Santa Umiltà

Sono passati 700 anni e a Firenze una strada si chiama ancora ‘Via Faenza’ ricordando così quella città da cui giunse a piedi una donna virtuosa e coraggiosa, una suora, una pellegrina, realizzando un’opera di meritevole ricordo.
Più precisamente in passato la strada era indicata come Via di Porta a Faenza. Infatti alla fine della strada c’era una porta ed è vicino a quella che 700 anni fa sorse un monastero: il Monastero delle Donne della Beata Umiltà di Faenza.
Questa suora, oggi venerata come Santa Umilà e quest’anno ricordata per il settimo centenario della sua morte, si chiamava Rosanese Regusanti.
Nata a Faenza nel 1226, fin da giovane aveva manifestato l’inclinazione verso la vita religiosa, ma, costretta dalla famiglia, si sposò, continuando comunque a mantenere viva l’idea del convento. Il marito, uomo devoto e buono, finì per accogliere il suo desiderio soprattutto dopo una malattia e la morte dei due figli, e si ritirò in un convento maschile, concedendo a lei di entrare in una comunità cluniacense. Alla morte del marito la pia donna decise di trasferirsi in una cella accanto al Monastero vallombrosano di San Apollinare e lì visse per dodici anni nel raccoglimento e nella preghiera prendendo il nome di Suor Umiltà. La sua fama di persona santa e il racconto di qualche miracolo attirò l’attenzione di molte ragazze dei paesi vicini.
Il desiderio di condividere la stessa vita di raccoglimento non poteva essere sostenuta dai monaci vallombrosani che non avevano la possibilità di accoglierle, pertanto convinsero Suor Umiltà a trovare il modo di occuparsi di loro. Fu creato così il primo monastero femminile di quell’ordine che prese come sede l’ex convento degli agostiniani, situato fuori le mura della città in una zona da cui prese il nome di Malta. Dal 1266 al 1281 Suor Umiltà si dedicò alla missione di guida ed educatrice di giovani ragazze rinunciando alla sua inclinazione per la vita di sola preghiera e meditazione. In quel tempo nella città di Firenze si consumavano lotte politiche che rendevano sempre più precaria la situazione delle giovani donne e o per una ispirazione avuta da San Giovanni oppure per le sollecitazioni del vescovo, l’intenzione di fondare un nuovo monastero a Firenze trovò pronta Suor Umiltà ad assumersi questo nuovo impegno.
La strada che collegava la città di Faenza a Firenze, la Via Faentina era già allora una arteria di collegamento del versante adriatico a quello tirreno, percorso che conserva ancora oggi testimonianze di luoghi di accoglienza per pellegrini, viandanti e commercianti. Uno di questi era presso la Pieve del Tho, un antico tempio romanico il cui nome ha origine da ottavo, cioè gli otto chilometri di distanza da Faenza.
In questa bella basilica a tre navate con una cripta che è stata riportata alla luce a metà del secolo scorso, Suor Umiltà fece la prima tappa assieme a tre consorelle, ospitata dal Pievano e dai canonici che le fecero dono della preziosa reliquia della manna di San Giovanni Evangelista. Altri monasteri vallombrosani lungo il percorso, quello di Marradi, di Crespino e di Razzuolo sono stati presumibilmente alcune delle soste per le tappe successive delle tre suore pellegrine.
Giunta a Firenze la nuova badessa si dedica alla costruzione del nuovo monastero: il suo impegno è tale che un pittore del tempo Pietro Lorenzetti la dipinge nell’azione simbolica di raccogliere le pietre nel vicino fiume, il Mugnone.
L’opera è un polittico datato 1314 che si trova oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
Accanto al convento sotto la direzione dell’architetto Giovanni Pisano e con gli abbellimenti del celebre decoratore Buffalmacco nascerà anche una chiesa.
Il monastero prese vita e la sua opera di carità e di guida continuò anche dopo la morte della sua fondatrice che avvenne il 22 maggio del 1310, all’età di 84 anni e in fama di grande santità.
Nel 1533 per esigenze di ordine militare fu decisa la costruzione della attuale Fortezza da Basso dentro la quale venne incorporata la Vecchia Porta a Faenza , mentre il monastero delle Donne di Faenza venne inglobato in quello di San Salvi.
Le notizie sulla vita di Suor Umiltà ci sono testimoniate da un monaco del tempo di nome Biagio e si trovano in un testo contenuto nel cod.271 della Biblioteca Riccardiana di Firenze. Questo non è il solo documento, infatti quando nel 1729 si concluse il processo di canonizzazione, furono resi noti anche al culto popolare molte altre testimonianze. Ma l’opera più importante tramandata sono i ‘Sermones ‘, scritti o dettati da lei stessa; una raccolta in latino di preghiere e di indicazioni per la vita delle giovani suore. Testimonianza preziosa della attività letteraria femminile di quel tempo vengono associati agli scritti di Santa Caterina da Siena e di Santa Brigida di Svezia.
Suor Umiltà dice di parlare per opera del Signore ‘ Sermo quem loquor a me ipsa non est’,così si legge all’inizio del secondo sermone. Sempre sotto l’espressione dell’ umiltà, è tramandato che la badessa portasse al posto del velo una pezza di pelle di capra; nei suoi Sermones si legge un passo in cui si paragona ‘ad una pecora che si nutre dell’erba procuratole dal Buon Pastore ’ Ista ovicula balans propter famen et petit pasturam qua possit pingue fieri, est anima fidelis quae cun Christo vult manere, qui est sua pastura…Ego sum ovicula facta peregrina tuo amore…
Pellegrina da Faenza a Firenze per amore e umiltà, possiamo considerarla seguace della devozione irlandese, la ‘ peregrinatio pro Chisti ‘, cioè quel cammino che intraprendevano i monaci dall’Irlanda per diffondere la fede e fondare monasteri. Questo cammino da Faenza a Firenze per l’antica via Faentina è oggi una strada regionale e anche la Via Faenza nel cuore della città di Firenze ha cambiato la sua fisionomia, ma questo anno in occasione di questo anniversario non potrà dimenticare la storia dell’origine del suo nome.
Più precisamente in passato la strada era indicata come Via di Porta a Faenza. Infatti alla fine della strada c’era una porta ed è vicino a quella che 700 anni fa sorse un monastero: il Monastero delle Donne della Beata Umiltà di Faenza.
Questa suora, oggi venerata come Santa Umilà e quest’anno ricordata per il settimo centenario della sua morte, si chiamava Rosanese Regusanti.
Nata a Faenza nel 1226, fin da giovane aveva manifestato l’inclinazione verso la vita religiosa, ma, costretta dalla famiglia, si sposò, continuando comunque a mantenere viva l’idea del convento. Il marito, uomo devoto e buono, finì per accogliere il suo desiderio soprattutto dopo una malattia e la morte dei due figli, e si ritirò in un convento maschile, concedendo a lei di entrare in una comunità cluniacense. Alla morte del marito la pia donna decise di trasferirsi in una cella accanto al Monastero vallombrosano di San Apollinare e lì visse per dodici anni nel raccoglimento e nella preghiera prendendo il nome di Suor Umiltà. La sua fama di persona santa e il racconto di qualche miracolo attirò l’attenzione di molte ragazze dei paesi vicini.
Il desiderio di condividere la stessa vita di raccoglimento non poteva essere sostenuta dai monaci vallombrosani che non avevano la possibilità di accoglierle, pertanto convinsero Suor Umiltà a trovare il modo di occuparsi di loro. Fu creato così il primo monastero femminile di quell’ordine che prese come sede l’ex convento degli agostiniani, situato fuori le mura della città in una zona da cui prese il nome di Malta. Dal 1266 al 1281 Suor Umiltà si dedicò alla missione di guida ed educatrice di giovani ragazze rinunciando alla sua inclinazione per la vita di sola preghiera e meditazione. In quel tempo nella città di Firenze si consumavano lotte politiche che rendevano sempre più precaria la situazione delle giovani donne e o per una ispirazione avuta da San Giovanni oppure per le sollecitazioni del vescovo, l’intenzione di fondare un nuovo monastero a Firenze trovò pronta Suor Umiltà ad assumersi questo nuovo impegno.
La strada che collegava la città di Faenza a Firenze, la Via Faentina era già allora una arteria di collegamento del versante adriatico a quello tirreno, percorso che conserva ancora oggi testimonianze di luoghi di accoglienza per pellegrini, viandanti e commercianti. Uno di questi era presso la Pieve del Tho, un antico tempio romanico il cui nome ha origine da ottavo, cioè gli otto chilometri di distanza da Faenza.
In questa bella basilica a tre navate con una cripta che è stata riportata alla luce a metà del secolo scorso, Suor Umiltà fece la prima tappa assieme a tre consorelle, ospitata dal Pievano e dai canonici che le fecero dono della preziosa reliquia della manna di San Giovanni Evangelista. Altri monasteri vallombrosani lungo il percorso, quello di Marradi, di Crespino e di Razzuolo sono stati presumibilmente alcune delle soste per le tappe successive delle tre suore pellegrine.
Giunta a Firenze la nuova badessa si dedica alla costruzione del nuovo monastero: il suo impegno è tale che un pittore del tempo Pietro Lorenzetti la dipinge nell’azione simbolica di raccogliere le pietre nel vicino fiume, il Mugnone.
L’opera è un polittico datato 1314 che si trova oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
Accanto al convento sotto la direzione dell’architetto Giovanni Pisano e con gli abbellimenti del celebre decoratore Buffalmacco nascerà anche una chiesa.
Il monastero prese vita e la sua opera di carità e di guida continuò anche dopo la morte della sua fondatrice che avvenne il 22 maggio del 1310, all’età di 84 anni e in fama di grande santità.
Nel 1533 per esigenze di ordine militare fu decisa la costruzione della attuale Fortezza da Basso dentro la quale venne incorporata la Vecchia Porta a Faenza , mentre il monastero delle Donne di Faenza venne inglobato in quello di San Salvi.
Le notizie sulla vita di Suor Umiltà ci sono testimoniate da un monaco del tempo di nome Biagio e si trovano in un testo contenuto nel cod.271 della Biblioteca Riccardiana di Firenze. Questo non è il solo documento, infatti quando nel 1729 si concluse il processo di canonizzazione, furono resi noti anche al culto popolare molte altre testimonianze. Ma l’opera più importante tramandata sono i ‘Sermones ‘, scritti o dettati da lei stessa; una raccolta in latino di preghiere e di indicazioni per la vita delle giovani suore. Testimonianza preziosa della attività letteraria femminile di quel tempo vengono associati agli scritti di Santa Caterina da Siena e di Santa Brigida di Svezia.
Suor Umiltà dice di parlare per opera del Signore ‘ Sermo quem loquor a me ipsa non est’,così si legge all’inizio del secondo sermone. Sempre sotto l’espressione dell’ umiltà, è tramandato che la badessa portasse al posto del velo una pezza di pelle di capra; nei suoi Sermones si legge un passo in cui si paragona ‘ad una pecora che si nutre dell’erba procuratole dal Buon Pastore ’ Ista ovicula balans propter famen et petit pasturam qua possit pingue fieri, est anima fidelis quae cun Christo vult manere, qui est sua pastura…Ego sum ovicula facta peregrina tuo amore…
Pellegrina da Faenza a Firenze per amore e umiltà, possiamo considerarla seguace della devozione irlandese, la ‘ peregrinatio pro Chisti ‘, cioè quel cammino che intraprendevano i monaci dall’Irlanda per diffondere la fede e fondare monasteri. Questo cammino da Faenza a Firenze per l’antica via Faentina è oggi una strada regionale e anche la Via Faenza nel cuore della città di Firenze ha cambiato la sua fisionomia, ma questo anno in occasione di questo anniversario non potrà dimenticare la storia dell’origine del suo nome.