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Il custode
Il custode dei cammini è
l'Arcangelo Michele
Questa figura citata nell’ Apocalisse che fa la sua prima apparizione nel libro di Daniele della Bibbia ebraica ‘Daniele 12,1’, assolve in sé il simbolo della protezione come principe e custode del popolo eletto.
Ruolo continua ad esercitare nella sua presenza nelle chiese, nei santuari, nei monasteri e nelle torri che sono a lui dedicati soprattutto in quelli che si trovano in luoghi che occupano posizioni strategiche di confine, di vedetta, di controllo.
Questi luoghi sono nati da leggende da racconti di miracoli che li hanno resi a loro volta mete di culto, e di interesse culturale e turistico. Il culto micaelico che già nel mondo pagano era presente in una analoga divinità, è stato portato dai Celti sulla costa della Normandia, diffuso rapidamente nel mondo Longobardo, nello Stato Carolingio e nell’Impero Romano.
E’ rappresentato da un angelo come figura con le ali, armata di spada che s’impone sulla testa del demonio, evocando la forza, il controllo del bene sul male.
Molte opere d’arte lo hanno avuto come soggetto; con il pittore bolognese Guido Reni il grande dipinto ad olio su seta che si trova a Roma nella chiesa di Santa Maria Immacolata Concezione, ha conquistato il titolo di essere il perfetto ideale di bellezza
Ruolo continua ad esercitare nella sua presenza nelle chiese, nei santuari, nei monasteri e nelle torri che sono a lui dedicati soprattutto in quelli che si trovano in luoghi che occupano posizioni strategiche di confine, di vedetta, di controllo.
Questi luoghi sono nati da leggende da racconti di miracoli che li hanno resi a loro volta mete di culto, e di interesse culturale e turistico. Il culto micaelico che già nel mondo pagano era presente in una analoga divinità, è stato portato dai Celti sulla costa della Normandia, diffuso rapidamente nel mondo Longobardo, nello Stato Carolingio e nell’Impero Romano.
E’ rappresentato da un angelo come figura con le ali, armata di spada che s’impone sulla testa del demonio, evocando la forza, il controllo del bene sul male.
Molte opere d’arte lo hanno avuto come soggetto; con il pittore bolognese Guido Reni il grande dipinto ad olio su seta che si trova a Roma nella chiesa di Santa Maria Immacolata Concezione, ha conquistato il titolo di essere il perfetto ideale di bellezza
Lucca
La chiesa di San Michele si trova nel centro storico dove era l’area dell’antico foro romano per questo sin dal 795 veniva chiamata ‘ ad Foro ‘. La chiesa attuale fu costruita per volontà del papa Alessandro II nel 1079.
La facciata della chiesa è alta quattro metri, ricca di quattro ordini di logge sopra le quali è posta la statua di marmo dell’ Arcangelo Michele con ali e lamine metalliche e un diamante che brilla sul dito
La chiesa di San Michele si trova nel centro storico dove era l’area dell’antico foro romano per questo sin dal 795 veniva chiamata ‘ ad Foro ‘. La chiesa attuale fu costruita per volontà del papa Alessandro II nel 1079.
La facciata della chiesa è alta quattro metri, ricca di quattro ordini di logge sopra le quali è posta la statua di marmo dell’ Arcangelo Michele con ali e lamine metalliche e un diamante che brilla sul dito
Michael
In Irlanda, dalle coste della contea di Kerry è consentito una volta al giorno a 10 imbarcazioni di salpare con un massimo di 12 persone a bordo verso due isolotti che si trovano a 11 km al largo di Capo Bolo. Sono le Skellig Islands delle quali la più grande, la Michael, dal 1996 è entrata nel prezioso novero del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. L'isola è dedicata all’Arcangelo Michele, come lo sono i più famosi santuari di St Michael’s Mount in Cornovaglia, Mont Saint Michel in Normandia, la Sacra di San Michele e Monte Sant’Angelo in Italia. Questo luogo che ha la fortuna di essere così protetto, ci può raccontare di una comunità di monaci cristiani che nel VI secolo lo scelsero per dedicarsi ad una vita rigorosa e ascetica.
Anche oggi il luogo rimane sotto un’aura di rigore preservando una riserva naturale dove si possono avvistare le procellarie, le sule e pellicani tridattili e dove in maggio i pulcinella escono da una tana per deporre il loro uovo vicino alla riva e si posizionano in guardia e protezione.
Il complesso monastico che si trova in cima all’isola si raggiunge salendo 600 scalini ricavati dalla roccia a circa 150 metri sul mare; è formato da una chiesa, un oratorio, delle celle ad alveare e un sotterraneo. La chiesa è di forma rettangolare, nata di piccole proporzione e successivamente ampliata con grandi blocchi di arenaria, in origine era coperta da un tetto in legno. Le capanne di roccia di ardesia hanno esteriormente una forma rotonda ma all’interno sono rettangolari. Il dirupo roccioso più alto è chiamato ‘ Cruna dell’ago ‘ ed è un oratorio oggi non accessibile, ma in passato ha rappresentato una ambita meta di pellegrinaggio. Al loro tempo alcuni monaci ogni giorno scendevano al mare per procurarsi il pesce e le uova dei volatili mentre altri curavano dei piccoli orti rivolti verso sud, riparati dal vento dell’oceano, che ancora oggi sono individuabili. Una cisterna era la riserva dell’acqua piovana.
La fondazione del monastero viene attribuita a San Fionan, il santo di Kerry, oppure da monaci copti fuggiti dalle persecuzioni romane e bizantine nel 6° secolo. Riferimenti storici riguardano anche il re di Munster che si rifugiò nell’isola per sfuggire al re di Cashel. Si narra inoltre che il vichingo Olaf Trygvasson, futuro re di Norvegia, onorato poi come San Olaf, nel 993 sia stato battezzato proprio da un monaco eremita su Skellig Michael.Pur avendo superato diverse razzie dai vichinghi la vita del monastero è durata fino al 12° secolo, ma allora la comunità non poté più sostenere le difficoltà climatiche sempre più grandi che si manifestavano nel luogo.
Nel 16° l’isola era diventata una località ricercata per celebrare matrimoni durante la quaresima. Oggi i visitatori non sono sempre ammessi e possono trattenersi solo due ore mantenendo l’ attenzione alla protezione dell’ambiente.
In Irlanda, dalle coste della contea di Kerry è consentito una volta al giorno a 10 imbarcazioni di salpare con un massimo di 12 persone a bordo verso due isolotti che si trovano a 11 km al largo di Capo Bolo. Sono le Skellig Islands delle quali la più grande, la Michael, dal 1996 è entrata nel prezioso novero del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. L'isola è dedicata all’Arcangelo Michele, come lo sono i più famosi santuari di St Michael’s Mount in Cornovaglia, Mont Saint Michel in Normandia, la Sacra di San Michele e Monte Sant’Angelo in Italia. Questo luogo che ha la fortuna di essere così protetto, ci può raccontare di una comunità di monaci cristiani che nel VI secolo lo scelsero per dedicarsi ad una vita rigorosa e ascetica.
Anche oggi il luogo rimane sotto un’aura di rigore preservando una riserva naturale dove si possono avvistare le procellarie, le sule e pellicani tridattili e dove in maggio i pulcinella escono da una tana per deporre il loro uovo vicino alla riva e si posizionano in guardia e protezione.
Il complesso monastico che si trova in cima all’isola si raggiunge salendo 600 scalini ricavati dalla roccia a circa 150 metri sul mare; è formato da una chiesa, un oratorio, delle celle ad alveare e un sotterraneo. La chiesa è di forma rettangolare, nata di piccole proporzione e successivamente ampliata con grandi blocchi di arenaria, in origine era coperta da un tetto in legno. Le capanne di roccia di ardesia hanno esteriormente una forma rotonda ma all’interno sono rettangolari. Il dirupo roccioso più alto è chiamato ‘ Cruna dell’ago ‘ ed è un oratorio oggi non accessibile, ma in passato ha rappresentato una ambita meta di pellegrinaggio. Al loro tempo alcuni monaci ogni giorno scendevano al mare per procurarsi il pesce e le uova dei volatili mentre altri curavano dei piccoli orti rivolti verso sud, riparati dal vento dell’oceano, che ancora oggi sono individuabili. Una cisterna era la riserva dell’acqua piovana.
La fondazione del monastero viene attribuita a San Fionan, il santo di Kerry, oppure da monaci copti fuggiti dalle persecuzioni romane e bizantine nel 6° secolo. Riferimenti storici riguardano anche il re di Munster che si rifugiò nell’isola per sfuggire al re di Cashel. Si narra inoltre che il vichingo Olaf Trygvasson, futuro re di Norvegia, onorato poi come San Olaf, nel 993 sia stato battezzato proprio da un monaco eremita su Skellig Michael.Pur avendo superato diverse razzie dai vichinghi la vita del monastero è durata fino al 12° secolo, ma allora la comunità non poté più sostenere le difficoltà climatiche sempre più grandi che si manifestavano nel luogo.
Nel 16° l’isola era diventata una località ricercata per celebrare matrimoni durante la quaresima. Oggi i visitatori non sono sempre ammessi e possono trattenersi solo due ore mantenendo l’ attenzione alla protezione dell’ambiente.
Passando in Inghilterra nella contea di Somerset possiamo trovare in un’altra isola uno dei luoghi più antichi di culto michelico. E’ Tor di Glastongury oggi al culmine di una collina al centro di quella pianura che una volta era un isola collegata alla terraferma con una sottile lingua di terra. Una leggenda racconta che prima di essere dedicato a Michele, questo luogo era sacro per avere visto l’arrivo di Giuseppe d’Arimatea nel I secdopo
Cristo come fondatore della cristianità britannica e custode del Santo Grall. Della
chiesa di San Michele sulla collina di Tor rimane oggi solo il campanile. Sul
lato frontale una delle iscrizioni mostra il diavolo intento a pesare l’anima di un uomo. Da questa torre gli appassionati
di ricerche simboliche esoteriche vogliono vedere una St.Michael Line che la collega,
al Saint Michael Mount in Cornovaglia.
Saint Michael Mount in Cornovaglia
L’ antico monastero che ancora rimane in una baia di fronte alla cittadina di Marazon , nel 1050 fu donato ai monaci benedettini dell’altro famoso Mont Saint-Michel in Francia perché vi costruissero un'abbazia. Ebbe la sua funzione di protezione simbolica e fu richiamo di tanti pellegrini fino al XVI secolo quando diventando una fortezza passò ad una protezione pratica.
L’ antico monastero che ancora rimane in una baia di fronte alla cittadina di Marazon , nel 1050 fu donato ai monaci benedettini dell’altro famoso Mont Saint-Michel in Francia perché vi costruissero un'abbazia. Ebbe la sua funzione di protezione simbolica e fu richiamo di tanti pellegrini fino al XVI secolo quando diventando una fortezza passò ad una protezione pratica.
Mont Sain Michel in Normandia
Ma un’altra linea micaelica viene considerata partendo dal santuario della Normandia, il Mont Sain Michel , a Monte Sant’Angelo sul promontorio del Gargano passando per la sacra di San Michele Arcangelo in Val di Susa.
Preceduti da leggende e storie di miracoli questi luoghi sono sostenuti da una grande devozione e si sono creati cammini veri e propri di pellegrinaggio anche oggi molto frequentati. Il santuario della Normandia fu fondato dal vescovo d’ Avranches nel 706 dopo tre apparizioni successive dell’Arcangelo.Era un luogo già dedicato alla preghiera dato che si dice che già nel 590 San Colombano nel suo cammino di evangelizzatore dall’Irlanda per l’Europa fino a Bobbio vi aveva fatto sosta.
Ma un’altra linea micaelica viene considerata partendo dal santuario della Normandia, il Mont Sain Michel , a Monte Sant’Angelo sul promontorio del Gargano passando per la sacra di San Michele Arcangelo in Val di Susa.
Preceduti da leggende e storie di miracoli questi luoghi sono sostenuti da una grande devozione e si sono creati cammini veri e propri di pellegrinaggio anche oggi molto frequentati. Il santuario della Normandia fu fondato dal vescovo d’ Avranches nel 706 dopo tre apparizioni successive dell’Arcangelo.Era un luogo già dedicato alla preghiera dato che si dice che già nel 590 San Colombano nel suo cammino di evangelizzatore dall’Irlanda per l’Europa fino a Bobbio vi aveva fatto sosta.
Ma il primo di tutti questi santuari è quello sul
Gargano in
provincia di Foggia. Fu costruito nel XIII secolo da Carlo I d'Angiò, ma la struttura racchiude una cella che in origine, nel
490, era la grotta dove avvenne l’eccezionale evento: una freccia che invece di colpire il suo bersaglio, devio
e tornò indietro ferendo chi l’aveva scoccata. Se questi monasteri
rappresentano mete importanti di pellegrinaggio, altrettanti e numerosi e
bellissimi luoghi dedicati al culto di San Michele si trovano su altre vie di
pellegrinaggio, come la Via Francigena e il Cammino di Santiago.Meriterebbero
descrizioni mirate oltre alla Sacra di San Michele, a Lucca la chiesa situata
al centro dell’antico foro della città romana intitolata a San Michele
nell’VIII secolo che ebbe anch’essa un
monastero e un ospedale, e quella di Pavia un capolavoro in stile romanico
lombardo, nata da un nucleo creato dai monaci di San Colombano
Sul Cammino di Santiago nel comune di Aiguilhe ,
a nord della città di Le Puy en Velay
uno dei primi pellegrini volle erigere un oratorio
in cima ad un camino di lava di un vulvano spento.
Il vescovo Godescalco la dedicò a San Michele nel 952.
La cella iniziale venne via via ingrandita fino
ad occupare tutto la spazio possibile sulla roccia
che si trova a 82 metri sopra la città .
Roma Castel Sant'Angelo
Dobbiamo infine ricordare CastelSant’Angelo che, nato come sepolcro dell’imperatore Adriano e trasformato in fortezza al tempo della guerra gotico-bizantina, nel XII secolo diventa un castello dedicato a Michele Arcangelo a protezione del papa e della città.
Dobbiamo infine ricordare CastelSant’Angelo che, nato come sepolcro dell’imperatore Adriano e trasformato in fortezza al tempo della guerra gotico-bizantina, nel XII secolo diventa un castello dedicato a Michele Arcangelo a protezione del papa e della città.
Pellegrini a Bruxelles
Ai numerosi turisti che ogni anno si recano a Bruxelles la città offre un’ampia serie di proposte per far conoscere la propria storia, l’arte, i costumi, il territorio. Per soddisfare le molteplici esigenze dei visitatori, i promotori turistici predispongono progetti su temi vari, come visite ai musei, scavi, complessi architettonici, urbanistici, insediamenti umani, e molto altro. E in questa lunga serie di proposte vi è stato inserito anche un itinerario per i pellegrini e quanti si interessano al tema dei pellegrinaggi.
Attraverso la città di Bruxelles passava infatti la via che percorrevano viandanti e pellegrini che provenienti dai territori a nord di Bruxelles andavano verso il Sud dell’Europa. I pellegrini si recavano a Roma a visitare la tomba di Pietro e il Santo Sepolcro a Gerusalemme. Successivamente, dopo la scoperta della tomba di San Giacomo nel IX secolo, iniziarono anche i pellegrinaggi a Santiago de Compostela.
E da allora, con varie interruzioni più o meno lunghe dovute a variazioni politiche, a guerre, a condizioni climatiche, e altro, il flusso dei pellegrini non è mai cessato. Anche ai nostri giorni, come ci raccontano amici ospitalieri che fanno servizio sulle vie di pellegrinaggio, sono diversi i pellegrini che dal nord d’Europa si recano a piedi a Santiago de Compostela, a Roma, a Gerusalemme e in altri luoghi di culto esistenti in varie parti d’Europa.
Nel tempo, la via per l’attraversamento della città di Bruxelles ha subito varie deviazioni per lasciare spazio a nuove costruzioni resesi necessarie per l’aumento della popolazione. Specialmente in epoca moderna e contemporanea la città si è notevolmente ingrandita: sono sorti nuovi quartieri grandi palazzi, larghe strade e piazze che occupano grandi spazi. E ciò, purtroppo, è anche stato causa della demolizione di antichi insediamenti tipici ricchi di storia. Questi sconvolgimenti urbanistici hanno determinato molti cambiamenti a quello che era l’antico cammino per l’attraversamento della città.
Sulla base di ricerche storiche è stato predisposto il possibile tragitto che facevano i pellegrini del Medio Evo attraverso il territorio di Bruxelles da Nord a Sud. Nella città l’itinerario è stato segnato con una cinquantina di conchiglie di bronzo incastonate nella sede stradale. Sulle facciate di alcuni edifici e chiese che si incontrano durante la visita, si trovano scolpiti bastoni, conchiglie e bisacce a testimoniare che da lì passava la via dei pellegrini.L’itinerario proposto inizia dal punto dove i pellegrini entravano nella città di Bruxelles, dalla -Porta di Lovanio, Place Madou, e termina a Porte del Hal passando per la Grand Place, il quartiere di San Giacomo, il quartiere di Marolles. Una deviazione porta alla Collegiata di San Pietro e San Guido ad Anderlecht.
Dopo la partenza da Place Madou la prima visita è prevista alla cattedrale San Michele e Santa Gudula. La Chiesa che risale all’anno 1000, e fu in seguito più volte modificata e ampliata, si presenta oggi con diversi stili. Gli ultimi interventi risalgono al XX secolo. All’interno della cattedrale una serie di statue fra cui San Giacomo con i simboli del pellegrino, bastone,zucca e cappello. C’è inoltre un bel pulpito barocco, bellissime vetrate e molti dipinti. Solo nel 1961 l’edificio è stato elevato al rango di cattedrale.
Proseguendo il cammino sulla Rue de la Montagne si giunge in Rue de la Madeleine dove si trova Chiesa si Santa Maria Maddalena del XV secolo eretta su una precedente chiesa del 1200. La chiesa fu restaurata nel 1956-58 e in quella occasione vi fu aggiunta l’antica Cappella di San’Anna.
La prossima tappa è alla Gran Place dove si giunge seguendo l’indicazione di una conchiglia sulla pavimentazione. La piazza, Patrimonio dell’Umanità, ritenuta una delle più belle del mondo, è’ circondata da splendidi palazzi di cui alcuni risalgono al XV – XVI secolo. L’Hotel de la Ville- Palazzo del Comune, iniziato nel 1400 è stato successivamente ampliato e riccamente decorato con pinnacoli baldacchini e statue. Sul palazzo svetta la torre di 96 metri costruita nel 1450 che costituisce uno dei capolavori dell’architettura gotica e che si è guadagnata l’appellativo di “Tour Inimitable”. C’è il palazzo La Casa del Re, che fino XII secolo era un edificio in legno, e nel del 1500 venne costruito in pietra. Ci sono poi le Case delle Corporazioni, una serie di palazzi a schiera costruiti nei secoli successivi.
Il cammino prosegue nel cuore del Quartiere San Giacomo in Rue Marché du Charbon, (nome attribuito per il commercio del carbone e dell’acciaio che si svolgeva in quella zona) per giungere alla Chiesa barocca Notre Dame del Buon Soccorso (XVII Secolo) All’interno della chiesa un altare dedicato a San Giacomo. Nelle vicinanze della chiesa si trovava l’ostello per pellegrini Saint Jaques d’Overmolen, fondato nel 1328, poi demolito. Nella facciata della chiesa vi sono scolpiti simboli di riconoscimento dei pellegrini, cappello, bastone, bisaccia, nonché una stella gialla su fondo blu che indica la direzione verso Santiago del Compostela. Era questo un punto importante di passaggio e di sosta per pellegrini diretti a Roma e Santiago.
A partire dalla Chiesa Notre Dame del Buon Soccorso, i pellegrini che desiderano visitare la collegiata di San Pietro e San Guido possono optare per la variante che porta ad Anderlecht .
Proseguendo il nostro itinerario si giunge nel quartiere di Marolles alla Chiesa di Notre Dame de la Chapelle, già citata in un documento del 1134. La chiesa custodisce una statua di San Giacomo dono della Galizia dell’anno 1992. Il sabato di Pentecoste diverse associazioni portano in processione le loro statue di San Giacomo nelle chiese di Notre Dame del Buon Soccorso e di Notre Dame de la Chapelle per far rivivere la vecchia pratica devozionale soppressa nel XVIII secolo. Non lontano dalla Chiesa di Notre Dame de la Chapelle esistevano gli hospitale di Saint Julien, l’hospitale di San Ghislain dove i pellegrini potevano alloggiare.
Si giunge infine alla Porte de Hal, ancora esistente. Al lato della porta una grande scultura in granito rosa, opera dello scultore spagnolo M.Paz dono della Giunta Galizia, saluta i pellegrini che hanno attraversato la città di Bruxelles.
A Santiago mancano ancora duemila chilometri.
Vera Biagioni
I tendini del pellegrino
di Luciano Mazzucco *
La prima volta che feci il Cammino di Santiago ebbi qualche difficoltà nel camminare e questo procurò dei limiti al mio andare, nonostante la forte motivazione interiore per questa esperienza tanto attesa quanto forte. Una tendinite alla gamba mi costrinse a camminare piano ed in modo incostante, a partire molto presto la mattina ed arrivare tardi rispetto ai miei programmi. Superai il problema sul momento con abbondanti dosi di gel antiinfiammatorio e sopratutto con la determinazione ad andare avanti. Decisi che era meglio continuare in questa esperienza e fu la scelta giusta perché piano piano le mie gambe si abituarono ad un impegno così inusuale, tanti chilometri con un peso importante addosso, per lungo tempo. I cammini successivi andarono progressivamente meglio. L’insegnamento che ne trassi fu che era necessario non un allenamento qualche settimana prima del cammino, ma un continuo e quotidiano esercizio che portasse ad un miglior funzionamento di tutto l’organismo.
Penso sia utile soffermarsi su cosa è un tendine, come è fatto e come funziona, per capire meglio e meglio adeguarsi alle nostre necessità fisiche, dediti come siamo al piacere del cammino. In poche parole il tendine non è altro che una corda, molto resistente e non elastica, che unisce l’estremità di un muscolo con un osso; contraendosi il muscolo si accorcia e tramite la corda tendinea trasmette all’osso con l’accorciamento il movimento nello spazio. Le ossa per conto loro si muovono perché, come sappiamo, sono unite fra loro da articolazioni (ad es. ginocchio, gomito, ecc), che permettono il movimento con stabilità. Il tendine quindi ha una connessione da una parte con il tessuto muscolare e dall’altra con il tessuto osseo; sono giunzioni molto intime (nel senso che i due tessuti si compenetrano in modo molto completo) e resistenti quanto delicate visto che da un punto di vista meccanico sono molto solide (è più facile che in caso di un trauma importante si fratturi l’osso e non si leda la giunzione fra tendine ed osso) ma molto sensibili e suscettibili con una certa frequenza a fatti irritativi ed infiammatori oltre che microtraumatici, o, come si suol dire, “reumatici”.
La componente principale del tendine è il tessuto connettivo, la “colla” che è diffusa in tutto l’organismo sotto vari aspetti ad unire e sostenere organi, ecc. Il connettivo è fatto di una componente cellulare (il tendine pur essendo una corda meccanica è pur sempre un tessuto vivo) e di una componente fibrosa che ne costituisce in pratica l’impalcatura meccanica. Essendo quindi un tessuto vivo ha bisogno, come tutti i tessuti, di essere nutrito ed il nutrimento nel nostro organismo arriva tramite il sangue che porta ossigeno e sostante nutritizie; ma per i tendini, al contrario degli altri tessuti, non esiste un vero e proprio sistema nutritizio dedicato e quindi i tendini si nutrono per diffusione. Semplificando si può dire che il tendine è avvolto da una guaina, una specie di manicotto entro il quale scorre durante i movimenti muscolari; la guaina è nutrita da piccoli vasi sanguigni che le portano il sangue e che produce una sottile stria di liquido che diffonde le sostanze nutritizie per il tendine stesso e ne facilita, al tempo stesso, lo scorrimento. Ne consegue, e questa è la cosa più importante, che i tendini più scorrono e funzionano più si nutrono e si fortificano. Questo conferma il concetto che la miglior prevenzione contro la sofferenza di un tendine è il movimento, magari non traumatico, continuo, senza particolar sforzo ed impegno meccanico. L’attività motoria quotidiana, fatta in brevi ma ripetute occasioni nell’arco della giornata, non può che portare giovamento ai tendini ma anche ai muscoli, alle articolazioni, alle ossa e perché no, allo spirito e al nostro benessere complessivo. Una breve ginnastica mattutina, una passeggiata, un po’ di cyclette in casa, le scale invece dell’ascensore, l’accettazione di un parcheggio dell’auto un po’ più lontano, tutto contribuisce a star meglio e ad essere preparati magari ad un impegno fisico saltuario ma più pesante.
In caso invece di sofferenza acuta e conclamata di un tendine e muscolo relativo occorre un periodo di riposo (magari con un bendaggio all’ossido di zinco) non troppo lungo (otto-dieci gg. circa) e poi iniziare il recupero del movimento, gradualmente e progressivamente. Quando siamo di fronte ad una tendinite, oltre al riposo, sono utili applicazioni locali di antinfiammatori sotto forma di gel. Nelle forme più importanti, ma solo in quelle e per poche volte, si può ricorrere ad infiltrazione di cortisonici (il cortisone da un lato è un potente antiinfiammatorio dall’altro danneggia lievemente il tendine). Ci sono attualmente in commercio farmaci cosiddetti “integratori”, acquistabili in farmacia anche senza ricetta, che possono aiutare questo periodo di recupero dopo una tendinite, tipo la glucosamina (derivata dai crostacei), il condroitin solfato, la cuccuma, la Vitamina C, ecc. Ultimo ritrovato ma ancora non entrato nell’uso comune per l’alto costo, sono le infiltrazioni con plasma ricco di piastrine (PRP) ottenuto da un prelievo di sangue del paziente (in ambiente ospedaliero si tratta il sangue prelevato e se congelano vari campioni di plasma da usare a varie scadenze).
* Specialista in Ortopedia e Traumatologia. Dirigente 1° liv.llo UO Ortopedia e Traumatologia Asl Firenze-P.O. S MAnnunziata
di Luciano Mazzucco *
La prima volta che feci il Cammino di Santiago ebbi qualche difficoltà nel camminare e questo procurò dei limiti al mio andare, nonostante la forte motivazione interiore per questa esperienza tanto attesa quanto forte. Una tendinite alla gamba mi costrinse a camminare piano ed in modo incostante, a partire molto presto la mattina ed arrivare tardi rispetto ai miei programmi. Superai il problema sul momento con abbondanti dosi di gel antiinfiammatorio e sopratutto con la determinazione ad andare avanti. Decisi che era meglio continuare in questa esperienza e fu la scelta giusta perché piano piano le mie gambe si abituarono ad un impegno così inusuale, tanti chilometri con un peso importante addosso, per lungo tempo. I cammini successivi andarono progressivamente meglio. L’insegnamento che ne trassi fu che era necessario non un allenamento qualche settimana prima del cammino, ma un continuo e quotidiano esercizio che portasse ad un miglior funzionamento di tutto l’organismo.
Penso sia utile soffermarsi su cosa è un tendine, come è fatto e come funziona, per capire meglio e meglio adeguarsi alle nostre necessità fisiche, dediti come siamo al piacere del cammino. In poche parole il tendine non è altro che una corda, molto resistente e non elastica, che unisce l’estremità di un muscolo con un osso; contraendosi il muscolo si accorcia e tramite la corda tendinea trasmette all’osso con l’accorciamento il movimento nello spazio. Le ossa per conto loro si muovono perché, come sappiamo, sono unite fra loro da articolazioni (ad es. ginocchio, gomito, ecc), che permettono il movimento con stabilità. Il tendine quindi ha una connessione da una parte con il tessuto muscolare e dall’altra con il tessuto osseo; sono giunzioni molto intime (nel senso che i due tessuti si compenetrano in modo molto completo) e resistenti quanto delicate visto che da un punto di vista meccanico sono molto solide (è più facile che in caso di un trauma importante si fratturi l’osso e non si leda la giunzione fra tendine ed osso) ma molto sensibili e suscettibili con una certa frequenza a fatti irritativi ed infiammatori oltre che microtraumatici, o, come si suol dire, “reumatici”.
La componente principale del tendine è il tessuto connettivo, la “colla” che è diffusa in tutto l’organismo sotto vari aspetti ad unire e sostenere organi, ecc. Il connettivo è fatto di una componente cellulare (il tendine pur essendo una corda meccanica è pur sempre un tessuto vivo) e di una componente fibrosa che ne costituisce in pratica l’impalcatura meccanica. Essendo quindi un tessuto vivo ha bisogno, come tutti i tessuti, di essere nutrito ed il nutrimento nel nostro organismo arriva tramite il sangue che porta ossigeno e sostante nutritizie; ma per i tendini, al contrario degli altri tessuti, non esiste un vero e proprio sistema nutritizio dedicato e quindi i tendini si nutrono per diffusione. Semplificando si può dire che il tendine è avvolto da una guaina, una specie di manicotto entro il quale scorre durante i movimenti muscolari; la guaina è nutrita da piccoli vasi sanguigni che le portano il sangue e che produce una sottile stria di liquido che diffonde le sostanze nutritizie per il tendine stesso e ne facilita, al tempo stesso, lo scorrimento. Ne consegue, e questa è la cosa più importante, che i tendini più scorrono e funzionano più si nutrono e si fortificano. Questo conferma il concetto che la miglior prevenzione contro la sofferenza di un tendine è il movimento, magari non traumatico, continuo, senza particolar sforzo ed impegno meccanico. L’attività motoria quotidiana, fatta in brevi ma ripetute occasioni nell’arco della giornata, non può che portare giovamento ai tendini ma anche ai muscoli, alle articolazioni, alle ossa e perché no, allo spirito e al nostro benessere complessivo. Una breve ginnastica mattutina, una passeggiata, un po’ di cyclette in casa, le scale invece dell’ascensore, l’accettazione di un parcheggio dell’auto un po’ più lontano, tutto contribuisce a star meglio e ad essere preparati magari ad un impegno fisico saltuario ma più pesante.
In caso invece di sofferenza acuta e conclamata di un tendine e muscolo relativo occorre un periodo di riposo (magari con un bendaggio all’ossido di zinco) non troppo lungo (otto-dieci gg. circa) e poi iniziare il recupero del movimento, gradualmente e progressivamente. Quando siamo di fronte ad una tendinite, oltre al riposo, sono utili applicazioni locali di antinfiammatori sotto forma di gel. Nelle forme più importanti, ma solo in quelle e per poche volte, si può ricorrere ad infiltrazione di cortisonici (il cortisone da un lato è un potente antiinfiammatorio dall’altro danneggia lievemente il tendine). Ci sono attualmente in commercio farmaci cosiddetti “integratori”, acquistabili in farmacia anche senza ricetta, che possono aiutare questo periodo di recupero dopo una tendinite, tipo la glucosamina (derivata dai crostacei), il condroitin solfato, la cuccuma, la Vitamina C, ecc. Ultimo ritrovato ma ancora non entrato nell’uso comune per l’alto costo, sono le infiltrazioni con plasma ricco di piastrine (PRP) ottenuto da un prelievo di sangue del paziente (in ambiente ospedaliero si tratta il sangue prelevato e se congelano vari campioni di plasma da usare a varie scadenze).
* Specialista in Ortopedia e Traumatologia. Dirigente 1° liv.llo UO Ortopedia e Traumatologia Asl Firenze-P.O. S MAnnunziata
EMMAUS
Emmaus è un paese della antica Palestina citato da Luca al capitolo 24 del suo Vangelo. Si trova sulla strada che proviene da Gerusalemme a circa sette miglia
secondo il racconto dell’evangelista o a 20, secondo la citazione che ne fa Tolomeo nella sua mappa. Su quella strada due discepoli erano in cammino
quando vennero avvicinati da un uomo:era Gesù, ma loro non lo riconobbero.
Sotto il titolo ’ In cammino per Emmaus’ o ‘ Cena a Emmaus ‘ questo episodio è stato tema di rappresentazione di molti pittori, tutte opere di grande rilievo da essere ospitate nei musei più importanti.
Il messaggio evangelico ha lasciato il posto a quello culturale dando alla storia una maggiore diffusione. Gli artisti che hanno lavorato su questo tema hanno scelto di rappresentare momenti diversi del racconto, per quanto la maggior parte di loro ha preferito quello che viene considerato il momento centrale.
Il primo momento riguarda l’incontro .
Il Tintoretto lo ha dipinto fra il 1542 e il 1545 e il quadro che porta proprio il titolo
’ Incontro sulla via di Emmaus’ si trova presso l’Ospizio P. V. Malacame di Vicenza.
‘ Euntes’ ‘In Cammino’ è l’altro simbolo interpretato in una incisione di Pieter Brughel il Vecchio del 1558 conservata al museo Mayer van den Bergh di Anversa.
secondo il racconto dell’evangelista o a 20, secondo la citazione che ne fa Tolomeo nella sua mappa. Su quella strada due discepoli erano in cammino
quando vennero avvicinati da un uomo:era Gesù, ma loro non lo riconobbero.
Sotto il titolo ’ In cammino per Emmaus’ o ‘ Cena a Emmaus ‘ questo episodio è stato tema di rappresentazione di molti pittori, tutte opere di grande rilievo da essere ospitate nei musei più importanti.
Il messaggio evangelico ha lasciato il posto a quello culturale dando alla storia una maggiore diffusione. Gli artisti che hanno lavorato su questo tema hanno scelto di rappresentare momenti diversi del racconto, per quanto la maggior parte di loro ha preferito quello che viene considerato il momento centrale.
Il primo momento riguarda l’incontro .
Il Tintoretto lo ha dipinto fra il 1542 e il 1545 e il quadro che porta proprio il titolo
’ Incontro sulla via di Emmaus’ si trova presso l’Ospizio P. V. Malacame di Vicenza.
‘ Euntes’ ‘In Cammino’ è l’altro simbolo interpretato in una incisione di Pieter Brughel il Vecchio del 1558 conservata al museo Mayer van den Bergh di Anversa.
Quando furon vicini al
villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma
essi insistettero : - Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al
declino. Egli entrò per rimaner con loro.
( Luca 24 , 28- 29)
Duccio da Buoninsegna nel 1310 interpreta questo momento dell’ invito nell’ultimo riquadro in alto a destra, del grande capolavoro ‘ La maestà’ conservata al Museo dell’Opera di Siena.
Duccio da Buoninsegna nel 1310 interpreta questo momento dell’ invito nell’ultimo riquadro in alto a destra, del grande capolavoro ‘ La maestà’ conservata al Museo dell’Opera di Siena.
E
arriva il momento della cena e della rivelazione.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. ( Luca 24 , 30- 31)
E’ lungo l’elenco degli artisti che danno testimonianza di questo momento; ci affidiamo a quello più vicino a noi, Jacopo da Pontormo. La grande tela datata 1525 che è conservata alla Galleria degli Uffizi fu commissionata dai monaci della Certosa del Galluzzo di Firenze per il loro luogo di accoglienza e proprio all’artista che aveva chiesto asilo per sfuggire alla peste.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. ( Luca 24 , 30- 31)
E’ lungo l’elenco degli artisti che danno testimonianza di questo momento; ci affidiamo a quello più vicino a noi, Jacopo da Pontormo. La grande tela datata 1525 che è conservata alla Galleria degli Uffizi fu commissionata dai monaci della Certosa del Galluzzo di Firenze per il loro luogo di accoglienza e proprio all’artista che aveva chiesto asilo per sfuggire alla peste.
Ma lui sparì dalla lor vista. (.. 31)
E’ Rembrandt, forse l’unico, che riporta questo momento in un disegno su carta acquerellata che si trova al museo Fitzwillian a Cambridge.
Questo pittore ci ha lasciato anche le altre rappresentazioni del racconto che, complice il periodo della controriforma, e insieme a tutti i grandi pittori della’ Cena ad Emmaus ‘ Tiziano, Tintoretto, Veronese , Caravaggio, Rubens, Velazquez Zurbaran, hanno voluto raccontare la storia, dipingendo con essa oltre al miracolo altri messaggi quali, per esempio la meraviglia, lo stupore, l’incredulità e l’indifferenza..
E’ Rembrandt, forse l’unico, che riporta questo momento in un disegno su carta acquerellata che si trova al museo Fitzwillian a Cambridge.
Questo pittore ci ha lasciato anche le altre rappresentazioni del racconto che, complice il periodo della controriforma, e insieme a tutti i grandi pittori della’ Cena ad Emmaus ‘ Tiziano, Tintoretto, Veronese , Caravaggio, Rubens, Velazquez Zurbaran, hanno voluto raccontare la storia, dipingendo con essa oltre al miracolo altri messaggi quali, per esempio la meraviglia, lo stupore, l’incredulità e l’indifferenza..
Un particolare importante lo rileviamo in una delle due versioni della cena dipinte da Caravaggio, quella che si trova alla National Gallery di Londra: sul mantello di un discepolo è dipinta una conchiglia. Questo simbolo del pellegrino è una citazione esplicita e la parola pellegrino si trova anche in alcuni titoli che riportano queste opere, ma nel racconto di Luca questa parola non è presente. Nella versione del Moretto da Brescia che si trova alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, la conchiglia invece è dipinta sul mantello e sul copricapo di Gesù e non del discepolo. Questa attribuzione non dobbiamo considerarla in modo biunivoco, come quella del concetto di ospite, ma una rappresentazione dei pellegrini in due cammini diversi: i discepoli in cammino da Gerusalemme verso Emmaus e Gesù, il pellegrino in terra.
Questi elementi, l’incontro, il cammino, l’ospitalità, il miracolo, hanno rappresentato la storia raccontata dall’evangelista, ma l’episodio non finisce con la sparizione di Gesù.
E partirono senz' indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, ……….. Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane (Luca 24 , 33- 35).
Alla Galleria degli Uffizi, nel grande Crocifisso 434 attribuito a Maestro della Croce, un pittore della metà del XIII secolo, troviamo ancora una rappresentazione della Cena ad Emmaus. Qui il pittore, negli otto riquadri che sono intorno al crocifisso, ha rappresentato scene degli ultimi momenti della vita di Gesù e, per ultima, la resurrezione che è testimoniata con la sua presenza quando ha camminato, parlato e, ancora una volta, cenato a Emmaus.
E partirono senz' indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, ……….. Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane (Luca 24 , 33- 35).
Alla Galleria degli Uffizi, nel grande Crocifisso 434 attribuito a Maestro della Croce, un pittore della metà del XIII secolo, troviamo ancora una rappresentazione della Cena ad Emmaus. Qui il pittore, negli otto riquadri che sono intorno al crocifisso, ha rappresentato scene degli ultimi momenti della vita di Gesù e, per ultima, la resurrezione che è testimoniata con la sua presenza quando ha camminato, parlato e, ancora una volta, cenato a Emmaus.
Per valli sacre
di Viola Mazzucco
Ad Agosto ho pellegrinato per tre giorni e mezzo nelle foreste casentinesi con un gruppo di quindici anime, fra i trenta e i cinquant’anni. Un’insegnante di yoga e un’aspirante guida escursionistica hanno organizzato questo viaggio: “Cammino e Yoga nelle Foreste Sacre” nel Parco del Casentino. Foreste Sacre, perché ? Perché nel Parco del Casentino la natura convive con forti presenze religiose. In questa zona le foreste, raccolte e possedute costantemente dal vento, ricche di alberi ultracentenari ora esili ora imponenti, nel tempo hanno richiamato a sé uomini di grande spiritualità, che le hanno scelte come scenario sacro di meditazione. Un percorso che attraversa l’Alta Valle del Tramazzo, tocca il Passo del Muraglione, si arrampica sul Monte Falterona e scivola verso l’Eremo di Camaldoli. È un cammino, come tanti. Denso di richiami e significati profondi, per chi è disposto a coglierli. Si distingue dagli altri cammini per il fatto che questa volta per noi era stata pensata la pratica yoga due volte al giorno: la mattina, prima di partire, e la sera. Sette le lezioni previste, una per ciascun Chakra (i Chakra rappresentano i sette centri energetici del corpo umano; regolano il flusso di energia attraverso il corpo e correlano il livello fisico, psichico e spirituale). Le lezioni sono state coinvolgenti, ciascuno era libero di partecipare secondo le proprie capacità; molti di noi avevano già incontrato la disciplina yoga, con più o meno consapevolezza. Se le prime lezioni sono state affrontate con un certo sforzo, complice il timore – infondato - di non possedere le energie sufficienti, ci siamo presto resi conto che al mattino lo yoga ci preparava gentile al viaggio e la sera ci aiutava a ritrovare l’equilibrio dopo la fatica.
giovedì 7 agosto (Lago di Ponte Eremo dei Toschi)
Partenza da Lago di Ponte (Tredozio). Alle 7 il gruppo si riunisce in cerchio e dopo una breve presentazione parte accompagnato dalla brina. Si cammina accanto, ci si perde, ci si ritrova. A San Benedetto in Alpe si incontra l’Abbazia di San Benedetto, fondata da San Romualdo, padre dell’eremitismo camaldolese, asceta fedele alle regole benedettine, che tentò di imporre la rigida disciplina eremitica ai monaci, non sempre con successo. Purtroppo i locali che avrebbero dovuto fornirci qualcosa da mangiare erano chiusi e ci siamo rivolti ad un ristorante per un panino e una fetta di torta, lussuria del viandante poco esperto, ingenuità pagata a caro prezzo nella ripida salita che abbiamo dovuto affrontare di lì a poco. Verso le cinque siamo disposizione, ci siamo lavati dalla fatica e abbiamo avuto la prima esperienza di yoga tutti insieme, abbracciati all’erba. Questo spazio aperto ci ha regalato una sensazione di pace, complice la collina di prato verde con il tramonto e spettatori d’onore le galline, i fratelli Gamberini (quattro bassotti) e un cane pastore bianco. A cena abbiamo assaporato riconoscenti pasta fatta in casa, verdure dell’orto, conserve e formaggi omaggi delle caprette, crostate e torta di riso. La notte, per quanto passata in un grande ambiente pronto ad accogliere 11 persone, ci ha regalato un sano riposo.
venerdi 8 agosto (Eremo dei Toschi – Castagno d’Andrea).
Sveglia alle 6, preparazione degli zaini e yoga. Per evitare la brina del prato, i nostri tappetini da yoga si sono srotolati nella chiesa annessa all’Eremo; una chiesetta raccolta, semplice, scenario perfetto per la nostra pratica, sostegno per le schiene ancora rigide. La colazione supera la cena: zabaione, latte di capra appena munto, yogurt, caffè e tè, marmellate sul pane e frutta fresca. Accompagnati dalle caprette e salutati dalle manine del più piccolo della casa, abbiamo varcato il cancello dell’Eremo e ci siamo diretti verso Castagno d’Andrea. Ci siamo aperti un varco tra le felci senza controllo, abbiamo pranzato al sole del Passo del Muraglione e affogato i piedi stanchi in un torrente che ci scorreva accanto. A Castagno d’Andrea ci aspettava il Rifugio GEA, spartana sistemazione nel centro del paese. L’acqua è fredda, le coperte sono da condividere con il vicino di letto. I capelli asciugati all’ultimo sole e i panni stesi sulle ortiche diventano testimoni di una giornata intensa. Lo yoga si è svolto nel parco del paese, davanti a occhi curiosi ma discreti. Abbondante e saporita la cena all’Osteria Il Rifugio, decorata da un pergolato di kiwi, frutto esotico di origini cinesi, ormai primato del vicino territorio romagnolo. In paese merita una fugace visita la chiesa di S. Martino, dove è conservata una Crocefissione di Annigoni del 1958, a cui fa compagnia una pittura realizzata da Silvestro Pistolesi nel 2003. E’ stato proprio Pistolesi, pittore fiorentino che cerca pace nell’estate casentinese, ad indicarci la chiesa.
sabato 9 agosto (Castagno d’Andrea – La Burraia).
La sveglia ci ha sorpreso sui letti troppo morbidi, avvolti nelle coperte. Il campo da calcio nel parco ci ha offerto un suolo compatto per praticare yoga; una volta salutato il sole ci siamo preparati il pranzo e siamo partiti, carichi. Ci aspettava la Fonte del Borbotto e, dopo una sinuosa salita, la vetta del Monte Falterona generosamente coperta di mirtilli. Non potevamo non rendere onore a tanto invitante spettacolo e solo dopo un’operosa raccolta, ormai violacei e beati, siamo ripartiti. Siamo sui 1600 metri, tira un vento costante e si intravedono lontani i raggi del sole estivo. Qui vicino, si nascondono le sorgenti dell’Arno. Dopo la cima del Monte Falco i boschi si aprono sul prato della Burraia e qui si trova il Rifugio CAI Città di Forlì, la meta di stasera.
domenica 10 agosto (La Burraia – Camaldoli).
Ultimo giorno di cammino, una fatica leggera. Imbocchiamo il sentiero in silenzio, tagliati dal vento, attraversiamo due riserve forestali (Sasso Fratino e La Pietra) ma soprattutto attraversiamo una delle foreste più suggestive che abbia mai percorso. Il nostro silenzio si fonde con le voci del bosco, difficile non abbandonarsi ad una appagante contemplazione. Meno difficile è capire come mai questi luoghi siano stati scelti da monaci ed eremiti, che hanno goduto della sacralità che emanano ma li hanno anche curati e protetti, rispettati. Incontriamo abeti anziani avvolti dal muschio, alberi come santuari, preludio all’Eremo di Camaldoli. Esili faggi che seguono il vento. Un sentiero pulito, lineare, che si srotola fino all’Eremo e che ci racconta che la nostra esperienza finisce qua, per il momento. Davanti al cancello che ci separa dalle celle dei monaci ci aspetta l’autobus, pronto, sfiorato da turisti distratti. Dall’altra parte, mi dicono, trova ancora respiro una comunità il cui raccoglimento non impedisce l’accoglienza.
Un ultimo abbraccio a un albero e si riparte.
di Viola Mazzucco
Ad Agosto ho pellegrinato per tre giorni e mezzo nelle foreste casentinesi con un gruppo di quindici anime, fra i trenta e i cinquant’anni. Un’insegnante di yoga e un’aspirante guida escursionistica hanno organizzato questo viaggio: “Cammino e Yoga nelle Foreste Sacre” nel Parco del Casentino. Foreste Sacre, perché ? Perché nel Parco del Casentino la natura convive con forti presenze religiose. In questa zona le foreste, raccolte e possedute costantemente dal vento, ricche di alberi ultracentenari ora esili ora imponenti, nel tempo hanno richiamato a sé uomini di grande spiritualità, che le hanno scelte come scenario sacro di meditazione. Un percorso che attraversa l’Alta Valle del Tramazzo, tocca il Passo del Muraglione, si arrampica sul Monte Falterona e scivola verso l’Eremo di Camaldoli. È un cammino, come tanti. Denso di richiami e significati profondi, per chi è disposto a coglierli. Si distingue dagli altri cammini per il fatto che questa volta per noi era stata pensata la pratica yoga due volte al giorno: la mattina, prima di partire, e la sera. Sette le lezioni previste, una per ciascun Chakra (i Chakra rappresentano i sette centri energetici del corpo umano; regolano il flusso di energia attraverso il corpo e correlano il livello fisico, psichico e spirituale). Le lezioni sono state coinvolgenti, ciascuno era libero di partecipare secondo le proprie capacità; molti di noi avevano già incontrato la disciplina yoga, con più o meno consapevolezza. Se le prime lezioni sono state affrontate con un certo sforzo, complice il timore – infondato - di non possedere le energie sufficienti, ci siamo presto resi conto che al mattino lo yoga ci preparava gentile al viaggio e la sera ci aiutava a ritrovare l’equilibrio dopo la fatica.
giovedì 7 agosto (Lago di Ponte Eremo dei Toschi)
Partenza da Lago di Ponte (Tredozio). Alle 7 il gruppo si riunisce in cerchio e dopo una breve presentazione parte accompagnato dalla brina. Si cammina accanto, ci si perde, ci si ritrova. A San Benedetto in Alpe si incontra l’Abbazia di San Benedetto, fondata da San Romualdo, padre dell’eremitismo camaldolese, asceta fedele alle regole benedettine, che tentò di imporre la rigida disciplina eremitica ai monaci, non sempre con successo. Purtroppo i locali che avrebbero dovuto fornirci qualcosa da mangiare erano chiusi e ci siamo rivolti ad un ristorante per un panino e una fetta di torta, lussuria del viandante poco esperto, ingenuità pagata a caro prezzo nella ripida salita che abbiamo dovuto affrontare di lì a poco. Verso le cinque siamo disposizione, ci siamo lavati dalla fatica e abbiamo avuto la prima esperienza di yoga tutti insieme, abbracciati all’erba. Questo spazio aperto ci ha regalato una sensazione di pace, complice la collina di prato verde con il tramonto e spettatori d’onore le galline, i fratelli Gamberini (quattro bassotti) e un cane pastore bianco. A cena abbiamo assaporato riconoscenti pasta fatta in casa, verdure dell’orto, conserve e formaggi omaggi delle caprette, crostate e torta di riso. La notte, per quanto passata in un grande ambiente pronto ad accogliere 11 persone, ci ha regalato un sano riposo.
venerdi 8 agosto (Eremo dei Toschi – Castagno d’Andrea).
Sveglia alle 6, preparazione degli zaini e yoga. Per evitare la brina del prato, i nostri tappetini da yoga si sono srotolati nella chiesa annessa all’Eremo; una chiesetta raccolta, semplice, scenario perfetto per la nostra pratica, sostegno per le schiene ancora rigide. La colazione supera la cena: zabaione, latte di capra appena munto, yogurt, caffè e tè, marmellate sul pane e frutta fresca. Accompagnati dalle caprette e salutati dalle manine del più piccolo della casa, abbiamo varcato il cancello dell’Eremo e ci siamo diretti verso Castagno d’Andrea. Ci siamo aperti un varco tra le felci senza controllo, abbiamo pranzato al sole del Passo del Muraglione e affogato i piedi stanchi in un torrente che ci scorreva accanto. A Castagno d’Andrea ci aspettava il Rifugio GEA, spartana sistemazione nel centro del paese. L’acqua è fredda, le coperte sono da condividere con il vicino di letto. I capelli asciugati all’ultimo sole e i panni stesi sulle ortiche diventano testimoni di una giornata intensa. Lo yoga si è svolto nel parco del paese, davanti a occhi curiosi ma discreti. Abbondante e saporita la cena all’Osteria Il Rifugio, decorata da un pergolato di kiwi, frutto esotico di origini cinesi, ormai primato del vicino territorio romagnolo. In paese merita una fugace visita la chiesa di S. Martino, dove è conservata una Crocefissione di Annigoni del 1958, a cui fa compagnia una pittura realizzata da Silvestro Pistolesi nel 2003. E’ stato proprio Pistolesi, pittore fiorentino che cerca pace nell’estate casentinese, ad indicarci la chiesa.
sabato 9 agosto (Castagno d’Andrea – La Burraia).
La sveglia ci ha sorpreso sui letti troppo morbidi, avvolti nelle coperte. Il campo da calcio nel parco ci ha offerto un suolo compatto per praticare yoga; una volta salutato il sole ci siamo preparati il pranzo e siamo partiti, carichi. Ci aspettava la Fonte del Borbotto e, dopo una sinuosa salita, la vetta del Monte Falterona generosamente coperta di mirtilli. Non potevamo non rendere onore a tanto invitante spettacolo e solo dopo un’operosa raccolta, ormai violacei e beati, siamo ripartiti. Siamo sui 1600 metri, tira un vento costante e si intravedono lontani i raggi del sole estivo. Qui vicino, si nascondono le sorgenti dell’Arno. Dopo la cima del Monte Falco i boschi si aprono sul prato della Burraia e qui si trova il Rifugio CAI Città di Forlì, la meta di stasera.
domenica 10 agosto (La Burraia – Camaldoli).
Ultimo giorno di cammino, una fatica leggera. Imbocchiamo il sentiero in silenzio, tagliati dal vento, attraversiamo due riserve forestali (Sasso Fratino e La Pietra) ma soprattutto attraversiamo una delle foreste più suggestive che abbia mai percorso. Il nostro silenzio si fonde con le voci del bosco, difficile non abbandonarsi ad una appagante contemplazione. Meno difficile è capire come mai questi luoghi siano stati scelti da monaci ed eremiti, che hanno goduto della sacralità che emanano ma li hanno anche curati e protetti, rispettati. Incontriamo abeti anziani avvolti dal muschio, alberi come santuari, preludio all’Eremo di Camaldoli. Esili faggi che seguono il vento. Un sentiero pulito, lineare, che si srotola fino all’Eremo e che ci racconta che la nostra esperienza finisce qua, per il momento. Davanti al cancello che ci separa dalle celle dei monaci ci aspetta l’autobus, pronto, sfiorato da turisti distratti. Dall’altra parte, mi dicono, trova ancora respiro una comunità il cui raccoglimento non impedisce l’accoglienza.
Un ultimo abbraccio a un albero e si riparte.
La foto di Guido
Lago di Pilato, fra i Monti Sibillini, detto anche ‘lago maledetto’. La leggenda dice che Pilato dopo la condanna a morte partì da Roma trainato da un carro trainato da due bufali e dal più alto monte dei Sibillini precipitò nelle acque del lago, che ribollirono. Il Lago ospita il “Chirocefalo del Marchesoni”, piccolo crostaceo che vive unicamente in questo lago.
La sosta del pellegrino
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