Cronache di Cammini n° 3 - aprile 2013
In questo numero:
Il cammino per l'acqua di Luciano Mazzucco
Pellegrinaggi giudiziari di Vera Biagioni
La foto di Guido di Guido Mori
San Tommaso apostolo di Lucia Mazzucco
Sui cammini della transumanza in Toscana di Vittoria Vespro
Rapsodia di Costanza Vanni
Tatuagio a Gerusalemme
di seguito puoi scaricare in formato .pdf il NUMERO 3 COMPLETO
Cronache di cammini n° 3 NUMERO COMPLETO.pdf | |
File Size: | 2226 kb |
File Type: |
Il cammino per l'acqua
Il Burkina Faso, nel cuore dell’Africa occidentale con un clima arido e una corta stagione delle piogge,è uno dei paesi più poveri al mondo. La popolazione pur vivendo in condizioni minimali è comunque estremamente attiva, vivace e piena di voglia di fare e di lavorare, ma la grave carenza delle strutture basilari non favorisce il procedere di un miglioramento.
Per provvedere all’essenziale necessità dell’acqua la maggior parte delle famiglie devono fare molta strada, proprio un cammino dell’acqua.
Sono i bambini nel Burkina Faso che tutti i giorni fanno il cammino dell’ acqua.
Si alzano presto ma non per andare a scuola, perché per la scuola occorre quel denaro che la famiglia non ha. I genitori coltivano la terra e lavorano nei campi solo durante quel breve periodo delle piogge, quando può crescere il miglio o il riso, base della loro alimentazione. Quello che riescono a produrre in quel periodo deve bastare tutto l’anno e se non basta si cuoce l’erba, le foglie, le radici, tutto quello che si può inventare per sopravvivere.
Gafaru e i suoi fratelli hanno il compito di andare a prendere l’acqua.
L’acqua si va a prendere al pozzo, che non è tanto vicino e Gafaru spinge un carretto di ferro con le ruote di gomma, pieno di taniche di plastica gialle.
Un fratello invece può usare una bicicletta e porta una tanica per volta. La bicicletta è arrivata per la sorella, perché lei ha avuto una adozione a distanza che le ha permesso di studiare e di ricevere al termine del corso di istruzione in regalo quella bicicletta .
Qualche famiglia più fortunata che ha potuto mettere insieme più disponibilità, ha un ciuchino al quale attaccare un carretto.
Nonostante tutto il cammino per andare a prendere l’acqua è bello; è vero, è faticoso ma ogni volta Gafaru fa un incontro, vede un amico, ci parla insieme e può raccogliere qualche racconto. Non solo i bambini, ma anche le donne, impegnate in questa occupazione, trovano il modo di incontrarsi al pozzo e mentre si aiutano a vicenda a girare la ruota durissima della pompa, le ragazze parlano dei loro amori e dei loro sogni. Vicino al pozzo ci sono degli alberi, molto frondosi, alberi di mango, alla cui ombra si possono riposare un po’ prima di riprendere il viaggio con le taniche piene d’acqua.
Il pozzo è lontano quasi quattro chilometri e Gafaru con il carretto ci mette quasi tre ore. La strada va fatta nelle ore in cui il caldo è meno violento perciò al massimo riesce a fare due viaggi al giorno.
L’acqua del pozzo serve principalmente per bere e cucinare. Per lavare si deve andare a prendere quella del “barrage”, una raccolta di acqua molto meno pulita in una depressione del terreno, che si riempie nella stagione delle piogge e che poi, piano piano, con il caldo e con i continui prelievi si prosciuga fino a scomparire molto prima del nuovo tempo delle piogge. Ma anche andare al barrage per i bambini diventa una nuova opportunità: se l’acqua è tanta si può fare un bagno e ridere e scherzare tutti insieme. Nonostante il Burkina Faso sia il paese più povero del mondo, i bambini sono sempre gioiosi e sorridenti, come se bastasse poco per essere felici.
Siamo andati a trovare la famiglia di Gafaru, per togliere il gesso a suo fratello Quiwa che noi abbiamo operato di correzione di un grave difetto delle ginocchia, il cosiddetto ginocchio valgo, con le ginocchia che si incrociano e i piedi che sono tutti divaricati e lontani fra loro. Era scaduto il tempo e il gesso doveva essere rimosso. Purtroppo la famiglia di Gafaru non poteva prendere una macchina per venire in ospedale ed il parente che l’aveva accompagnato il giorno dell’intervento al momento aveva l’auto guasta , tanto meno sarebbe stato possibile prendere una macchina a pagamento. La suora che ha saputo come era la situazione ci ha informati e così ci siamo attivati. Quando siamo arrivati ci è stata offerta ‘l’acqua del benvenuto’, un gesto che non si può rifiutare perché fa parte di un rito di accoglienza basilare per la loro cultura. Ma noi abbiamo dovuto fare finta di berla perché non essendo abituati, non sarebbe stata proprio opportuno berla.
Mancando la corrente, l’operazione della rimozione del gesso è stata una operazione veramente lunga, come era prevedibile; il gesso è stato tolto con le forbici.
Le ginocchia di Quiwa ora sono molto più dritte e le caviglie sono molto più vicine fra di loro; il bambino dovrà abituarsi a camminare con queste nuove gambe e così aiutare Gafaru ed i suoi fratelli nel cammino per l’acqua.
Luciano Mazzucco
Per provvedere all’essenziale necessità dell’acqua la maggior parte delle famiglie devono fare molta strada, proprio un cammino dell’acqua.
Sono i bambini nel Burkina Faso che tutti i giorni fanno il cammino dell’ acqua.
Si alzano presto ma non per andare a scuola, perché per la scuola occorre quel denaro che la famiglia non ha. I genitori coltivano la terra e lavorano nei campi solo durante quel breve periodo delle piogge, quando può crescere il miglio o il riso, base della loro alimentazione. Quello che riescono a produrre in quel periodo deve bastare tutto l’anno e se non basta si cuoce l’erba, le foglie, le radici, tutto quello che si può inventare per sopravvivere.
Gafaru e i suoi fratelli hanno il compito di andare a prendere l’acqua.
L’acqua si va a prendere al pozzo, che non è tanto vicino e Gafaru spinge un carretto di ferro con le ruote di gomma, pieno di taniche di plastica gialle.
Un fratello invece può usare una bicicletta e porta una tanica per volta. La bicicletta è arrivata per la sorella, perché lei ha avuto una adozione a distanza che le ha permesso di studiare e di ricevere al termine del corso di istruzione in regalo quella bicicletta .
Qualche famiglia più fortunata che ha potuto mettere insieme più disponibilità, ha un ciuchino al quale attaccare un carretto.
Nonostante tutto il cammino per andare a prendere l’acqua è bello; è vero, è faticoso ma ogni volta Gafaru fa un incontro, vede un amico, ci parla insieme e può raccogliere qualche racconto. Non solo i bambini, ma anche le donne, impegnate in questa occupazione, trovano il modo di incontrarsi al pozzo e mentre si aiutano a vicenda a girare la ruota durissima della pompa, le ragazze parlano dei loro amori e dei loro sogni. Vicino al pozzo ci sono degli alberi, molto frondosi, alberi di mango, alla cui ombra si possono riposare un po’ prima di riprendere il viaggio con le taniche piene d’acqua.
Il pozzo è lontano quasi quattro chilometri e Gafaru con il carretto ci mette quasi tre ore. La strada va fatta nelle ore in cui il caldo è meno violento perciò al massimo riesce a fare due viaggi al giorno.
L’acqua del pozzo serve principalmente per bere e cucinare. Per lavare si deve andare a prendere quella del “barrage”, una raccolta di acqua molto meno pulita in una depressione del terreno, che si riempie nella stagione delle piogge e che poi, piano piano, con il caldo e con i continui prelievi si prosciuga fino a scomparire molto prima del nuovo tempo delle piogge. Ma anche andare al barrage per i bambini diventa una nuova opportunità: se l’acqua è tanta si può fare un bagno e ridere e scherzare tutti insieme. Nonostante il Burkina Faso sia il paese più povero del mondo, i bambini sono sempre gioiosi e sorridenti, come se bastasse poco per essere felici.
Siamo andati a trovare la famiglia di Gafaru, per togliere il gesso a suo fratello Quiwa che noi abbiamo operato di correzione di un grave difetto delle ginocchia, il cosiddetto ginocchio valgo, con le ginocchia che si incrociano e i piedi che sono tutti divaricati e lontani fra loro. Era scaduto il tempo e il gesso doveva essere rimosso. Purtroppo la famiglia di Gafaru non poteva prendere una macchina per venire in ospedale ed il parente che l’aveva accompagnato il giorno dell’intervento al momento aveva l’auto guasta , tanto meno sarebbe stato possibile prendere una macchina a pagamento. La suora che ha saputo come era la situazione ci ha informati e così ci siamo attivati. Quando siamo arrivati ci è stata offerta ‘l’acqua del benvenuto’, un gesto che non si può rifiutare perché fa parte di un rito di accoglienza basilare per la loro cultura. Ma noi abbiamo dovuto fare finta di berla perché non essendo abituati, non sarebbe stata proprio opportuno berla.
Mancando la corrente, l’operazione della rimozione del gesso è stata una operazione veramente lunga, come era prevedibile; il gesso è stato tolto con le forbici.
Le ginocchia di Quiwa ora sono molto più dritte e le caviglie sono molto più vicine fra di loro; il bambino dovrà abituarsi a camminare con queste nuove gambe e così aiutare Gafaru ed i suoi fratelli nel cammino per l’acqua.
Luciano Mazzucco
I pellegrinaggi giudiziari
Il pellegrinaggio è un viaggio che ha come meta un luogo sacro, ed è un rito comune alle religioni di tutto il mondo. Per il cristiano il pellegrinaggio è un percorso fondamentale per la sua vita spirituale, per approfondire la sua esperienza religiosa, per incontrare Dio.
Il pellegrinaggio cristiano si può dire sia cominciato subito dopo la Resurrezione del Signore, e da allora è continuato fino ai nostri giorni, se pure in forme diverse, e con vari periodi di interruzione dovuti a molteplici cause. Testimonianze sparse attestano un movimento profondo che si verificò nei primi due secoli dopo la morte di Cristo. Ma la massiccia ondata di pellegrini iniziò con l’avvento dell’imperatore Costantino che concesse la libertà di culto ai cristiani. La stessa madre di Costantino, l’imperatrice Elena, poi fatta santa, si recò in pellegrinaggio a Gerusalemme e dette impulso per la costruzione delle tre grandi basiliche dette “costantiniane”. A Elena è stato anche attribuito il ritrovamento della Vera Croce di Gesù Cristo.
Nel IV e V secolo il flusso dei pellegrini in Terrasanta divenne imponente.
Verso il VI e VII secolo monaci missionari irlandesi introdussero il pellegrinaggio come forma di espiazione di una pena. I primi ad esservi assoggettati furono gli ecclesiastici non essendo essi sottomessi al diritto civile dei laici. Questa forma di espiazione si rivelò particolarmente indicata per quei preti e altri peccatori macchiatisi di reati gravi che comportavano l’esclusione dalla comunità dei fedeli. Il condannato veniva spogliato delle sue vesti e vestito dei panni che lo rappresentavano come straniero, come colui che aveva trasgredito alle regole della sua società. Franco Cardini, in “Le’Europa dei Pellegrini”, scrive “Il pellegrinaggio avveniva in questo modo simile all’esilio giudiziario e il pellegrino una specie di proscritto che si trascinava in catene da un santuario all’altro fintanto che i suoi ceppi non si fossero spezzati da soli, miracoloso segno del perdono divino”. Quando il condannato tornava, se ciò avveniva - perché molti morivano - veniva riabilitato e riconciliato con la comunità cristiana. Questi allontanamenti tuttavia non avvenivano solo per concedere all’esule la possibilità di riabilitazione, ma soprattutto per emarginare la loro potenzialità criminale.
In seguito, il monachesimo benedettino si dimostrò ostile verso questa itineranza protetta dalla Chiesa ritenendola inefficace sia dal punto di vista spirituale e sia perché la libera circolazione di tanti criminali rappresentava un pericolo pubblico.
Verso il IX – X secolo vennero introdotte delle regolamentazioni in materia di pellegrinaggio, ad esempio imponendo ai viaggiatori di recarsi verso mete precise. Con queste norme veniva così limitata l’anarchia dell’itineranza. In seguito, a partire dal XII secolo, anche l’Inquisizione ricorse al pellegrinaggio imposto per reati di eresia contro la fede, ma solo per quelli meno gravi. Circa cento anni più tardi, nel secolo XIII, il pellegrinaggio giudiziario venne introdotto nella legislazione europea, e già alla metà del 1300 ebbe notevole ruolo nella gestione della giustizia nei paesi del Nord Europa.
Il pellegrinaggio cristiano si può dire sia cominciato subito dopo la Resurrezione del Signore, e da allora è continuato fino ai nostri giorni, se pure in forme diverse, e con vari periodi di interruzione dovuti a molteplici cause. Testimonianze sparse attestano un movimento profondo che si verificò nei primi due secoli dopo la morte di Cristo. Ma la massiccia ondata di pellegrini iniziò con l’avvento dell’imperatore Costantino che concesse la libertà di culto ai cristiani. La stessa madre di Costantino, l’imperatrice Elena, poi fatta santa, si recò in pellegrinaggio a Gerusalemme e dette impulso per la costruzione delle tre grandi basiliche dette “costantiniane”. A Elena è stato anche attribuito il ritrovamento della Vera Croce di Gesù Cristo.
Nel IV e V secolo il flusso dei pellegrini in Terrasanta divenne imponente.
Verso il VI e VII secolo monaci missionari irlandesi introdussero il pellegrinaggio come forma di espiazione di una pena. I primi ad esservi assoggettati furono gli ecclesiastici non essendo essi sottomessi al diritto civile dei laici. Questa forma di espiazione si rivelò particolarmente indicata per quei preti e altri peccatori macchiatisi di reati gravi che comportavano l’esclusione dalla comunità dei fedeli. Il condannato veniva spogliato delle sue vesti e vestito dei panni che lo rappresentavano come straniero, come colui che aveva trasgredito alle regole della sua società. Franco Cardini, in “Le’Europa dei Pellegrini”, scrive “Il pellegrinaggio avveniva in questo modo simile all’esilio giudiziario e il pellegrino una specie di proscritto che si trascinava in catene da un santuario all’altro fintanto che i suoi ceppi non si fossero spezzati da soli, miracoloso segno del perdono divino”. Quando il condannato tornava, se ciò avveniva - perché molti morivano - veniva riabilitato e riconciliato con la comunità cristiana. Questi allontanamenti tuttavia non avvenivano solo per concedere all’esule la possibilità di riabilitazione, ma soprattutto per emarginare la loro potenzialità criminale.
In seguito, il monachesimo benedettino si dimostrò ostile verso questa itineranza protetta dalla Chiesa ritenendola inefficace sia dal punto di vista spirituale e sia perché la libera circolazione di tanti criminali rappresentava un pericolo pubblico.
Verso il IX – X secolo vennero introdotte delle regolamentazioni in materia di pellegrinaggio, ad esempio imponendo ai viaggiatori di recarsi verso mete precise. Con queste norme veniva così limitata l’anarchia dell’itineranza. In seguito, a partire dal XII secolo, anche l’Inquisizione ricorse al pellegrinaggio imposto per reati di eresia contro la fede, ma solo per quelli meno gravi. Circa cento anni più tardi, nel secolo XIII, il pellegrinaggio giudiziario venne introdotto nella legislazione europea, e già alla metà del 1300 ebbe notevole ruolo nella gestione della giustizia nei paesi del Nord Europa.
Pellegrinaggi giudiziari
Sul pellegrinaggio espiatorio, molte notizie documentate le fornisce Lorenza Vantaggiato nel suo libro “Pellegrinaggi Giudiziari” dove ha preso come campione l’area dell’antica contea di Fiandra (Belgio). Il libro della Vantaggiato, e altre fonti, informano che la scelta del pellegrinaggio che veniva imposto era commisurata alla gravità del reato: tanto più grave era il reato tanto più lungo e difficoltoso era il pellegrinaggio, andata e ritorno, ovviamente. In taluni casi il colpevole aveva la possibilità di convertire il pellegrinaggio imposto con un’ammenda pecuniaria, ovvero nel pagamento di una somma di denaro. Per ogni luogo di pellegrinaggio esistevano vere e proprie liste di riscatto, una forma di tariffario dove veniva indicato il nome del santuario, la distanza, le difficoltà del viaggio e accanto veniva specificato il prezzo del riscatto. I luoghi più lontani da raggiungere erano San Nicola di Bari in Italia, Santiago de Compostella in Spagna, Sant’Andrea in Scozia. Da studi effettuati è stato rilevato che le magistrature di Gand, Anversa, Bruxelles, e Nivelles avevano una preferenza per il pellegrinaggio a San Nicola di Bari, in Puglia, che dista dal Belgio circa 1800 Km. Il pellegrinaggio assolveva a più istanze contemporaneamente: allontanava il colpevole dalla comunità, e a volte era un vero e proprio esilio, dava soddisfazione alla parte offesa e, inoltre, poteva assolvere anche al compito di riabilitazione del reo. Esiste documentazione a Bruxelles che a metà del secolo XV su 57 persone condannate ad effettuare un pellegrinaggio a San Nicola di Bari, 17 effettivamente lo portarono a termine mentre altre scontarono la pena mediante pagamento in denaro. Nel 1521 a certo Anthoine Bernard, elemento pericoloso, che aveva commesso un grave reato, fu imposto un pellegrinaggio a San Nicola di Bari con l’obbligo di rimanere al di là dalle Alpi per ben sette anni. Normalmente veniva imposto un tempo di uno – tre anni, altre volte, invece, al condannato veniva imposto un tempo stabilito per il rientro che lo costringeva a camminare anche per una media di trenta Km. al giorno. Alcuni non tornarono mai perché morivano lungo il duro cammino. Al rientro in patria il “pellegrino forzato” doveva presentare il certificato del santuario raggiunto, vidimato dall’autorità religiosa del posto. Nella chiesa di San Giuliano a Roma esiste un elenco di 431 pellegrini che dalla Fiandra si sono recati in pellegrinaggio a San Nicola di Bari, e poi a Roma. Anche nella città di Bruges si trovano documenti che attestano gli avvenuti pellegrinaggi. Nel 2006 la città di Bruges fece una mostra dove vennero esposti oggetti appartenuti a pellegrini, manoscritti, resoconti, documenti, insegne, oggetti ritrovati da scavi archeologici.
I pellegrinaggi, sia devozionali sia imposti, conobbero una prima crisi con la riforma protestante di Martin Lutero e Giovanni Calvino che dubitavano dell’ utilità dei pellegrinaggi elencandoli come opere puerili non necessarie. Il Concilio di Trento invece ne riaffermava la validità precisandone lo scopo principale: fare penitenza, adorare Dio, aumentare la propria fede. Una seconda crisi del pellegrinaggio si registrò durante l’illuminismo, secolo XVIII, che giunse espressamente a condannarlo. A seguito di tante critiche la Chiesa, preoccupata, giunse a scoraggiare essa stessa il pellegrinaggio ponendo anche più attenzione al riconoscimento dei miracoli. Nel XIX secolo i pellegrinaggi finirono con l’essere considerati come fenomeno marginale, tipico delle classi più umili e ignoranti, come un'esperienza del passato.
I pellegrinaggi vennero ripresi verso la prima metà del secolo scorso. Con il nuovo codice del diritto canonico del 1983 è scomparsa l’indicazione del pellegrinaggio tra le penitenze. Tuttavia, la bolla di indizione del Giubileo 2000 ribadisce tra l’altro che “Il pellegrinaggio è sempre stato un momento significativo della vita dei credenti, rivestendo nelle varie epoche espressioni culturali diverse”
La Chiesa oggi esalta il profondo valore del pellegrinaggio che ha sempre occupato un ruolo fondamentale nella vita dei cristiani e di tutti i fedeli.
Vogliamo finire il nostro breve discorso sul pellegrinaggio giudiziario con una nota che forse sta ad indicare l’importanza che esso ha rivestito nei luoghi dove fu intensamente praticato: nelle vie di Bruges oggi si possono trovare conchiglie di bronzo recentemente incastonate nella pavimentazione a ricordo degli antichi percorsi di pellegrinaggi devozionali e penitenziali.
Ai nostri giorni in Belgio per alcuni casi è stato fatto nuovamente ricorso al pellegrinaggio a Santiago de Compostella come pena espiatoria e recupero per alcuni giovani reclusi. Anche in Spagna è stata nuovamente adottata l’antica pratica, e qualche tentativo si sta facendo per introdurlo anche in Italia.
Bigliografia
LUCIANO VACCARO L’Europa dei pellegrini Ed. Centro Ambrosiano 2004
LORENZA VANTAGGIATO Pellegrinaggi Giudiziari Ediz.Compostellane, 2010
G.DAMMACCO e G.OTRANTO Profili giuridici e storia dei santuari cristiani in Italia Ediz.Puglia
Vera Biagioni
San Tommaso apostolo
nella foto :San
Tommaso apostolo
Diego Velázquez- Museo delle Belle Arti- Orléans
La storia di questo apostolo è poco conosciuta e ugualmente poco diffusa. Le citazioni che si trovano nei Vangeli sono quella in Giovanni 11-16 dove Tommaso dice: «Andiamo anche noi a morire con lui!» quando subito dopo la morte di Lazzaro, i discepoli si oppongono alla decisione di Gesù di tornare in Giudea, dove rischiava di essere lapidato dagli ebrei, poi durante l’ultima cena dove dice «Signore, noi non sappiamo dove vai; come dunque possiamo conoscere la via? Ma l’episodio più noto è nel passo 20, 24-29 che racconta dell’incredulità dell’apostolo sulla resurrezione di Gesù. La maggior parte delle rappresentazione che gli artisti hanno dato di lui è quella in cui viene invitato a mettere il dito nel costato che presenta la ferita della lancia.
Ma anche a Tommaso vengono attribuiti dei testi: sono tre vangeli apocrifi:
il Vangelo dell'infanzia di Tommaso (o Vangelo dello Pseudo-Tommaso), dedicato all'infanzia di Gesù; il Vangelo di Tommaso o Vangelo secondo Tommaso o Quinto Vangelo, una raccolta di detti di Gesù;il Libro di Tommaso il Contendente o l'Atleta, che conterrebbe una rivelazione segreta di Gesù risorto all'apostolo.
È inoltre apocrifa l'Apocalisse di Tommaso.
Nel II secolo d.C. ad Edessa in Siria vengono scritti gli atti di Tommaso che raccontano la sua predicazione ed elementi importanti della sua vita. Scritti originariamente in lingua siriaca e pervenuti in versione greca, nonché in rielaborazioni latine, siriaca, copta e armena.
Secondo quella tradizione, Tommaso arrivò in Siria per evangelizzarla, fondò la comunità cristiana di Babilonia e visse nella città mesopotamica per sette anni. Eusebio da Cesarea racconta che nell’anno 52 partì per l’India sud occidentale.
Tommaso iniziò la sua predicazione nella città portuale di Muziris convertendo alla nuova fede molti ebrei e molti indiani. Andò anche in Cina e al ritorno si fermò sulla costa orientale dell’India fino alla sua morte.
Un’altra leggenda parla di un Tommaso come il fratello gemello di Cristo, come lui carpentiere, che fu comprato per tre libbre d’argento da un mercante indiano chiamato Abbane. Da lui trasportato in India avrebbe costruito in modo miracoloso un palazzo al re indiano Gondofare. Il re si convertì alla predicazione di Tommaso che fra l’altro comprendeva l’invito al celibato, ma ebbe al testo stesso una forte contestazione da un altro principe indiano che che non volle rischiare che i suoi sudditi smettessero di procreare
Il Milione di Marco polo
Cap. CLI
Nel paese delle perle, la provincia di Maabar , gli uomini che si cibano della carne dei buoi che sono morti di morte propria vengono ritenuti appartenenti a quella gente che al suo tempo uccisero San Tommaso Apostolo
Cap. CLIII
E’ infatti in questa provincia che si trova il corpo di San Tommaso Apostolo, a Maliapur ( l’odierna San Tomè situata a mezzogiorno di Madai ), un luogo poco frequentato perché fuori dalle operazioni di commercio. Ma importanti frequentatori sono i cristiani e i saracini che vengono in pellegrinaggio ed hanno l’abitudine di raccogliere della terra da quel luogo dove morì il santo. Questa terra di colore rosso guarisce i malati di febbre quartana o terzana.
Siamo nell’anno 1288 quando un barone di quella città approfitta di una casa di accoglienza per i pellegrini per farne deposito del suo raccolto di riso particolarmente copioso. I pellegrini non vi potevano entrare e le preghiere fatte al barone non servivano a niente. Così avvenne che una notte San Tommaso stesso apparve al barone e con una forca in mano che gli bloccò la gola intimandogli di liberare la sua casa se non voleva morire in malo modo. Al mattino seguente il barone liberò la casa, i cristiani se ne rallegrarono e rafforzarono la loro devozione al santo.
La storia della morte del santo è così riportata. San Tommaso si trovava in un romitorio nel bosco e stava pregando circondato da molti pavoni, animali molto diffusi in quella zona. Un uomo ed è specificato che faceva parte di quella generazione reietta, andava a caccia di pavoni , e scoccò una freccia che ferì il santo, il quale pur da ferito continuò a pregare dolcemente e così pregando morì.
L'incredulità di San Tommaso
da Duccio da Buoninsegma
La tavola dipinta a tempera negli anni fra 1308 - 1311 da Duccio di Buoninsegna (1255-1318) fa parte delle Storie di Cristo dopo la Resurrezione , situata nel verso del coronamento della Maestà .
Sui cammini della transumanza in Toscana
Mi piace camminare, penso che potrei farlo all'infinito... con i dovuti riposi notturni. E mi piace cercare nuove strade, riscoprire vecchi percorsi; per questo ci siamo imbarcati intanto nell'avventura di camminare seguendo i percorsi della Transumanza in Toscana, con l’obiettivo di ricercarne altri in seguito.
La transumanza era il percorso stagionale compiuto dai pecorai dalla montagna verso il mare alla fine dell'estate; il percorso inverso verso i pascoli di alta quota, a primavera, si chiamava “monticazione”, cui seguiva l’ ”alpeggio” sui pascoli montani. Il termine significa letteralmente transitare sul suolo [da “trans” e “humus” ]. Andando a ritroso nel tempo, sembra che anche al tempo dei romani si praticasse la transumanza. I tracciati si tramandavano di padre in figlio ed i pastori seguivano le orme dei predecessori. Questa modalità di allevamento ovino si è tenuta fin verso il 1930, poi è caduta in disuso; era infatti una vita molto dura anche se per noi cittadini è rimasto il fascino dannunziano dei tratturi e degli stazzi!
Nel percorso di andata i pecorai ricevevano una frugale ospitalità per la notte nelle case contadine; ricambiavano con la “concimazione” naturale dei campi ad opera delle pecore; al ritorno, invece, offrivano i formaggi da loro prodotti durante l'inverno trascorso nel mite clima marino. Questi spostamenti di uomini e bestiame ebbero importanti risvolti economici anche di tipo fiscale, visto che i passaggi erano sottoposti a dazi, con cui i proprietari terrieri rimpinguavano le proprie casse. Prima erano i feudatari, poi i comuni poi i latifondisti, ma tutti erano attenti a riscuotere le gabelle. Da qui derivava un contenzioso per imposizioni burocratiche da parte dei gabellieri, frodi e astuzie dei pastori per evitare il pagamento dei pedaggi, e quindi reazione con multe e intimidazioni da parte delle guardie (catene ai ponti per impedire il passaggio notturno dei greggi).
Volendo ripercorrere questi cammini dei pecorai abbiamo scelto, fra i tanti, il percorso che dal Pratomagno porta alla Maremma; la nostra intenzione era di percorrere soprattutto sentieri, ci siamo trovati invece sull'asfalto per la maggior parte del viaggio. Infatti se sulle cartine è facile individuare i percorsi, nella realtà molti di questi sono ormai così coperti dalla vegetazione da risultare introvabili o impraticabili.
Noi abbiamo scelto il Casentino perché questo percorso è stato meno studiato rispetto a quelli dell'Abruzzo verso il Tavoliere della Puglia. Ma devo dire che è senz'altro meno affascinante essendo sull'asfalto, mentre in Abruzzo ed in Puglia i tratturi, bellissimi, sono rimasti e sono tuttora ben conservati. Voleva essere anche una ricerca sulle origini della Scottiglia, piatto le cui nascita è rivendicata sia dai Casentinesi che dai Maremmani ma il dubbio è rimasto; sono stati i primi a portarlo durante le migrazioni verso il mare o lo hanno importato al ritorno a casa? Non l'abbiamo scoperto ma entrambe le versioni sono ottime!
Siamo partiti un 1° settembre da Secchieta e, percorrendo il sentiero 00, abbiamo raggiunto il sentiero CAI 20, località Uomo Morto; da Secchieta a Pulicciano (Castelfranco di Sopra) abbiamo percorso gli unici km in strade sterrate. La sera cena in una delle nume-rose feste del Perdono e pernottamento con la tendina in un campo. Al mattino dopo, nonostante le “ossa rotte” che avevamo messo in conto, abbiamo attraversato la zona industriale di Montevarchi, continuando poi per Levane e Bucine; infine ci siamo fermati al camping la Chiocciola per la notte. Questa è stata la tratta più pericolosa di tutto il cammino, per l’intenso traffico veicolare che ha messo a rischio i nostri passi.
Il 3 settembre partenza comoda, alle 10; attraversamento di Ambra, Pietraviva, Colonna del Grillo; lì abbiamo preso la strada comunale 4 per Rapolano che, con la costruzione della grande arteria Siena Grosseto, è stata abbandonata da tutti, quindi l'ideale per camminare. Abbiamo percorso 22 km e pernottato in pensione.
Venerdì 4 una turista olandese ci ha accompagnati all'inizio del sentiero 525 delle Crete Senesi che passa vicino alle Terme di San Giovanni. Ma le condizioni erano impossibili, forse con un machete si poteva tentare! Siamo stati quindi costretti nuovamente a camminare sull'asfalto. Abbiamo passato Asciano, poi la SP 60 del Pecorile (tanto per rimanere in tema), San Giovanni d'Asso, rinomata zona di tartufi e raggiunto Monterongriffoli vi abbiamo pernottato, in un camping iniziato e mai finito . Anche oggi 22 km.
In questa zona ci sono due frazioni il cui toponimo si ritrova sulla strada Casentinese, Ferrano e Lucignano, lo strano è che in entrambe le zone le due località distano fra loro pochissimi km; sarebbe uno spunto interessante per una ricerca..
Il 5 settembre ci siamo incamminati nella SP 14 Traversa dei Monti che poi sarebbe anche la SS 2 Cassia, e abbiamo raggiunto Montalcino, tappa enogastronomica d'obbligo! Arrivati in serata a Sant'Angelo Scalo abbiamo cenato al Merendero con un'ottima tagliata e bevuto un eccezionale Montecucco della casa. Dormito, si fa per dire, all'aria aperta sotto la luna piena e le stelle.
Domenica 6 partenza per la Val d'Orcia, territorio lunare il cui fascino ci ha coinvolti; sosta a Cinigiano e lungo la strada per Granaione primo avvistamento del mare! Ad Arcille abbiamo cenato ad una sagra e contato i Km percorsi, 36, la tappa più lunga! Ci siamo accampati con la tendina dietro la chiesa.
Il giorno 7 a Montorgiali, abbiamo trovato due belle fonti, una grande ancora ben tenuta ed un triste abbeveratoio abbandonato, pieno di terra e plastica. Pernottamento a Montiano, che per i nostri pastori era spesso la tanto agognata meta. Tappa di 29 Km.
Dopo esserci riposati in un agriturismo abbiamo proseguito attraverso la provinciale 16 per Magliano e, finalmente siamo arrivati a Fonteblanda e, quindi, Talamone, termine del nostro cammino.
Durante questo percorso abbiamo fotografato tutte le fontane e gli abbeveratoi incontrati; alcuni sono in pessime condizioni, speriamo che non ne vada persa la memoria...
Per approfondire sui cammini della transumanza si può consultare:
Moreno Massaini. “Transumanza. Dal Casentino alla Maremma”. Ediz. Edigraf. Roma 2005;
Paolo Marcaccini e Lidia Calzolai. “I percorsi della Transumanza in Toscana”. Ed Polistampa. Firenze 2003.
Vittoria Vespro
[segue galleria di foto del percorso]
La transumanza era il percorso stagionale compiuto dai pecorai dalla montagna verso il mare alla fine dell'estate; il percorso inverso verso i pascoli di alta quota, a primavera, si chiamava “monticazione”, cui seguiva l’ ”alpeggio” sui pascoli montani. Il termine significa letteralmente transitare sul suolo [da “trans” e “humus” ]. Andando a ritroso nel tempo, sembra che anche al tempo dei romani si praticasse la transumanza. I tracciati si tramandavano di padre in figlio ed i pastori seguivano le orme dei predecessori. Questa modalità di allevamento ovino si è tenuta fin verso il 1930, poi è caduta in disuso; era infatti una vita molto dura anche se per noi cittadini è rimasto il fascino dannunziano dei tratturi e degli stazzi!
Nel percorso di andata i pecorai ricevevano una frugale ospitalità per la notte nelle case contadine; ricambiavano con la “concimazione” naturale dei campi ad opera delle pecore; al ritorno, invece, offrivano i formaggi da loro prodotti durante l'inverno trascorso nel mite clima marino. Questi spostamenti di uomini e bestiame ebbero importanti risvolti economici anche di tipo fiscale, visto che i passaggi erano sottoposti a dazi, con cui i proprietari terrieri rimpinguavano le proprie casse. Prima erano i feudatari, poi i comuni poi i latifondisti, ma tutti erano attenti a riscuotere le gabelle. Da qui derivava un contenzioso per imposizioni burocratiche da parte dei gabellieri, frodi e astuzie dei pastori per evitare il pagamento dei pedaggi, e quindi reazione con multe e intimidazioni da parte delle guardie (catene ai ponti per impedire il passaggio notturno dei greggi).
Volendo ripercorrere questi cammini dei pecorai abbiamo scelto, fra i tanti, il percorso che dal Pratomagno porta alla Maremma; la nostra intenzione era di percorrere soprattutto sentieri, ci siamo trovati invece sull'asfalto per la maggior parte del viaggio. Infatti se sulle cartine è facile individuare i percorsi, nella realtà molti di questi sono ormai così coperti dalla vegetazione da risultare introvabili o impraticabili.
Noi abbiamo scelto il Casentino perché questo percorso è stato meno studiato rispetto a quelli dell'Abruzzo verso il Tavoliere della Puglia. Ma devo dire che è senz'altro meno affascinante essendo sull'asfalto, mentre in Abruzzo ed in Puglia i tratturi, bellissimi, sono rimasti e sono tuttora ben conservati. Voleva essere anche una ricerca sulle origini della Scottiglia, piatto le cui nascita è rivendicata sia dai Casentinesi che dai Maremmani ma il dubbio è rimasto; sono stati i primi a portarlo durante le migrazioni verso il mare o lo hanno importato al ritorno a casa? Non l'abbiamo scoperto ma entrambe le versioni sono ottime!
Siamo partiti un 1° settembre da Secchieta e, percorrendo il sentiero 00, abbiamo raggiunto il sentiero CAI 20, località Uomo Morto; da Secchieta a Pulicciano (Castelfranco di Sopra) abbiamo percorso gli unici km in strade sterrate. La sera cena in una delle nume-rose feste del Perdono e pernottamento con la tendina in un campo. Al mattino dopo, nonostante le “ossa rotte” che avevamo messo in conto, abbiamo attraversato la zona industriale di Montevarchi, continuando poi per Levane e Bucine; infine ci siamo fermati al camping la Chiocciola per la notte. Questa è stata la tratta più pericolosa di tutto il cammino, per l’intenso traffico veicolare che ha messo a rischio i nostri passi.
Il 3 settembre partenza comoda, alle 10; attraversamento di Ambra, Pietraviva, Colonna del Grillo; lì abbiamo preso la strada comunale 4 per Rapolano che, con la costruzione della grande arteria Siena Grosseto, è stata abbandonata da tutti, quindi l'ideale per camminare. Abbiamo percorso 22 km e pernottato in pensione.
Venerdì 4 una turista olandese ci ha accompagnati all'inizio del sentiero 525 delle Crete Senesi che passa vicino alle Terme di San Giovanni. Ma le condizioni erano impossibili, forse con un machete si poteva tentare! Siamo stati quindi costretti nuovamente a camminare sull'asfalto. Abbiamo passato Asciano, poi la SP 60 del Pecorile (tanto per rimanere in tema), San Giovanni d'Asso, rinomata zona di tartufi e raggiunto Monterongriffoli vi abbiamo pernottato, in un camping iniziato e mai finito . Anche oggi 22 km.
In questa zona ci sono due frazioni il cui toponimo si ritrova sulla strada Casentinese, Ferrano e Lucignano, lo strano è che in entrambe le zone le due località distano fra loro pochissimi km; sarebbe uno spunto interessante per una ricerca..
Il 5 settembre ci siamo incamminati nella SP 14 Traversa dei Monti che poi sarebbe anche la SS 2 Cassia, e abbiamo raggiunto Montalcino, tappa enogastronomica d'obbligo! Arrivati in serata a Sant'Angelo Scalo abbiamo cenato al Merendero con un'ottima tagliata e bevuto un eccezionale Montecucco della casa. Dormito, si fa per dire, all'aria aperta sotto la luna piena e le stelle.
Domenica 6 partenza per la Val d'Orcia, territorio lunare il cui fascino ci ha coinvolti; sosta a Cinigiano e lungo la strada per Granaione primo avvistamento del mare! Ad Arcille abbiamo cenato ad una sagra e contato i Km percorsi, 36, la tappa più lunga! Ci siamo accampati con la tendina dietro la chiesa.
Il giorno 7 a Montorgiali, abbiamo trovato due belle fonti, una grande ancora ben tenuta ed un triste abbeveratoio abbandonato, pieno di terra e plastica. Pernottamento a Montiano, che per i nostri pastori era spesso la tanto agognata meta. Tappa di 29 Km.
Dopo esserci riposati in un agriturismo abbiamo proseguito attraverso la provinciale 16 per Magliano e, finalmente siamo arrivati a Fonteblanda e, quindi, Talamone, termine del nostro cammino.
Durante questo percorso abbiamo fotografato tutte le fontane e gli abbeveratoi incontrati; alcuni sono in pessime condizioni, speriamo che non ne vada persa la memoria...
Per approfondire sui cammini della transumanza si può consultare:
Moreno Massaini. “Transumanza. Dal Casentino alla Maremma”. Ediz. Edigraf. Roma 2005;
Paolo Marcaccini e Lidia Calzolai. “I percorsi della Transumanza in Toscana”. Ed Polistampa. Firenze 2003.
Vittoria Vespro
[segue galleria di foto del percorso]
Rapsodia
Johannes Brahms considerava la sua “Rapsodia” il lavoro in cui aveva espresso i suoi sentimenti più profondi. Fu scritta nel 1869 a Baden-Baden quando il musicista, che era già direttore della Singakademie di Vienna dal 1862, conduceva una vita di alternanza fra i momenti di composizione e quelli in cui presentava i suoi lavori in concerti tenuti nelle più importanti città tedesche, austriache e svizzere.
Il momento della composizione era l’estate. Nella sua residenza nella Stiria e nei paesaggi alpini della Carinzia, del Tirolo trovava lo spirito adatto in una solitudine creativa.
Era un buon camminatore anche se per una tendenza alla corpulenza le salite gli riuscivano faticose e dure, nelle discese mostrava sicurezza e abilità tanto che quando camminava in compagnia si divertiva a distanziare il gruppo.
Lo scrittore e musicista Jeremy Siepmann nei suoi studi definisce Brahms con l’appellativo The Wanderer . Infatti come pellegrino o viandante si coglie il suo desiderio di cercare e inoltrarsi nei luoghi che lo aiutavano a sentire lo spirito romantico e lo conducevano a scrivere poi musica di grande astrazione lirica.
La prima esecuzione della ‘Rapsodia’ op.53 ebbe luogo a Jena nel marzo 1870. E’un’opera per contralto solo, coro maschile e orchestra che vuol esprimere l’animo di un personaggio malinconico. Per i versi si affida a quello che ‘ già esiste con grande perfezione’, come afferma lui stesso e li trova nel grande Goethe.
E’ un testo scritto a sua volta in un momento di grande intensità romantica. Il poeta tedesco quasi cento anni prima si trovava al seguito del granduca di Weimar per una battuta di caccia, quando lasciò la compagnia e fece una deviazione verso le miniere d’argento di Ilmenau e le vette più alte dello Harrz, cercando la scalata del Broken, una montagna che, per tradizione nella notte di Valpurga, era abitata da streghe.
L’ esperienza produsse una composizione poetica, una fra le più belle liriche
‘ Viaggio in inverno nello Harz (Harzreise im Winter)’’ che farà parte del ‘Ciclo del viandante’.
‘ Nella macchia il sentiero si perde,
dietro i suoi passi
si chiudono di colpo gli arbusti,
si rialzano l'erbe,
l'inghiotte la solitudine ‘
La Rapsodia di Brahms si compone di tre episodi corrispondenti al testo goethiano. Un Adagio riflessivo meditativo, segnato dal tremulo degli archi bassi, un recitativo per contralto, dove le pause esaltano momenti lirici e drammatici, e l’ultima parte, ancora un Adagio, con un coro maschile sottovoce che si aggiunge alla voce del contralto, come un sostegno nella sua richiesta di pace.
Una sensazione di quasi drammatica tristezza potrebbe comunicare questo tema che si presenta molto lontano dai temi popolari associati alle montagne. Brahms sposa invece quel pessimismo romantico , vicino a quello di Goethe, dove se il poeta comunicava la sua ricerca di eterno viandante, il musicista forse denunciava un momento di infelicità amorosa. Altro è lo spirito di comunione perfetta con una natura esaltante che ci racconta una testimonianza riportata nei ‘Ricordi’ del suo grande compagno di viaggi e camminate Widman.
L’amico mentre saliva insieme al musicista verso il Grimmelwald , si mostrò sopraffatto dalla magnificenza che mostrava la maestà dei ghiacciai della Junfrau, e finì per dire che nessuna arte avrebbe potuto esprimere quello che l’animo umano sentiva in quel momento. Brahms replicò, dandogli di uomo grossolano, che chiunque altro avrebbe potuto esprimersi meglio e dire, per esempio, “ E’ proprio come la vostra terza sinfonia!’
Anche nel ‘Canto del destino’op. 54 su un testo dall’Hyperion di Friedrich Holderlin, il clima che si avverte è più ricco di una idea di speranza e di un rapporto riconciliato con la natura.
Quando Brahmas raggiunse il successo e una tranquillità economica poté realizzare il sogno che da sempre aveva coltivato, visitare l’Italia. Dal 1878 venne in Italia otto volte sempre accompagnato da amici e definendo la sua esperienza ‘ un pellegrinaggio artistico’.
Amò molto le opere d’arte, la natura, la vita, il cibo ma non la musica italiana.
In una lettera a Clara Schumann scrisse:
‘ Se tu stessi per un’ora sola davanti alla facciata del duomo di Siena saresti felice e penseresti che vale la pena di fare un viaggio apposta.’
Costanza Vanni
Il momento della composizione era l’estate. Nella sua residenza nella Stiria e nei paesaggi alpini della Carinzia, del Tirolo trovava lo spirito adatto in una solitudine creativa.
Era un buon camminatore anche se per una tendenza alla corpulenza le salite gli riuscivano faticose e dure, nelle discese mostrava sicurezza e abilità tanto che quando camminava in compagnia si divertiva a distanziare il gruppo.
Lo scrittore e musicista Jeremy Siepmann nei suoi studi definisce Brahms con l’appellativo The Wanderer . Infatti come pellegrino o viandante si coglie il suo desiderio di cercare e inoltrarsi nei luoghi che lo aiutavano a sentire lo spirito romantico e lo conducevano a scrivere poi musica di grande astrazione lirica.
La prima esecuzione della ‘Rapsodia’ op.53 ebbe luogo a Jena nel marzo 1870. E’un’opera per contralto solo, coro maschile e orchestra che vuol esprimere l’animo di un personaggio malinconico. Per i versi si affida a quello che ‘ già esiste con grande perfezione’, come afferma lui stesso e li trova nel grande Goethe.
E’ un testo scritto a sua volta in un momento di grande intensità romantica. Il poeta tedesco quasi cento anni prima si trovava al seguito del granduca di Weimar per una battuta di caccia, quando lasciò la compagnia e fece una deviazione verso le miniere d’argento di Ilmenau e le vette più alte dello Harrz, cercando la scalata del Broken, una montagna che, per tradizione nella notte di Valpurga, era abitata da streghe.
L’ esperienza produsse una composizione poetica, una fra le più belle liriche
‘ Viaggio in inverno nello Harz (Harzreise im Winter)’’ che farà parte del ‘Ciclo del viandante’.
‘ Nella macchia il sentiero si perde,
dietro i suoi passi
si chiudono di colpo gli arbusti,
si rialzano l'erbe,
l'inghiotte la solitudine ‘
La Rapsodia di Brahms si compone di tre episodi corrispondenti al testo goethiano. Un Adagio riflessivo meditativo, segnato dal tremulo degli archi bassi, un recitativo per contralto, dove le pause esaltano momenti lirici e drammatici, e l’ultima parte, ancora un Adagio, con un coro maschile sottovoce che si aggiunge alla voce del contralto, come un sostegno nella sua richiesta di pace.
Una sensazione di quasi drammatica tristezza potrebbe comunicare questo tema che si presenta molto lontano dai temi popolari associati alle montagne. Brahms sposa invece quel pessimismo romantico , vicino a quello di Goethe, dove se il poeta comunicava la sua ricerca di eterno viandante, il musicista forse denunciava un momento di infelicità amorosa. Altro è lo spirito di comunione perfetta con una natura esaltante che ci racconta una testimonianza riportata nei ‘Ricordi’ del suo grande compagno di viaggi e camminate Widman.
L’amico mentre saliva insieme al musicista verso il Grimmelwald , si mostrò sopraffatto dalla magnificenza che mostrava la maestà dei ghiacciai della Junfrau, e finì per dire che nessuna arte avrebbe potuto esprimere quello che l’animo umano sentiva in quel momento. Brahms replicò, dandogli di uomo grossolano, che chiunque altro avrebbe potuto esprimersi meglio e dire, per esempio, “ E’ proprio come la vostra terza sinfonia!’
Anche nel ‘Canto del destino’op. 54 su un testo dall’Hyperion di Friedrich Holderlin, il clima che si avverte è più ricco di una idea di speranza e di un rapporto riconciliato con la natura.
Quando Brahmas raggiunse il successo e una tranquillità economica poté realizzare il sogno che da sempre aveva coltivato, visitare l’Italia. Dal 1878 venne in Italia otto volte sempre accompagnato da amici e definendo la sua esperienza ‘ un pellegrinaggio artistico’.
Amò molto le opere d’arte, la natura, la vita, il cibo ma non la musica italiana.
In una lettera a Clara Schumann scrisse:
‘ Se tu stessi per un’ora sola davanti alla facciata del duomo di Siena saresti felice e penseresti che vale la pena di fare un viaggio apposta.’
Costanza Vanni
Tatuagio
Cornelius de Bruyn, pittore e scultore olandese , nel 1674 partì in viaggio verso i paesi del levante, un viaggio che durò diciannove anni, e fu ricco di molte esperienze. I libri che descrissero i suoi viaggi preziosi per l’accuratezza delle descrizioni e il supporto dei disegni, furono molto importanti al suo tempo per aumentare la conoscenza europea del popoli stranieri.
Fra i suoi testi troviamo questo interessante documento:
Prima di lasciare Gerusalemme devo dire come ci si fanno stampare sul braccio dei marchi che testimoniano che si è fatto il viaggio a Gerusalemme. Hanno diverse forme di forge diverse, ognuno sceglie quella che gli piace di più. Di solito sono i Drogmans ( interpretare con la scala di valori del Levante ) che fanno questo e che conservano anche queste forme. Quando uno ha scelto quello che gli piace di più, si mette sopra del carbone pestato, dopo di che viene applicata la forma sul braccio, in modo che le linee in cui il carbone in polvere è penetrato si possano vedere chiaramente. Dopo di che chi deve stampare il marchio vi prende il braccio con la mano sinistra, e ne tiene la pelle ben stesa, mentre, con la mano destra, tiene due aghi legati insieme e avvolti con della lana, con cui infilza le linee segnate nel modo più preciso possibile, perché la traccia sia più marcata , e per quanto si spinga con gli aghi, il sangue non esce. Ma penso che questo si spieghi con le piccole dimensioni dei fori che sono a malapena visibili. Dopo di che, questo punto del braccio viene strofinato con un tipo di inchiostro, che nel giro delle 24 ore in cui viene lasciato lì con l’asciugamano in cui è stato avvolto, penetra così che le linee in cui sono stati fatti i puntini con l’ago, appaiono neri o blu, ma così fatti bene che sembra che siano dipinti e il colore rimane bello e inalterato, per tutta la vita della persona. Se questi segni fossero stampati in altre parti del corpo, e in un punto in cui la carne è tenera e più sensibile, non andrebbe altrettanto bene, perché avendo avuto la curiosità di farmene applicare alcuni sul petto , mi hanno fatto passare la voglia di ridere. Eppure ne ho visti che, sia per devozione o per altro, se ne erano fatti fare su tutto il petto.