozi di scarpe sono aperti al sabato pomeriggio. Ci dicono sicuri di sì. L'ospitalera non lo sa e suo marito sta dormendo. Le due sorelle giapponesi storgono il naso: a loro sembra strano che sia tutto aperto!
Decidiamo di chiamare un taxi e saltare questi 8 km, per risolvere un problema ben più serio. Non si può certo camminare solo con le scarpe, con questo caldo!
Il saluto con le due sorelle giapponesi sembra l'addio di due fidanzati: arriva il taxi, salutiamo con un cenno della mano e le vediamo sbracciarsi, seguirci con lo sguardo mentre il taxi si allontana. Non mi perdonerò mai di non aver scattato loro una foto!
Il taxista dice che il sabato pomeriggio sono aperti solo i supermercati, quindi gli chiediamo di portarci direttamente all'albergue. Quando scendiamo lui chiede alla mamma se vuole che ci porti in un grande magazzino di zapatos. Ma come? Non erano tutti chiusi? Sto per rispondergli male, ma la mamma mi dice di lasciar perdere. Anche l'anno scorso ne ha incontrati di furbi così, che ti fanno fare il giro della città pur di farti spendere dei soldi.
La rassicuro, dicendo che con una buona colla, glieli sistemo io i sandali.
Infatti affidiamo all'ospitalera i nostri zaini e andiamo diritte al supermercato, dove chiedo alla commessa una "colla mui fuerte".
In albergue ci sistemano in una stanza con tre letti a castello. Anche qui le camere sono separate per sesso. E' un'ottima cosa, così con questo caldo possiamo dormire mezze nude!
Dopo una cena a base di minestrina e prosciutto e melone, ci sistemiamo fuori, con i piedi in ammollo nella fontanella.
Vediamo all'opera la volontaria che cura i piedi:davanti a lei c'è una lunga fila di pellegrini che si fa sistemare le vesciche. Lei lancia dei sorrisi smaglianti ma quando prende il piede fra le mani si trasforma: controlla seria la situazione, apre la sua borsa medica e con grande professionalità estrae aghi, disinfettante e cotone. In un attimo il piede è sistemato e sul suo viso ritorna lo splendido sorriso. Non sempre vedi lo stesso nel pellegrino che è appena stato curato, che si allontana con un espressione mista tra la riconoscenza e l'enorme sofferenza. Mi domando se è il caso di farle vedere la mia piccola vescica. Non mi da molta noia, ma preferirei curarla in tempo. Consulto il dizionario tascabile della mamma e cerco come si dice "consiglio". L'intenzione è quella di non andare sotto i ferri, ma di chiedere solamente cosa devo fare. La sua risposta è rapida: allunga le mani e mi afferra il piede. Mi guarda sorridente e mi chiede se sono una donna "fuerte", mentre con una mano apre la sua valigetta. Con la voce tremante rispondo di sì e mi volto come quando vado a fare le analisi del sangue. Se non guardi, non sai quando arriverà il dolore dell'ago. "Vale!" Il piede è sistemato. Non credevo di essere così fuerte: non ho sentito proprio niente.
Dispiaciute per non aver fatto in tempo a dare il nostro contributo alla scultura di legno alla quale erano invitati tutti i pellegrini, io e la mamma ci contentiamo di pulire il terreno dalle scaglie. Si avvicina un ragazzo per ammirare l'opera e la mamma gli chiede se ha partecipato anche lui al lavoro: la sua risposta è fantastica: "Yo soy andalin!"