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Il ritorno  De Reditu

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 Claudio Rutilio Namaziano nel V secolo d. C. intraprende il viaggio da Roma verso la Gallia. Il suo è un viaggio di ritorno verso la sua terra d’origine, nel Narbonese, che aveva lasciato giovanissimo per stabilirsi in Italia dove il padre Lacanio era governatore della Tuscia e dell’Umbria.
Il suo non è un ritorno piacevole. Infatti costretto dagli eventi deve andare ad accertarsi delle condizioni in cui si trovano i suoi possedimenti dopo il passaggio dei Goti.
Lasciare Roma per chi ne è stato prefetto, anche se solo per pochi mesi, e aveva una situazione di prestigio e di piacere in ville ,fra feste e bagni alle terme, è una decisione difficile, per quanto anche la bella città dopo il sacco di Alarico del 410 d.C.  non sia nelle sue condizioni migliori.

Il viaggio

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Questo viaggio di ritorno viene raccontato da Rutilio stesso, quasi un diario scritto in versi latini, testo che ci è pervenuto dopo un ritrovamento del 1493. Gli umanisti dell’epoca misero il titolo ‘ DE REDITU ‘ =  Il ritorno. Il testo ritrovato è incompleto, arriva fino al sessantottesimo verso del secondo libro con l'arrivo del protagonista a Luni. Recentemente sono stati trovati altri piccoli frammenti ma lo scarso contenuto non fornisce la possibilità di continuare la storia. Si può dire che il poemetto sia l’ultima opera del mondo letterario latino, una composizione piacevole ed elegante, ricca di citazioni di classici latini e greci, che esprime una sua forza espressiva nel trattare il clima di decadenza e lo squallore dei tempi da attribuire ai Barbari e al trionfante cristianesimo.
 L’opera inizia con un saluto a Roma,  poesia resa famosa da una traduzione di Giosuè Carducci: Roma la dea, il luogo in cui si trova ciò che c’è di più alto nel mondo. Nel parlare di Roma Rutilio, nella lode alla città amata, comunica  il dispiacere di doverla lasciare e la quasi certezza di non potervi più tornare.
‘Prestami ascolto , bellissima regina del mondo interamente tuo, accolta fra le celesti, Roma, volte stellate’
‘Exaudi, regina tui pulcherrima mundi,inter sidereos, Roma, recepta polos!
Quindi questo viaggio prende la forma di un autentico trasloco, i bagagli affidati ad una piccola flotta di barche e condotto in modo da poter fare piccole tappe e trovare asilo sulla costa in caso di maltempo o difficoltà. La stagione è quella dell’autunno quasi inverno e la scelta di fare un’unica traversata in alto mare è ritenuta più pericolosa.
Il viaggio costa costa con piccole imbarcazioni era ai quei tempi la tipologia di spostamento   più opportuna per i piccoli commercianti e per pellegrini. La scelta di terra, la via Aurelia si presentava impraticabile per le devastazioni ancora presenti e insicura per la presenza di briganti. Altre interpretazioni hanno aggiunto la presenza di scontri per motivi religiosi.
‘Si sceglie il mare, perché le vie di terra, fradice in piano per i fiumi, sui monti sono aspre di rocce: dopo che i campi di Tuscia, dopo che la via Aurelia, sofferte a ferro e a fuoco le orde dei Goti, non domano più le selve con locande, né i fiumi con ponti, è meglio affidare le vele al mare sebbene incerto.’
 ‘Electum pelagus …
La data della partenza  è il 416.
Un corteo di amici lo accompagna da Roma a Portus, il Porto di Fiumicino. Il congedo dagli amici è motivo di citazioni, come le indicazioni che riguardano l’attesa  necessaria perché  le condizioni del mare e del tempo diventino favorevoli.
‘Quindici giorni esplorammo la sicurezza del mare
Finchè fidasse nella luna nuova un vento migliore.’
 Il primo giorno di viaggio  segnala il passaggio da Alsio, poi Pirgi e quindi Castro e il primo scalo a Centocelle che offre il riparo in un golfo molto interno e tranquillo. Lo stile di vita dell’autore traspare da tante citazioni, come quando nomina Cuma celebre luogo di vacanza dell’aristocrazia romana.
La sosta offre la possibilità di andare alla Terme del Toro e nel descriverle affiora importante il simbolo mitologico del loro nome.
 Il secondo giorno di navigazione scorre davanti alla foce del Mignone,  Gravisca e Cosa, località menzionate da Virgilio nell’Eneide.
Porto Ercole  è il nuovo approdo. Qui il racconto prende uno sfondo politico attraverso le varie storie dei Lepidi con le quali Rutilio sembra abbia un bersaglio specifico da sottolineare.
La terza giornata di viaggio porta la piccola flotta ad aggirare l’Argentario per poi approdare alla foce dell’Ombrone. La navigazione è messa alla prova a causa di un vento mutevole, ma da lontano si può ammirare l’Isola  del Giglio
‘ un unico porto, con duplice sorte è rimasto tanto vicino ai Romani, tanto lontano ai Goti.’
Il fiume Ombrone mostra un approdo sicuro ma i marinai fanno l’errore di voler avanzare  per poi essere costretti ad approdare in una piccola spiaggia con un boschetto di mirti con il quale fare il fuoco .
‘Facciamo piccole tende con i remi ed un palo di traverso, tetto improvvisato.’
Il giorno successivo con il passaggio accanto all’isola d’Elba, porta ad una digressione  sul ferro e sull’oro con molti riferimenti a miti e agli scrittori che li  hanno trasmessi.
‘dona di più al mondo la feconda fattrice di ferro che non la bionda ghiaia del tartesiaco Tago.’ L'oro mortale: materia per ogni perversione!
A Falesia approdano  per stanchezza 
‘sebbene il sole non fosse a metà cammino’

Ma dopo la stanchezza il clima diventa disteso e la compagnia  ha occasione di  partecipare alla sacra festa in onore di Osiride. Un episodio di cattiva accoglienza da un gestore nuovamente occasione di  citazione e confronto con un personaggio della mitologia greca.  Una digressione sulle città che muoiono  e poi racconta  di essere nei pressi di Populonia, dove l’attuale Golfo di Baratti è
‘ un golfo naturale in mezzo ai campi’
Segue la notizia che il suo amico Rufio Antonio Agrypnio Volusiano ha ottenuto il posto a Roma di prefetto, quel posto che per un periodo è stato anche suo.
Nel sesto giorno di navigazione da Populonia a Vada Volterrana  il narratore accenna alla Corsica, alla leggenda del suo nome che è tratto dalle Historiae di Sallustio. Alla vista poi della Capraia l’argomento passa ai monaci che la occupano e lancia verso di loro una invettiva diretta che esprime chiaramente la posizione pagana dello scrittore.

A Vada un difficile approdo per le secche ed una tempesta sono compensate dal rifugio che può trovare nella villa dell’amico Albino. Nella sosta una attenzione alle ‘ saline’ che si trovano ai piedi della villa offre una dissertazione sul sale.
Incontro con l’amico Vittorino.
Ripreso il viaggio, fra la costa pisana e quella della Corsica, con la vista della Gorgona si concede pesanti  commenti sui monaci  che la abitano, una citazione di Omero con i porci di Circe.
‘Pensa, infelice, di lordure voglian nutrirsi le cose del cielo
e si opprime da sé con più violenza di una vendetta degli dei adirati.
Setta peggiore, chiedo, di Circe e i suoi veleni? Erano i corpi, ora i cuori, fatti porci.’

Al porto pisano la piccola flotta fa sosta e Rutigliano si reca a Pisa per un incontro con Protadio. A Pisa  vengono dedicati dieci versi, di cui cinque si rivolgono alla leggenda della sua fondazione ed i rimanenti sulla città alla confluenza con l’Arno e dell’Ausur (Serchio ).
I successivi versi vengono dedicati ad una statua del padre, alla menzione di personaggi, e mentre sarebbe già il momento di riprendere il viaggio, il maltempo sospende la partenza e un programma di caccia servirà anche ad alludere ad una mitologica cattura di un cinghiale.
Dopo il quadro della caccia  è uno spettacolo di mare in tempesta che chiude il primo libro, chiusura che richiama lo stile di altri poeti latini.
Il secondo libro del quale abbiamo solo 68 versi, si apre con una descrizione dell’Italia , come è stato nel primo libro che è iniziato con l’encomio rivolto a Roma.
Chi voglia cingere con gli occhi l’Italia signora del mondo e contemplarla nel suo insieme con la mente la vedrà svolgersi come una foglia di quercia che sui bordi piega in anse convergenti
Italiam rerum dominam qui cingere visu..
E’ l’ottavo giorno di navigazione partendo da Pisa alla volta di Luna e
‘ Scivolando veloci veniamo alle candide mura cui la sorella che del sole splende assegna il nome. Supera con i suoi massi i gigli ridenti e, screziata, irraggia levigato nitore di pietra. Ricca di marmi è la terra, e con la luce del colore sfida sontuosa le inviolate nevi.’
Indigenis superat ridentia lilia saxis  Et levi radiat picta nitore silex;
dives marmoribus tellus, quae luce coloris provocat intactas luxuriosa nives. 

Il film
Da poemetto di Rutilio Namaziano nel 2003 nasce ul film dallo stesso titolo.

La regia è di Claudio Bondì e gli interpreti sono : Elia Schilton, Rodolfo Corsato, Romuald Andrzej Klos, Roberto Herlitzka, Caterina Deregibus .

Nel film si offre una  riflessione sul rapporto con il mondo declinante della cultura pagana e la nuova religione, il cristianesimo. Il racconto prende quindi un altro tipo di spessore.

All'inizio del Vº secolo, dopo il sacco di Roma ad opera dei Goti di Alarico,. Rutilio, il protagonista - interpretato da Elia Schilton - decide di affrontare il viaggio con lo scopo di trovare uomini ed armi al fine di ribaltare il governo di Ravenna. Il viaggio, quindi, non è soltanto un navigare in un mare nostrum verso Nord, ma rappresenta la definitiva consapevolezza dell'irreversibile crisi del vecchio Stato e soprattutto delle coscienze dei singoli.

Il regista ricostruisce attentamente gli stati dei luoghi dell'epoca riuscendo a restituire la sensazione di desolazione ed isolamento che doveva ammantare quegli anni. Il film è stato girato sulle coste ioniche della Calabria. D'altronde il film è volutamente letterario ed è stato apprezzato per il suo livello culturale.

Le foto sono tratte dai fotogrammi del film

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