Giovanna e Guido hanno proseguito il loro
Cammino di Francesco
da Cantalice fino a Monte Sant'Angelo (2015)
Cammino di Francesco
da Cantalice fino a Monte Sant'Angelo (2015)
DIARIO
Quest’anno il “cestino da viaggio” preparato da Cristina, la nostra cara nipote, clarissa-pellegrina per procura,
sarà 2.0 perché ce lo manderà di settimana in settimana via iphone, evviva la tecnologia!
sarà 2.0 perché ce lo manderà di settimana in settimana via iphone, evviva la tecnologia!
2 maggio 2015 FIRENZE - CANTALICE
Lettura del salmo 16 Preghiera di Davide.
In un curioso decrescendo, “dalle stelle alle stalle”, della qualità dei treni che ci porteranno a destinazione, partiamo con un Freccia rossa da Firenze per Roma Tiburtina; prendiamo il treno regionale veloce per Terni dal rumore assordante, e chiudiamo in bellezza con un fatiscente “due carrozze” per Rieti, dai finestrini con tendine incorporate grazie ai graffiti di improbabili wrighters.
Il treno parte con la ridotta, ingrana le marce, piano piano prende l’aire e sale sale fino a Marmore, poi raggiunge Stroncone, scende a Greccio e infine arriva a Rieti.
Mentre nel tratto tra Terni e Rieti abbiamo toccato le stazioncine di Orte, Nemo, Mortara e Narni tutte segnate dall’industria dell’acciaieria ormai ridotta a un insieme di ruderi industriali arrugginiti di una tristezza unica, ora possiamo godere dei luoghi attraversati nel 2005, proprio dieci anni fa, lungo il Cammino “Di qui passò Francesco”, immergendoci nella verdissima Valle Reatina.
Quello che iniziamo domani, infatti, è la prosecuzione di quel cammino, seguendo ancora San Francesco, che si fece pellegrino alla Grotta di San Michele Arcangelo di cui era particolarmente devoto.
A Rieti la ruvidezza nei modi dei dipendenti Cotral ci apre un mondo, ma alla fine riusciamo a capire quale sarà il bus che ci porterà in poco tempo a Cantalice Superiore. Alla fermata ci accoglie a braccia aperte S. Felice (è ritratto proprio così nella statua che campeggia accanto alla chiesa), e dopo un po’ di indagini sul posto, prendiamo per Via San Gregorio poi Via Pascoli e, tenendo la destra, arriviamo in località Civitella, a casa della signora Lina, poco più di 1 km. dalla fermata del bus, dove dormiremo.
Abbiamo deciso di sostare qui perché il tratto Poggio Bustone – Cantalice della prima tappa lo abbiamo già percorso nel 2005 e così facendo ci risparmieremo circa 6 km. del cammino di domani.
Dalla casa, un bell’edificio in pietra restaurato con gusto, ci si affaccia sulla Valle Reatina con vista su Poggio Bustone là in fondo a mezza costa.
Quattro passi pellegrini fino al Santuario di S. Felice all’Acqua dove il santo compì il primo miracolo facendo sgorgare dell’acqua che ancora oggi disseta chi passa di lì, poi torniamo per goderci il solicello sul muretto di casa, in attesa che la signora Lina condivida con noi la cena, offrendoci un piatto tipico, le strengozze alla cantaliciana, veramente buone.Fatte quattro chiacchiere con la signora Lina, ce ne andiamo a nanna sotto il cielo stellato, in un silenzio meraviglioso.
Lettura del salmo 16 Preghiera di Davide.
In un curioso decrescendo, “dalle stelle alle stalle”, della qualità dei treni che ci porteranno a destinazione, partiamo con un Freccia rossa da Firenze per Roma Tiburtina; prendiamo il treno regionale veloce per Terni dal rumore assordante, e chiudiamo in bellezza con un fatiscente “due carrozze” per Rieti, dai finestrini con tendine incorporate grazie ai graffiti di improbabili wrighters.
Il treno parte con la ridotta, ingrana le marce, piano piano prende l’aire e sale sale fino a Marmore, poi raggiunge Stroncone, scende a Greccio e infine arriva a Rieti.
Mentre nel tratto tra Terni e Rieti abbiamo toccato le stazioncine di Orte, Nemo, Mortara e Narni tutte segnate dall’industria dell’acciaieria ormai ridotta a un insieme di ruderi industriali arrugginiti di una tristezza unica, ora possiamo godere dei luoghi attraversati nel 2005, proprio dieci anni fa, lungo il Cammino “Di qui passò Francesco”, immergendoci nella verdissima Valle Reatina.
Quello che iniziamo domani, infatti, è la prosecuzione di quel cammino, seguendo ancora San Francesco, che si fece pellegrino alla Grotta di San Michele Arcangelo di cui era particolarmente devoto.
A Rieti la ruvidezza nei modi dei dipendenti Cotral ci apre un mondo, ma alla fine riusciamo a capire quale sarà il bus che ci porterà in poco tempo a Cantalice Superiore. Alla fermata ci accoglie a braccia aperte S. Felice (è ritratto proprio così nella statua che campeggia accanto alla chiesa), e dopo un po’ di indagini sul posto, prendiamo per Via San Gregorio poi Via Pascoli e, tenendo la destra, arriviamo in località Civitella, a casa della signora Lina, poco più di 1 km. dalla fermata del bus, dove dormiremo.
Abbiamo deciso di sostare qui perché il tratto Poggio Bustone – Cantalice della prima tappa lo abbiamo già percorso nel 2005 e così facendo ci risparmieremo circa 6 km. del cammino di domani.
Dalla casa, un bell’edificio in pietra restaurato con gusto, ci si affaccia sulla Valle Reatina con vista su Poggio Bustone là in fondo a mezza costa.
Quattro passi pellegrini fino al Santuario di S. Felice all’Acqua dove il santo compì il primo miracolo facendo sgorgare dell’acqua che ancora oggi disseta chi passa di lì, poi torniamo per goderci il solicello sul muretto di casa, in attesa che la signora Lina condivida con noi la cena, offrendoci un piatto tipico, le strengozze alla cantaliciana, veramente buone.Fatte quattro chiacchiere con la signora Lina, ce ne andiamo a nanna sotto il cielo stellato, in un silenzio meraviglioso.
3 maggio 2015 CANTALICE - CITTADUCALE Km 20,6
Lettura del Salmo 91 Abitare al riparo dell’Altissimo
Alle 7,30 partiamo con un tempo bellissimo mentre, sotto di noi, la nebbia nasconde la Valle Reatina. Torniamo alla statua di San Felice e ci immettiamo sul Cammino. Di fronte a noi si scorge il Terminillo con ancora dei lembi di neve.
Tutto procede bene, il percorso è ben descritto nella guida dell’Angela e il GPS con le tracce di Pasquale e di Simone nelle abili mani di Guido fa il resto.Paesini, boschi, ciclamini, ginestrelle, cavalli, cani, gatti allietano il nostro cammino.
Siamo molto felici di essere di nuovo, zaino in spalla, “sulla strada”.
Sosta per merendino a Cupparello poi, uno dei tanti angeli del cammino, che i pellegrini conoscono bene, ci rassicura sul percorso da seguire verso un rudere coperto di edera segnalato nella guida.
Siamo arrivati a Cittaducale proprio per l’ora di pranzo e così ci facciamo fuori il formaggio e il salame della signora Lina su una panchina sotto la torre della città.
Ci incamminiamo per la via principale e raggiungiamo la piazza centrale, deserta, racchiusa da splendidi palazzi e dalla cattedrale sulla cui facciata campeggia un bel rosone che ricorda quelli delle chiese di Tuscania.
Le Suore Benedettine ci accolgono con molta cordialità e così ci sistemiamo. Visto il sole, non ci facciamo mancare la stesa del primo bucatino pellegrino della serie.Sul tardo pomeriggio ritorniamo nella piazza che ora invece è animata dal vocìo di grandi e piccini .
Torniamo per cena al convento. Ad una ad una, con una scusa o con l’altra, tutte le suore vengono a vederci, siamo la novità del giorno. La madre, Suor Ildebranda, vive qui da 60 anni. Cercava una vita di clausura stretta, ma ha dovuto fare anche la maestra di quell’asilo che ora non hanno più.
Come comunità si sono aperte all’Africa, accogliendo una suora africana che è lì da vent’anni, ma i problemi di diversità di cultura non sono mancati.
Lettura del Salmo 91 Abitare al riparo dell’Altissimo
Alle 7,30 partiamo con un tempo bellissimo mentre, sotto di noi, la nebbia nasconde la Valle Reatina. Torniamo alla statua di San Felice e ci immettiamo sul Cammino. Di fronte a noi si scorge il Terminillo con ancora dei lembi di neve.
Tutto procede bene, il percorso è ben descritto nella guida dell’Angela e il GPS con le tracce di Pasquale e di Simone nelle abili mani di Guido fa il resto.Paesini, boschi, ciclamini, ginestrelle, cavalli, cani, gatti allietano il nostro cammino.
Siamo molto felici di essere di nuovo, zaino in spalla, “sulla strada”.
Sosta per merendino a Cupparello poi, uno dei tanti angeli del cammino, che i pellegrini conoscono bene, ci rassicura sul percorso da seguire verso un rudere coperto di edera segnalato nella guida.
Siamo arrivati a Cittaducale proprio per l’ora di pranzo e così ci facciamo fuori il formaggio e il salame della signora Lina su una panchina sotto la torre della città.
Ci incamminiamo per la via principale e raggiungiamo la piazza centrale, deserta, racchiusa da splendidi palazzi e dalla cattedrale sulla cui facciata campeggia un bel rosone che ricorda quelli delle chiese di Tuscania.
Le Suore Benedettine ci accolgono con molta cordialità e così ci sistemiamo. Visto il sole, non ci facciamo mancare la stesa del primo bucatino pellegrino della serie.Sul tardo pomeriggio ritorniamo nella piazza che ora invece è animata dal vocìo di grandi e piccini .
Torniamo per cena al convento. Ad una ad una, con una scusa o con l’altra, tutte le suore vengono a vederci, siamo la novità del giorno. La madre, Suor Ildebranda, vive qui da 60 anni. Cercava una vita di clausura stretta, ma ha dovuto fare anche la maestra di quell’asilo che ora non hanno più.
Come comunità si sono aperte all’Africa, accogliendo una suora africana che è lì da vent’anni, ma i problemi di diversità di cultura non sono mancati.
4 maggio 2015 CITTADUCALE - BORGO SAN PIETRO Km 30,8
Lettura del salmo 136, versetti 1 -9 “Perché il suo amore è per sempre”.
Dopo un affettuoso saluto con Sr. Ildebranda usciamo dal convento.Sono le 7, l’aria è frizzante e c’è un tiepido sole.
Riattraversata la strada principale di Cittaducale in mezzo ai banchi del mercato che stanno aprendo, ci incamminiamo su una strada di campagna a mezza costa nella penombra, mentre alla nostra destra si apre la valle illuminata dal sole dove i campi lavorati formano curiose geometrie interrotte dalla linea ferroviaria diretta a Sulmona.
Passiamo davanti a un’edicola con l’immagine della Madonna della Strada e le rivolgiamo una preghiera perché protegga anche noi.
Raggiungiamo gli scavi archeologici delle terme dell’imperatore Vespasiano, a cui un po’ di manutenzione non guasterebbe poi, attraversata la statale, passiamo accanto ai resti di quella che doveva essere la bellissima chiesa di Santa Maria a Cesoni, purtroppo in gran parte sommersa dalla vegetazione e ci immettiamo su una bella stradina di campagna che fiancheggia un canale. Saliamo sull’argine di un fiume e costeggiamo il grande impianto dell’acquedotto che capta le acque di un altro bellissimo fiume per portarle fino a Roma (80 km. da qui). Superato un antico mulino, testimonianza di un tempo che fu, imbocchiamo la strada e qui comincia il patimento della giornata. Salita, caldo, asfalto fino a Petrella Salto. Saliscendi, caldo, asfalto fino a Borgo San Pietro. Non sarà uno scherzo, in particolare per Guido che non è al top, ma che pellegrino duro e puro resisterà fino all’ultimo metro.Raggiunto il bivio per Pendenza da cui si domina la cima del Terminillo, proseguiamo fino a Casa Natali dove incontriamo Ines e le sue rose gialle. E’ originaria dell’Aquila ma vive qui fin dal 1956.
Giunti a Casa Bianca credevamo di scendere invece si continua a salire. Ci fermiamo a Capradosso per mangiare e prendere un thè nel bar della piazzetta centrale. E’ il paese delle obese (rima involontaria), anche molto giovani, in particolare la barista che dura fatica a muoversi dietro il bancone….
Chiediamo se c’è un mezzo per raggiungere Borgo San Pietro, ma poi decidiamo di continuare a piedi, facendo delle soste più frequenti. A Petrella Salto sembrerebbe che la salita fosse terminata, invece ci attendono ancora alcuni saliscendi poi alla fine raggiungiamo il convento di Borgo San Pietro delle suore francescane di S. Filippa Mareri, dove alloggeremo stanotte.
Il convento è la casa madre dell’ordine, un anonimo edificio moderno ma, sbirciando, abbiamo visto che alcune stanze della direzione sono arredate con bellissimi mobili d’antiquariato.
Anche qui, come a Cittaducale, le suore rammentano con simpatia Angela.Guido è piuttosto stanco e per il caldo ha un’eruzione da contatto sui piedi che posta su Facebook scatenando il panico generale tra gli amici che ci seguono.
Oggi la media non è stata un granché ma come dice il proverbio “chi va piano va sano e va lontano”.
Lettura del salmo 136, versetti 1 -9 “Perché il suo amore è per sempre”.
Dopo un affettuoso saluto con Sr. Ildebranda usciamo dal convento.Sono le 7, l’aria è frizzante e c’è un tiepido sole.
Riattraversata la strada principale di Cittaducale in mezzo ai banchi del mercato che stanno aprendo, ci incamminiamo su una strada di campagna a mezza costa nella penombra, mentre alla nostra destra si apre la valle illuminata dal sole dove i campi lavorati formano curiose geometrie interrotte dalla linea ferroviaria diretta a Sulmona.
Passiamo davanti a un’edicola con l’immagine della Madonna della Strada e le rivolgiamo una preghiera perché protegga anche noi.
Raggiungiamo gli scavi archeologici delle terme dell’imperatore Vespasiano, a cui un po’ di manutenzione non guasterebbe poi, attraversata la statale, passiamo accanto ai resti di quella che doveva essere la bellissima chiesa di Santa Maria a Cesoni, purtroppo in gran parte sommersa dalla vegetazione e ci immettiamo su una bella stradina di campagna che fiancheggia un canale. Saliamo sull’argine di un fiume e costeggiamo il grande impianto dell’acquedotto che capta le acque di un altro bellissimo fiume per portarle fino a Roma (80 km. da qui). Superato un antico mulino, testimonianza di un tempo che fu, imbocchiamo la strada e qui comincia il patimento della giornata. Salita, caldo, asfalto fino a Petrella Salto. Saliscendi, caldo, asfalto fino a Borgo San Pietro. Non sarà uno scherzo, in particolare per Guido che non è al top, ma che pellegrino duro e puro resisterà fino all’ultimo metro.Raggiunto il bivio per Pendenza da cui si domina la cima del Terminillo, proseguiamo fino a Casa Natali dove incontriamo Ines e le sue rose gialle. E’ originaria dell’Aquila ma vive qui fin dal 1956.
Giunti a Casa Bianca credevamo di scendere invece si continua a salire. Ci fermiamo a Capradosso per mangiare e prendere un thè nel bar della piazzetta centrale. E’ il paese delle obese (rima involontaria), anche molto giovani, in particolare la barista che dura fatica a muoversi dietro il bancone….
Chiediamo se c’è un mezzo per raggiungere Borgo San Pietro, ma poi decidiamo di continuare a piedi, facendo delle soste più frequenti. A Petrella Salto sembrerebbe che la salita fosse terminata, invece ci attendono ancora alcuni saliscendi poi alla fine raggiungiamo il convento di Borgo San Pietro delle suore francescane di S. Filippa Mareri, dove alloggeremo stanotte.
Il convento è la casa madre dell’ordine, un anonimo edificio moderno ma, sbirciando, abbiamo visto che alcune stanze della direzione sono arredate con bellissimi mobili d’antiquariato.
Anche qui, come a Cittaducale, le suore rammentano con simpatia Angela.Guido è piuttosto stanco e per il caldo ha un’eruzione da contatto sui piedi che posta su Facebook scatenando il panico generale tra gli amici che ci seguono.
Oggi la media non è stata un granché ma come dice il proverbio “chi va piano va sano e va lontano”.
5 maggio 2015 BORGO SAN PIETRO - FIAMIGNANO / loc. CORSO Km 17,1
Alle 7,30 Giovanna va a messa ed assiste al canto di alcune litanie che le fanno riaffiorare ricordi dell’infanzia.
Guido nel frattempo ha già preparato lo zaino e ricevuto chiamate dagli amici preoccupati per i piedi.
Salutiamo le suore e si parte. Il cielo è velato ma a tratti il sole fa capolino. Il percorso entra nel bosco e segue una via crucis con cappelle in pietra. Gli scorci panoramici sul Lago e la Valle del Salto accompagnano la nostra salita. Voltandoci indietro si rivedono Petrella Salto e Staffoli, mentre verso est cominciamo a intravedere montagne innevate di cui non sappiamo il nome.
Il bosco è di un verde meraviglioso mentre i prati sono un’esplosione di colori, orchidee, ginestrella, ciclamini e altri ancora.
Usciamo dal bosco e deviamo per Mareri per visitare i ruderi del castello del 1200 che appartenne alla famiglia di S. Filippa, la santa francescana di cui andremo a visitare la grotta. Ritorniamo sui nostri passi, che comunque sono stati quasi due chilometri fra andata e ritorno, rientriamo nel bosco e saliamo fino ad un’area picnic da cui si gode una vista superba su tutta la valle. Saliamo ancora fino ad un punto panoramico dominato da una croce, dove lasciamo gli zaini per deviare verso la grotta di S. Filippa che merita davvero una visita, a parte l’orribile baldacchino sull’altare e i vari fiori e sedie di plastica sparsi un po’ dappertutto.
Leggiamo qui i versetti 10 – 22 del salmo 136 “Perché il suo amore è per sempre”
Ripresi gli zaini, ci incamminiamo per la strada sterrata in salita e ci inoltriamo nel bosco fino al punto di maggiore difficoltà dove, grazie alla puntuale descrizione della guida, troviamo i segni e ci dirigiamo verso la croce che avevamo visto fin da Borgo San Pietro e che sembrava irraggiungibile. Da qui si gode un panorama mozzafiato. In lontananza, verso est, si scorge la torre del castello di Fiamignano sul poggio di Popponesco, la nostra prossima meta.Scendiamo dalla cima dove svetta la croce e, seguendo con attenzione i segni, proseguiamo fra macchie di ginepro molto pungenti. Fa caldo e abbiamo sete perciò la vista e l’arrivo al fontanone ci dà un piacere immenso. Ci scoliamo un sacco di bottigliette d’acqua poi ci sistemiamo con i piedi all’aria sotto un bellissimo faggio per il nostro pranzarino pellegrino col pane ancora molto buono di Sr. Ildebranda di Cittaducale e il tonno portato da Firenze.Ci rimettiamo in marcia scendendo a mezza costa, con vista sul lago e sulle montagne innevate all’orizzonte. Del filo spinato nel bel mezzo del sentiero ci complica la vita e non capiamo perché ci sia stato messo. Giunti al castello di Popponesco di cui è rimasta solo la torre, passiamo davanti alla chiesetta di S.Maria in Poggio.
Da qui si cammina su asfalto fino a Corso, traversando un piccolo borgo abbellito da murales sui briganti. Siamo nel Cicolano e un tempo questa è stata zona di brigantaggio.
Finalmente siamo al B & B dove alloggeremo. L’appartamento è in un seminterrato, ma si affaccia su un giardino delizioso e assolato, ottimo per il bucatino di ieri e di oggi. La casa in pietra e legno è piena di oggetti di famiglia e di epoca contadina, nonché libri, riviste e cartoncini per il crowdfounding della Rua di Assisi promosso da Angela.
Il luogo è così tranquillo che ci ricorda l’atmosfera respirata a Pometo sulla via degli Abati. Ci godiamo il sole e ci organizziamo per la cena che potremo fare in questa cucina così ben attrezzata.
Dopo cena il caffè ce lo prendiamo in giardino perché l’aria è particolarmente dolce. E, come dice la Giovanna, se questa è la penitenza, datecela sempre!
Alle 7,30 Giovanna va a messa ed assiste al canto di alcune litanie che le fanno riaffiorare ricordi dell’infanzia.
Guido nel frattempo ha già preparato lo zaino e ricevuto chiamate dagli amici preoccupati per i piedi.
Salutiamo le suore e si parte. Il cielo è velato ma a tratti il sole fa capolino. Il percorso entra nel bosco e segue una via crucis con cappelle in pietra. Gli scorci panoramici sul Lago e la Valle del Salto accompagnano la nostra salita. Voltandoci indietro si rivedono Petrella Salto e Staffoli, mentre verso est cominciamo a intravedere montagne innevate di cui non sappiamo il nome.
Il bosco è di un verde meraviglioso mentre i prati sono un’esplosione di colori, orchidee, ginestrella, ciclamini e altri ancora.
Usciamo dal bosco e deviamo per Mareri per visitare i ruderi del castello del 1200 che appartenne alla famiglia di S. Filippa, la santa francescana di cui andremo a visitare la grotta. Ritorniamo sui nostri passi, che comunque sono stati quasi due chilometri fra andata e ritorno, rientriamo nel bosco e saliamo fino ad un’area picnic da cui si gode una vista superba su tutta la valle. Saliamo ancora fino ad un punto panoramico dominato da una croce, dove lasciamo gli zaini per deviare verso la grotta di S. Filippa che merita davvero una visita, a parte l’orribile baldacchino sull’altare e i vari fiori e sedie di plastica sparsi un po’ dappertutto.
Leggiamo qui i versetti 10 – 22 del salmo 136 “Perché il suo amore è per sempre”
Ripresi gli zaini, ci incamminiamo per la strada sterrata in salita e ci inoltriamo nel bosco fino al punto di maggiore difficoltà dove, grazie alla puntuale descrizione della guida, troviamo i segni e ci dirigiamo verso la croce che avevamo visto fin da Borgo San Pietro e che sembrava irraggiungibile. Da qui si gode un panorama mozzafiato. In lontananza, verso est, si scorge la torre del castello di Fiamignano sul poggio di Popponesco, la nostra prossima meta.Scendiamo dalla cima dove svetta la croce e, seguendo con attenzione i segni, proseguiamo fra macchie di ginepro molto pungenti. Fa caldo e abbiamo sete perciò la vista e l’arrivo al fontanone ci dà un piacere immenso. Ci scoliamo un sacco di bottigliette d’acqua poi ci sistemiamo con i piedi all’aria sotto un bellissimo faggio per il nostro pranzarino pellegrino col pane ancora molto buono di Sr. Ildebranda di Cittaducale e il tonno portato da Firenze.Ci rimettiamo in marcia scendendo a mezza costa, con vista sul lago e sulle montagne innevate all’orizzonte. Del filo spinato nel bel mezzo del sentiero ci complica la vita e non capiamo perché ci sia stato messo. Giunti al castello di Popponesco di cui è rimasta solo la torre, passiamo davanti alla chiesetta di S.Maria in Poggio.
Da qui si cammina su asfalto fino a Corso, traversando un piccolo borgo abbellito da murales sui briganti. Siamo nel Cicolano e un tempo questa è stata zona di brigantaggio.
Finalmente siamo al B & B dove alloggeremo. L’appartamento è in un seminterrato, ma si affaccia su un giardino delizioso e assolato, ottimo per il bucatino di ieri e di oggi. La casa in pietra e legno è piena di oggetti di famiglia e di epoca contadina, nonché libri, riviste e cartoncini per il crowdfounding della Rua di Assisi promosso da Angela.
Il luogo è così tranquillo che ci ricorda l’atmosfera respirata a Pometo sulla via degli Abati. Ci godiamo il sole e ci organizziamo per la cena che potremo fare in questa cucina così ben attrezzata.
Dopo cena il caffè ce lo prendiamo in giardino perché l’aria è particolarmente dolce. E, come dice la Giovanna, se questa è la penitenza, datecela sempre!
6 maggio 2015 FIAMIGNANO / loc. CORSO - CASALE CALABRESE Km 12
Lettura dei versetti 23-26 del salmo 136 “Perché il suo amore è per sempre”.
Si parte poco dopo le 8 con calma con un bel sole. Oggi passiamo il confine di regione, lasciamo il Lazio ed entriamo in Abruzzo.
Si va per strada asfaltata, ma la tappa non sarà lunga perché abbiamo deciso di dividerla in due fermandoci a Casale Calabrese, scelta che si rivelerà indovinata perché il posto a dire che è bellissimo è dir poco.
Superata S. Lucia, si raggiunge Case Tocci Aringo e da lì si continua in direzione Tornimparte. La strada entra in una gola verdissima con aspre rocce grigie. Si sale un dislivello di 350 metri, si supera il ponte che fu fatto saltare dai partigiani della Brigata Maiella per arrestare l’avanzata dei tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
Finita la salita, ci appare davanti un pianoro circondato da cime tondeggianti coperte da macchie di faggi che assomigliano a quelle che circondano il Pian Grande a Castelluccio di Norcia nei Sibillini. La morfologia del terreno va ben oltre quelle classificazioni e incasellamenti che noi stabiliamo per non perdersi nel mare magnum della vastità della terra.
Raggiunta una vecchia casa cantoniera, ci fermiamo per uno spuntino con i panini della frittatina di ieri sera, poi si imbocca la strada sterrata sulla destra e dopo circa 300 metri siamo al Casale Calabrese, gestito da Avio.
Si tratta di un edificio del 1800 che fungeva da dogana tra Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie e che è stato frequentato anche dai briganti.
Sono appena le 12 perciò tutto riposo. Qui siamo in un posto magico, un angolo di mondo incantato.
Siamo a 1200 metri ma si sta benissimo. La casa è circondata da grandi prati attrezzati con tavoli e sdraio per prendere il sole. I grilli cantano a tutto spiano e il bucato asciuga che è un piacere al venticello che sta tirando. Per la gioia di Giovanna ci sono cavalli al pascolo con molti puledrini . Passerà un sacco di tempo beata a guardarli e a riprenderli con la macchina fotografica.
Più tardi arriva un mandriano che fa spostare i cavalli in un altro prato e lo spettacolo dei cavalli al galoppo è strepitoso. Più tardi comunque i cavalli noncuranti ritorneranno nel prato da cui erano stati allontanati.
Avio ci spiega che esistono conflitti tra proprietari dei pascoli e proprietari dei cavalli. I cavalli in pratica brucano l’erba di altri, i quali quando portano su le loro mandrie trovano i pascoli belli rasati e ripuliti.
Ci racconta che intorno ci sono i lupi e che tempo fa è stato trovato un puledro ucciso dai lupi giù al fontanone. Conclusione, anche in questa che appare un’oasi di pace perfetta, c’è da lottare.
Avio ci racconta della sua bella famiglia e in particolare della figlia che andrà in Brasile con un progetto di Intercultura, in base al quale anche loro hanno ospitato tempo fa una studentessa orientale con cui sono ancora in contatto. Avio è innamorato del suo Abruzzo e delle sue montagne come il Sirente e il Velino che vedremo nei prossimi giorni quando passeremo l’altipiano delle Rocche.
La cena, preparata da Albertina, una cuoca eccezionale che Avio si tiene cara, è ottima con piatti tipici molto buoni. Non resta che andare a letto nel silenzio assoluto che qui regna.
Lettura dei versetti 23-26 del salmo 136 “Perché il suo amore è per sempre”.
Si parte poco dopo le 8 con calma con un bel sole. Oggi passiamo il confine di regione, lasciamo il Lazio ed entriamo in Abruzzo.
Si va per strada asfaltata, ma la tappa non sarà lunga perché abbiamo deciso di dividerla in due fermandoci a Casale Calabrese, scelta che si rivelerà indovinata perché il posto a dire che è bellissimo è dir poco.
Superata S. Lucia, si raggiunge Case Tocci Aringo e da lì si continua in direzione Tornimparte. La strada entra in una gola verdissima con aspre rocce grigie. Si sale un dislivello di 350 metri, si supera il ponte che fu fatto saltare dai partigiani della Brigata Maiella per arrestare l’avanzata dei tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
Finita la salita, ci appare davanti un pianoro circondato da cime tondeggianti coperte da macchie di faggi che assomigliano a quelle che circondano il Pian Grande a Castelluccio di Norcia nei Sibillini. La morfologia del terreno va ben oltre quelle classificazioni e incasellamenti che noi stabiliamo per non perdersi nel mare magnum della vastità della terra.
Raggiunta una vecchia casa cantoniera, ci fermiamo per uno spuntino con i panini della frittatina di ieri sera, poi si imbocca la strada sterrata sulla destra e dopo circa 300 metri siamo al Casale Calabrese, gestito da Avio.
Si tratta di un edificio del 1800 che fungeva da dogana tra Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie e che è stato frequentato anche dai briganti.
Sono appena le 12 perciò tutto riposo. Qui siamo in un posto magico, un angolo di mondo incantato.
Siamo a 1200 metri ma si sta benissimo. La casa è circondata da grandi prati attrezzati con tavoli e sdraio per prendere il sole. I grilli cantano a tutto spiano e il bucato asciuga che è un piacere al venticello che sta tirando. Per la gioia di Giovanna ci sono cavalli al pascolo con molti puledrini . Passerà un sacco di tempo beata a guardarli e a riprenderli con la macchina fotografica.
Più tardi arriva un mandriano che fa spostare i cavalli in un altro prato e lo spettacolo dei cavalli al galoppo è strepitoso. Più tardi comunque i cavalli noncuranti ritorneranno nel prato da cui erano stati allontanati.
Avio ci spiega che esistono conflitti tra proprietari dei pascoli e proprietari dei cavalli. I cavalli in pratica brucano l’erba di altri, i quali quando portano su le loro mandrie trovano i pascoli belli rasati e ripuliti.
Ci racconta che intorno ci sono i lupi e che tempo fa è stato trovato un puledro ucciso dai lupi giù al fontanone. Conclusione, anche in questa che appare un’oasi di pace perfetta, c’è da lottare.
Avio ci racconta della sua bella famiglia e in particolare della figlia che andrà in Brasile con un progetto di Intercultura, in base al quale anche loro hanno ospitato tempo fa una studentessa orientale con cui sono ancora in contatto. Avio è innamorato del suo Abruzzo e delle sue montagne come il Sirente e il Velino che vedremo nei prossimi giorni quando passeremo l’altipiano delle Rocche.
La cena, preparata da Albertina, una cuoca eccezionale che Avio si tiene cara, è ottima con piatti tipici molto buoni. Non resta che andare a letto nel silenzio assoluto che qui regna.
7 maggio 2015
CASALE CALABRESE - VILLAGRANDE DI TORNIMPARTE / LE PIAGGE Km 14,8
Lettura dall’ “Evangelii gaudium” di Papa Francesco: “Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”.
Alle 7,30 colazione con il dolce di Gabriella, la moglie di Avio, e panini con pane e formaggio per oggi già pronti da mettere nello zaino.
Sole splendido. Luce incantevole. I cavalli sono già “al lavoro” e i puledrini salterellano intorno alle loro mamme mentre vanno tutti al fontanone a bere. Da non sapere come fare a lasciare questo paradiso. Ma la strada chiama e, dopo la foto ricordo con Avio, si parte.
Ci voltiamo più volte indietro per fissare bene nella memoria questa dolce vallata, ma un’altra altrettanto bella ci attende, l’altipiano di Castiglione, un insieme di praterie e corsi d’acqua a non finire. In un angolo c’è il piccolo borgo di Castiglione con una deliziosa chiesetta di campagna, che Avio tra poco prenderà in custodia. Dall’altro lato della valle passa una mandria di mucche con i vitellini che salterellano così come abbiamo visto fare ai puledrini. I piccoli sono sempre i piccoli…Lasciata la valle, si inizia a salire sulla destra fino al passo della Forca.Lo superiamo e scendiamo per un’antica mulattiera nella vallata dell’Aquila. Di fronte a noi si apre uno scenario grandioso di cime innevate: Gran Sasso, Monti della Laga, Vettore e in basso, in lontananza, la città dell’Aquila.
Raggiunta la strada asfaltata, la si percorre fino a Villagrande di Tornimparte. Ci fermiamo per visitare la chiesa di San Panfilo che contiene dei bellissimi affreschi; in particolare ci colpisce l’affresco della cupola per lo sfondo nero su cui si stagliano le coloratissime figure. Sul piazzale della chiesa svetta un albero altissimo senza fronde, come se fosse un palo. Si tratta dell’albero di maggio. Secondo un’antica tradizione che risale ai tempi dei longobardi, per celebrare la fertilità della terra risvegliata dal torpore invernale, la notte tra il 30 aprile e il 1 maggio, alcuni uomini in segreto abbattono l’albero più alto e più diritto del bosco, lo sfrondano e prima dello spuntare del sole lo innalzano davanti alla chiesa dove resterà per 30 giorni.
Dopo il pranzetto all’”osteria del pellegrino”, sul prato del giardinetto del paese, si prosegue fino al B & B Le Piagge, una bella casetta di legno del signor Alberto. Ci accoglie una sua collaboratrice di origini slave, consumata dalla nostalgia di casa.
Svolte le funzioni di rito pellegrine, ci riposiamo nel giardino e controlliamo la tappa di domani.
Ceniamo con signor Alberto col quale chiacchieriamo del cammino e di tutto un po’.
La cena è stata buonissima e abbondante. Ci voleva il nostro amico Renzo!!
CASALE CALABRESE - VILLAGRANDE DI TORNIMPARTE / LE PIAGGE Km 14,8
Lettura dall’ “Evangelii gaudium” di Papa Francesco: “Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”.
Alle 7,30 colazione con il dolce di Gabriella, la moglie di Avio, e panini con pane e formaggio per oggi già pronti da mettere nello zaino.
Sole splendido. Luce incantevole. I cavalli sono già “al lavoro” e i puledrini salterellano intorno alle loro mamme mentre vanno tutti al fontanone a bere. Da non sapere come fare a lasciare questo paradiso. Ma la strada chiama e, dopo la foto ricordo con Avio, si parte.
Ci voltiamo più volte indietro per fissare bene nella memoria questa dolce vallata, ma un’altra altrettanto bella ci attende, l’altipiano di Castiglione, un insieme di praterie e corsi d’acqua a non finire. In un angolo c’è il piccolo borgo di Castiglione con una deliziosa chiesetta di campagna, che Avio tra poco prenderà in custodia. Dall’altro lato della valle passa una mandria di mucche con i vitellini che salterellano così come abbiamo visto fare ai puledrini. I piccoli sono sempre i piccoli…Lasciata la valle, si inizia a salire sulla destra fino al passo della Forca.Lo superiamo e scendiamo per un’antica mulattiera nella vallata dell’Aquila. Di fronte a noi si apre uno scenario grandioso di cime innevate: Gran Sasso, Monti della Laga, Vettore e in basso, in lontananza, la città dell’Aquila.
Raggiunta la strada asfaltata, la si percorre fino a Villagrande di Tornimparte. Ci fermiamo per visitare la chiesa di San Panfilo che contiene dei bellissimi affreschi; in particolare ci colpisce l’affresco della cupola per lo sfondo nero su cui si stagliano le coloratissime figure. Sul piazzale della chiesa svetta un albero altissimo senza fronde, come se fosse un palo. Si tratta dell’albero di maggio. Secondo un’antica tradizione che risale ai tempi dei longobardi, per celebrare la fertilità della terra risvegliata dal torpore invernale, la notte tra il 30 aprile e il 1 maggio, alcuni uomini in segreto abbattono l’albero più alto e più diritto del bosco, lo sfrondano e prima dello spuntare del sole lo innalzano davanti alla chiesa dove resterà per 30 giorni.
Dopo il pranzetto all’”osteria del pellegrino”, sul prato del giardinetto del paese, si prosegue fino al B & B Le Piagge, una bella casetta di legno del signor Alberto. Ci accoglie una sua collaboratrice di origini slave, consumata dalla nostalgia di casa.
Svolte le funzioni di rito pellegrine, ci riposiamo nel giardino e controlliamo la tappa di domani.
Ceniamo con signor Alberto col quale chiacchieriamo del cammino e di tutto un po’.
La cena è stata buonissima e abbondante. Ci voleva il nostro amico Renzo!!
8 maggio 2015 VILLAGRANDE DI TORNIMPARTE / LE PIAGGE - L'AQUILA Km 18,5
Lettura dall’ “Evangelii gaudium” di Papa Francesco: “abbiamo bisogno di una certezza .. che si chiama senso del mistero”.
Anche oggi il tempo ci vuole bene, abbiamo il sole.
Partiamo con calma verso le 8. Fatte poche centinaia di metri, l’ennesimo cane ci abbaia dal giardino di una villetta e la padrona, avvicinatasi per richiamarlo, ci dice che è di Firenze e ci chiede di portare un bacione alla nostra città. Sarà fatto. Più avanti una curiosa fermata dello scuolabus fatta da qualcuno a mano con semplici pezzi di legno attira la nostra attenzione e si merita di essere immortalata in una foto.
Lungo la strada troviamo case danneggiate dal terremoto, ma anche altre ben messe, addirittura ville circondate da curatissimi prati all’inglese. Attraversiamo il paese di Collefracido dove fanno mostra di sé le opere in legno di uno scultore tra le quali l’insegna del cammino “Con le ali ai piedi”. Poi attraverso un sentiero ombroso e campi assolati raggiungiamo la cima di una collina sovrastata da una croce da cui si gode un bellissimo panorama a 360 gradi.
Proseguiamo con continue vedute del Gran Sasso in un ambiente che ricorda un po’ la via della Plata fra querce e vischio fino a raggiungere una chiesetta di campagna perfettamente restaurata dove ci fermiamo per una breve sosta.
Più avanti, passando fra i campi, incontriamo un uomo con la figlia che ci raccontano della terribile esperienza del terremoto e delle sue drammatiche conseguenze. Ci dicono che in quella occasione è uscito fuori il meglio e il peggio delle persone. Ci sono stati grandi atti di solidarietà e grandi egoismi. Loro non si sono approfittati della situazione e la loro casetta in legno se la sono comprata con i propri soldi. Ma le ferite sono dure da rimarginare specialmente dal punto di vista psicologico perché, essendo stati evacuati, le abitudini sono state stravolte e le relazioni di amicizia disperse, tanto che la moglie non si è più ripresa e vive in un continuo stato di depressione. Dopo un caloroso saluto proseguiamo in salita per Roio e vediamo con i nostri occhi le orribili case delle cosiddette newtown. Danno l’impressione di arrostirci d’estate e di gelarci d’inverno.
Seguendo una via mariana, costellata di cappelle, tra cui una eretta dalla città dell’Aquila dedicata, ironia della sorte, ai misteri dolorosi, scendiamo fino all’Aquila ed entriamo dalla porta a fianco della fontana delle 99 cannelle, dove la sosta è d’obbligo. E’ di una bellezza unica, ogni faccia è diversa dall’altra.
Saliamo fino al nostro punto tappa, il B & B Il Chiassetto, gestito da madre e figlia che coraggiosamente sono tornate in città per riprendere in mano la loro vita.
La città fa impressione. Se non si vede non si può immaginare né capire a pieno com’è la situazione. Interi palazzi vuoti, finestre aperte come “Il grido” di Munch, strade invase dalle erbacce, impalcature incredibili, cantieri con silos di cemento enormi. Ci sono comunque segni di ripresa, alcuni palazzi già restaurati sono di un bellissimo color ocra che riscalda il cuore e la vista. La Basilica di San Bernardino, appena riaperta il 2 di maggio è splendida. Al suo restauro hanno lavorato giovani e bravissimi tecnici che hanno fatto il loro lavoro con grande passione al di là del compenso che sembra non sia stato proprio all’altezza della qualità delle loro prestazioni e della loro professionalità.
Non poteva mancare una visita allo storico Caffè Nurzia in piazza Duomo, divenuto simbolo della città per essere stato il primo negozio a riaprire appena tre mesi dopo il sisma. La signora Natalia ci accoglie con il suo grande sorriso e ci invita ad assaggiare il suo specialissimo torrone al cioccolato. E’ una squisitezza e non possiamo andarcene senza prenderne un po’. Passiamo anche dal Forte Spagnolo perché siamo curiosi di vedere l’Auditorium costruito al suo fianco da Renzo Piano, un piacevole accostamento fra grigio e colori vivacissimi.
Prima di rientrare riusciamo a visitare, seppur solo dall’esterno, la famosissima Basilica di Collemaggio, di una bellezza unica, che riempie gli occhi.
La città è piena di alpini e di bandiere italiane perché nei prossimi giorni vi si terrà il raduno nazionale e la loro presenza la ritroveremo anche nei paesi successivi che attraverseremo.
A cena scopriamo per la prima volta, il gusto del vino “Montepulciano d’Abruzzo”, una vera specialità.
Lettura dall’ “Evangelii gaudium” di Papa Francesco: “abbiamo bisogno di una certezza .. che si chiama senso del mistero”.
Anche oggi il tempo ci vuole bene, abbiamo il sole.
Partiamo con calma verso le 8. Fatte poche centinaia di metri, l’ennesimo cane ci abbaia dal giardino di una villetta e la padrona, avvicinatasi per richiamarlo, ci dice che è di Firenze e ci chiede di portare un bacione alla nostra città. Sarà fatto. Più avanti una curiosa fermata dello scuolabus fatta da qualcuno a mano con semplici pezzi di legno attira la nostra attenzione e si merita di essere immortalata in una foto.
Lungo la strada troviamo case danneggiate dal terremoto, ma anche altre ben messe, addirittura ville circondate da curatissimi prati all’inglese. Attraversiamo il paese di Collefracido dove fanno mostra di sé le opere in legno di uno scultore tra le quali l’insegna del cammino “Con le ali ai piedi”. Poi attraverso un sentiero ombroso e campi assolati raggiungiamo la cima di una collina sovrastata da una croce da cui si gode un bellissimo panorama a 360 gradi.
Proseguiamo con continue vedute del Gran Sasso in un ambiente che ricorda un po’ la via della Plata fra querce e vischio fino a raggiungere una chiesetta di campagna perfettamente restaurata dove ci fermiamo per una breve sosta.
Più avanti, passando fra i campi, incontriamo un uomo con la figlia che ci raccontano della terribile esperienza del terremoto e delle sue drammatiche conseguenze. Ci dicono che in quella occasione è uscito fuori il meglio e il peggio delle persone. Ci sono stati grandi atti di solidarietà e grandi egoismi. Loro non si sono approfittati della situazione e la loro casetta in legno se la sono comprata con i propri soldi. Ma le ferite sono dure da rimarginare specialmente dal punto di vista psicologico perché, essendo stati evacuati, le abitudini sono state stravolte e le relazioni di amicizia disperse, tanto che la moglie non si è più ripresa e vive in un continuo stato di depressione. Dopo un caloroso saluto proseguiamo in salita per Roio e vediamo con i nostri occhi le orribili case delle cosiddette newtown. Danno l’impressione di arrostirci d’estate e di gelarci d’inverno.
Seguendo una via mariana, costellata di cappelle, tra cui una eretta dalla città dell’Aquila dedicata, ironia della sorte, ai misteri dolorosi, scendiamo fino all’Aquila ed entriamo dalla porta a fianco della fontana delle 99 cannelle, dove la sosta è d’obbligo. E’ di una bellezza unica, ogni faccia è diversa dall’altra.
Saliamo fino al nostro punto tappa, il B & B Il Chiassetto, gestito da madre e figlia che coraggiosamente sono tornate in città per riprendere in mano la loro vita.
La città fa impressione. Se non si vede non si può immaginare né capire a pieno com’è la situazione. Interi palazzi vuoti, finestre aperte come “Il grido” di Munch, strade invase dalle erbacce, impalcature incredibili, cantieri con silos di cemento enormi. Ci sono comunque segni di ripresa, alcuni palazzi già restaurati sono di un bellissimo color ocra che riscalda il cuore e la vista. La Basilica di San Bernardino, appena riaperta il 2 di maggio è splendida. Al suo restauro hanno lavorato giovani e bravissimi tecnici che hanno fatto il loro lavoro con grande passione al di là del compenso che sembra non sia stato proprio all’altezza della qualità delle loro prestazioni e della loro professionalità.
Non poteva mancare una visita allo storico Caffè Nurzia in piazza Duomo, divenuto simbolo della città per essere stato il primo negozio a riaprire appena tre mesi dopo il sisma. La signora Natalia ci accoglie con il suo grande sorriso e ci invita ad assaggiare il suo specialissimo torrone al cioccolato. E’ una squisitezza e non possiamo andarcene senza prenderne un po’. Passiamo anche dal Forte Spagnolo perché siamo curiosi di vedere l’Auditorium costruito al suo fianco da Renzo Piano, un piacevole accostamento fra grigio e colori vivacissimi.
Prima di rientrare riusciamo a visitare, seppur solo dall’esterno, la famosissima Basilica di Collemaggio, di una bellezza unica, che riempie gli occhi.
La città è piena di alpini e di bandiere italiane perché nei prossimi giorni vi si terrà il raduno nazionale e la loro presenza la ritroveremo anche nei paesi successivi che attraverseremo.
A cena scopriamo per la prima volta, il gusto del vino “Montepulciano d’Abruzzo”, una vera specialità.
9 maggio 2015 L'AQUILA - FOSSA kM 12,7
Lettura dall’ “Evangelii gaudium” di Papa Francesco: “Lo spirito santo opera come vuole”
Poco prima delle 8 usciamo, c’è il sole ma fa piuttosto fresco.
Passiamo in silenzio fra le case del centro storico. Scendiamo da Collemaggio costeggiando la basilica, fino a raggiungere la statale che attraversiamo per passare la ferrovia e il fiume. Si cammina su strada asfaltata che si lascia per seguire una pista ciclabile piena di persone a fare jogging, ma purtroppo percorsa anche dalle automobili. Questo tratto del cammino non ha molto da offrire, sembra di essere lungo l’Arno sulla pista che porta ai Renai… L’unica nota positiva è che si continua ad avere degli scorci molto belli sulle montagne innevate e che comunque siamo in campagna.
Arrivati a Monticchio attraversiamo la parte vecchia del paese danneggiata dal terremoto, ci riforniamo di viveri e si scende verso Onna, imboccando poi una strada poderale che seguiamo tenendo sempre la destra fino a sbucare, all’altezza di una casina rosa, sulla strada per Fossa. Probabilmente non abbiamo fatto proprio quello che indica la guida, ma dopo 300 metri siamo comunque a Fossa, al B & B Le Terre di Aveja dove sosteremo.
Abbiamo percorso appena 13 km. e sono le 11,30, ma non c’erano alternative se non quella di continuare fino a S. Spirito d’Ocre, facendo una tappa troppo lunga per i nostri gusti. Ce la prendiamo comoda, l’appartamento è molto bello e Angelo il proprietario, come promesso per telefono, ci ha fatto trovare tutto quello che serve per farsi una pasta.
Più tardi andiamo alla chiesa di Santa Maria in Cryptas, la chiesa più importante d’Abruzzo per i suoi affreschi, ma purtroppo è inagibile per il terremoto ed è completamente imbracata. Ci fermiamo all’unico bar per una bevuta. Il figlio della proprietaria si chiama, anche lui, Angelo. Probabilmente non è un caso che si sia circondati da angeli, visto che il nostro cammino va verso Monte Sant’Angelo. Il bambino ci dice con orgoglio che a Firenze sì c’è stato, ma per vedere il concerto di Violetta!!!
Torniamo al nostro posto tappa e Angelo ci dà delle dritte per domani. Ci porta a vedere l’imbocco del sentiero che passa per il Convento di Sant’Angelo d’Ocre che consente di raggiungere Rocca di Mezzo con meno chilometri, ma Guido non se la sente e faremo la strada indicata dalla guida anche perché vogliamo tracciare il percorso ufficiale con il GPS.
La nostra cena sarà una bella frittata con le uova e la menta dell’orto di Angelo, e il riposo assicurato da un silenzio assoluto.
Lettura dall’ “Evangelii gaudium” di Papa Francesco: “Lo spirito santo opera come vuole”
Poco prima delle 8 usciamo, c’è il sole ma fa piuttosto fresco.
Passiamo in silenzio fra le case del centro storico. Scendiamo da Collemaggio costeggiando la basilica, fino a raggiungere la statale che attraversiamo per passare la ferrovia e il fiume. Si cammina su strada asfaltata che si lascia per seguire una pista ciclabile piena di persone a fare jogging, ma purtroppo percorsa anche dalle automobili. Questo tratto del cammino non ha molto da offrire, sembra di essere lungo l’Arno sulla pista che porta ai Renai… L’unica nota positiva è che si continua ad avere degli scorci molto belli sulle montagne innevate e che comunque siamo in campagna.
Arrivati a Monticchio attraversiamo la parte vecchia del paese danneggiata dal terremoto, ci riforniamo di viveri e si scende verso Onna, imboccando poi una strada poderale che seguiamo tenendo sempre la destra fino a sbucare, all’altezza di una casina rosa, sulla strada per Fossa. Probabilmente non abbiamo fatto proprio quello che indica la guida, ma dopo 300 metri siamo comunque a Fossa, al B & B Le Terre di Aveja dove sosteremo.
Abbiamo percorso appena 13 km. e sono le 11,30, ma non c’erano alternative se non quella di continuare fino a S. Spirito d’Ocre, facendo una tappa troppo lunga per i nostri gusti. Ce la prendiamo comoda, l’appartamento è molto bello e Angelo il proprietario, come promesso per telefono, ci ha fatto trovare tutto quello che serve per farsi una pasta.
Più tardi andiamo alla chiesa di Santa Maria in Cryptas, la chiesa più importante d’Abruzzo per i suoi affreschi, ma purtroppo è inagibile per il terremoto ed è completamente imbracata. Ci fermiamo all’unico bar per una bevuta. Il figlio della proprietaria si chiama, anche lui, Angelo. Probabilmente non è un caso che si sia circondati da angeli, visto che il nostro cammino va verso Monte Sant’Angelo. Il bambino ci dice con orgoglio che a Firenze sì c’è stato, ma per vedere il concerto di Violetta!!!
Torniamo al nostro posto tappa e Angelo ci dà delle dritte per domani. Ci porta a vedere l’imbocco del sentiero che passa per il Convento di Sant’Angelo d’Ocre che consente di raggiungere Rocca di Mezzo con meno chilometri, ma Guido non se la sente e faremo la strada indicata dalla guida anche perché vogliamo tracciare il percorso ufficiale con il GPS.
La nostra cena sarà una bella frittata con le uova e la menta dell’orto di Angelo, e il riposo assicurato da un silenzio assoluto.
10 maggio 2015 FOSSA - ROCCA DI MEZZO Km 25,4
Lettura dall’ “Evangelii gaudium” di Papa Francesco: “La risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia”
Si parte alle 8 dopo un’abbondante colazione preparata da Angelo.
Passiamo sotto Fossa, completamente disabitato. Le abitazioni sono state gravemente danneggiate dal terremoto e il centro del paese è inaccessibile. Se fosse stato possibile attraversarlo si sarebbe risparmiato sicuramente un chilometro. Saliamo fino al Monastero-fortezza di S. Spirito d’Ocre per poi riscendere fino a Casentino e infine a Tussillo, dove ci riforniamo di acqua e ci fermiamo per uno spuntino. Da lì comincia il bello: una mulattiera in continua salita ci fa compiere 700 metri di dislivello in pochi chilometri per raggiungere la statale. Arriviamo in cima con la lingua di fuori e stramazziamo sul prato. Ripartiamo rifocillati verso Fonte Avignone e proseguiamo in salita fino ad un’area di sosta che ci ripaga della fatica offrendoci una vista superba sul Gran Sasso e sui monti del Velino.
Attraverso prati pieni di fiori arriviamo a Terranera, da dove inizia il meraviglioso altipiano delle Rocche che percorriamo in tutta la sua lunghezza seguendo una comodissima pista ciclabile che costeggia l’immensa prateria dell’altipiano. Come gli “andaderos” spagnoli ci farà arrivare alla meta di oggi in tutta sicurezza.
Una incredibile distesa di giallo colora la vallata: è la rivincita del piscialletto, che sarebbe il tarassaco, ma che da bambini abbiamo sempre chiamato così.
Fra poco questa vasta pianura sarà un tappeto tutto bianco di narcisi e si svolgerà la festa tradizionale dei carri addobbati di questi candidi fiori dal profumo intenso. Peccato che siamo passati troppo presto.
Entriamo nel paese di Rocca di Mezzo, piena di bandiere tricolore per il raduno degli alpini all’Aquila e, altra curiosità, lungo un marciapiede troviamo un cartello blu con la conchiglia gialla del cammino di Santiago e la “I” di informazioni. Non capiamo perché e chi darà queste informazioni su Santiago proprio a Rocca di Mezzo, ma ciononostante ci fa piacere questa “contaminazione” di cammini.
Alloggiamo alla casa di spiritualità “Madonna delle Rocche” gestita da don Vincenzo, appartenente alla Congregazione ”Famiglia dei Discepoli” fondata da un cappellano militare, p. Minozzi, il quale sconvolto dalle atrocità della prima guerra mondiale volle fondare una casa di assistenza per vedove e orfani.
Don Vincenzo porta ancora la tonaca con sopra uno spolverino grigio stile anni ’50, è simpatico, semplice e genuino, un don Peppone dei nostri giorni.
Siamo gli unici ospiti e gli unici partecipanti alla celebrazione della messa.
Prima di andare a letto, dalla finestra della nostra mansarda, ci godiamo lo spettacolo del paesaggio notturno con i paesini illuminati e la catena del Gran Sasso innevata sullo sfondo.
Lettura dall’ “Evangelii gaudium” di Papa Francesco: “La risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia”
Si parte alle 8 dopo un’abbondante colazione preparata da Angelo.
Passiamo sotto Fossa, completamente disabitato. Le abitazioni sono state gravemente danneggiate dal terremoto e il centro del paese è inaccessibile. Se fosse stato possibile attraversarlo si sarebbe risparmiato sicuramente un chilometro. Saliamo fino al Monastero-fortezza di S. Spirito d’Ocre per poi riscendere fino a Casentino e infine a Tussillo, dove ci riforniamo di acqua e ci fermiamo per uno spuntino. Da lì comincia il bello: una mulattiera in continua salita ci fa compiere 700 metri di dislivello in pochi chilometri per raggiungere la statale. Arriviamo in cima con la lingua di fuori e stramazziamo sul prato. Ripartiamo rifocillati verso Fonte Avignone e proseguiamo in salita fino ad un’area di sosta che ci ripaga della fatica offrendoci una vista superba sul Gran Sasso e sui monti del Velino.
Attraverso prati pieni di fiori arriviamo a Terranera, da dove inizia il meraviglioso altipiano delle Rocche che percorriamo in tutta la sua lunghezza seguendo una comodissima pista ciclabile che costeggia l’immensa prateria dell’altipiano. Come gli “andaderos” spagnoli ci farà arrivare alla meta di oggi in tutta sicurezza.
Una incredibile distesa di giallo colora la vallata: è la rivincita del piscialletto, che sarebbe il tarassaco, ma che da bambini abbiamo sempre chiamato così.
Fra poco questa vasta pianura sarà un tappeto tutto bianco di narcisi e si svolgerà la festa tradizionale dei carri addobbati di questi candidi fiori dal profumo intenso. Peccato che siamo passati troppo presto.
Entriamo nel paese di Rocca di Mezzo, piena di bandiere tricolore per il raduno degli alpini all’Aquila e, altra curiosità, lungo un marciapiede troviamo un cartello blu con la conchiglia gialla del cammino di Santiago e la “I” di informazioni. Non capiamo perché e chi darà queste informazioni su Santiago proprio a Rocca di Mezzo, ma ciononostante ci fa piacere questa “contaminazione” di cammini.
Alloggiamo alla casa di spiritualità “Madonna delle Rocche” gestita da don Vincenzo, appartenente alla Congregazione ”Famiglia dei Discepoli” fondata da un cappellano militare, p. Minozzi, il quale sconvolto dalle atrocità della prima guerra mondiale volle fondare una casa di assistenza per vedove e orfani.
Don Vincenzo porta ancora la tonaca con sopra uno spolverino grigio stile anni ’50, è simpatico, semplice e genuino, un don Peppone dei nostri giorni.
Siamo gli unici ospiti e gli unici partecipanti alla celebrazione della messa.
Prima di andare a letto, dalla finestra della nostra mansarda, ci godiamo lo spettacolo del paesaggio notturno con i paesini illuminati e la catena del Gran Sasso innevata sullo sfondo.
11 maggio 2015 ROCCA DI MEZZO - CELANO Km 18,1
Lettura del salmo 84 Canto di pellegrinaggio.
Salutato il caro don Vincenzo, ci mettiamo in cammino in un’altra bellissima giornata di sole. Fatto rifornimento di un ottimo formaggio locale, seguiamo la pista ciclabile che attraversa tutto l’altipiano fino a Ovindoli. Ad un tratto appare il cartello che indica Piani di Pezza e per Guido è un riaffiorare di bellissimi ricordi del campo nazionale Scout del 1964. Sul pianoro prima di Rovere ci sono già tantissimi narcisi fioriti e lo spettacolo è straordinario. Ci fermiamo a farci uno spuntino, così con la “barriga llena” si cammina molto meglio!
Si esce da Ovindoli, piena di alpini e di bandiere, seguendo il tracciato del gasdotto che in discesa e in mezzo alla pineta ci porta alla statale che attraversiamo più volte.
A San Potito facciamo rifornimento di acqua al cimitero (una cannella c’è sempre lì) e ci inoltriamo in una stradella ombrosa fiancheggiando un ruscello infrascato. Superato un gruppo di case fra cui un rudere con un improponibile cartello “vendesi”, ci fermiamo a far fuori il panino del giorno su un muretto di via Collemenosa.
Siamo prossimi a Celano e dall’alto se ne ha un bel colpo d’occhio. Prima di arrivare alla piazza principale si passa davanti a una bellissima cascata che è la fonte di San Francesco.
Ci sistemiamo in un B & B. del centro poi, sbrigati i soliti rituali pellegrini, si fa un giro turistico di Celano, un paese molto carino, ma molto in salita se si vuole andare a visitare il Castello e l’adiacente chiesetta della Confraternita dedicata all’Arcangelo Michele. Ne vale però la pena anche per il panorama che si gode sulla Valle del Fucino, con sullo sfondo Avezzano, la città di Avio, l’ospitalero di Casale Calabrese.
In paese un fotografo molto gentile ci trasferisce gratuitamente le foto dalla macchina fotografica ad una chiavetta, così almeno quelle fatte fino ad ora sono al sicuro. Facciamo spesa per la cena visto che abbiamo una cucina a disposizione e rientriamo.
Lettura del salmo 84 Canto di pellegrinaggio.
Salutato il caro don Vincenzo, ci mettiamo in cammino in un’altra bellissima giornata di sole. Fatto rifornimento di un ottimo formaggio locale, seguiamo la pista ciclabile che attraversa tutto l’altipiano fino a Ovindoli. Ad un tratto appare il cartello che indica Piani di Pezza e per Guido è un riaffiorare di bellissimi ricordi del campo nazionale Scout del 1964. Sul pianoro prima di Rovere ci sono già tantissimi narcisi fioriti e lo spettacolo è straordinario. Ci fermiamo a farci uno spuntino, così con la “barriga llena” si cammina molto meglio!
Si esce da Ovindoli, piena di alpini e di bandiere, seguendo il tracciato del gasdotto che in discesa e in mezzo alla pineta ci porta alla statale che attraversiamo più volte.
A San Potito facciamo rifornimento di acqua al cimitero (una cannella c’è sempre lì) e ci inoltriamo in una stradella ombrosa fiancheggiando un ruscello infrascato. Superato un gruppo di case fra cui un rudere con un improponibile cartello “vendesi”, ci fermiamo a far fuori il panino del giorno su un muretto di via Collemenosa.
Siamo prossimi a Celano e dall’alto se ne ha un bel colpo d’occhio. Prima di arrivare alla piazza principale si passa davanti a una bellissima cascata che è la fonte di San Francesco.
Ci sistemiamo in un B & B. del centro poi, sbrigati i soliti rituali pellegrini, si fa un giro turistico di Celano, un paese molto carino, ma molto in salita se si vuole andare a visitare il Castello e l’adiacente chiesetta della Confraternita dedicata all’Arcangelo Michele. Ne vale però la pena anche per il panorama che si gode sulla Valle del Fucino, con sullo sfondo Avezzano, la città di Avio, l’ospitalero di Casale Calabrese.
In paese un fotografo molto gentile ci trasferisce gratuitamente le foto dalla macchina fotografica ad una chiavetta, così almeno quelle fatte fino ad ora sono al sicuro. Facciamo spesa per la cena visto che abbiamo una cucina a disposizione e rientriamo.
12 maggio 2015 CELANO - CASTELVECCHIO SUBEQUO Km 28,1
Lettura del salmo 121 Lode a Dio, custode d’Israele
Alle 7,10 siamo già in cammino e si esce dal paese per cominciare a salire verso le Gole di Celano che vedremo da lontano. Si segue una ripida e lunga carrareccia sassosa fino a un valico con una croce. Alla nostra destra si apre uno stupendo panorama sull’immensa Valle del Fucino segnata da una lunga serpentina del fiume. Un tempo questa pianura era un grandissimo lago, il terzo d’Italia, utilizzato dai romani per spettacoli di battaglie navali. Nel corso dei secoli sono state eseguite a più riprese, senza successo, opere di regimazione delle sue acque per le frequenti esondazioni. Finalmente nel 1885 il duca di Torlonia, proprietario dell’area, completò il faraonico progetto del totale prosciugamento del lago, di cui si percepisce tuttora l’originale esistenza.
Raggiungiamo il paese di Aielli dominato dal suo castello e si sale verso un parco eloico. Sul sentiero incrociamo due uomini a cavallo, uno dei pochi incontri lungo questo cammino decisamente solitario, ma che anche per questo ci sta piacendo un sacco. Qui c’è un vento fortissimo e le pale eloiche vanno a tutta, ma per fortuna c’è il sole. Attorno a noi il paesaggio si è fatto brullo ma molto affascinante. Sulle cime circostanti ancora lembi di neve. Superate le pale eoliche, si scende in una valletta fino a una piccola cappelletta all’aperto dedicata a Maria con annesso fontanone e un’adiacente area pic nic purtroppo lasciata all’incuria.
Continuiamo a scendere fino ad un altro bellissimo fontanone dove ci riforniamo di acqua prima di iniziare la salita che si addentra in una valle sempre più stretta per portarci all’altipiano del Baullo che si apre all’improvviso bellissimo di fronte a noi.
Ci fermiamo all’ombra di un grande faggio, perché fa molto caldo. Siamo in un posto magico, immersi nel silenzio di un ambiente selvaggio e solitario, rotto solo dal vento e dal campanaccio delle mucche al pascolo in questo immenso prato verde.
Si lascia l’altipiano tra chiazze di fiori gialli e viola e si scende per asfalto nel bosco con una vista superba sulla Maiella innevata. Nello scendere ci imbattiamo in un branco di cinghiali con i piccoli che fuggono numerosi tra la macchia. Probabilmente l’incontro ravvicinato ha fatto paura più a loro che a noi.
Alla fine della lunga discesa entriamo nel paese di Gagliano Aterno, dominato da un ex convento e poco dopo entriamo in Castelvecchio Subequo.
Ci accolgono Patrizia e il marito Daniele che ci accompagnano alla casa dove alloggeremo: un appartamento molto bello e spazioso veramente un lusso per i pellegrini. Più tardi andiamo alla chiesa del Convento francescano dove un anziano frate ci timbra le credenziali. All’interno della chiesa è nascosta una chicca: la cappella della chiesa originaria affrescata da artisti di scuola giottiana con scene della vita di San Francesco. Su un altare, una teca di cristallo di rocca contiene la reliquia del sangue di San Francesco. Nel 2013 il sangue si è liquefatto alla presenza di vari testimoni, tra cui Patrizia, e sono in corso le procedure per ottenere il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa per farne luogo di pellegrinaggio.
Avremmo potuto cucinare la cena da noi perché nella cucina della casa non mancava niente, ma Patrizia e il marito, probabilmente per equilibri di rapporto tra paesani, hanno voluto portarci alla pizzeria “Antichi Sapori”, dove tutto ci saremmo aspettati fuorché trovarci un gruppo di danesi e il menu con la versione in lingua danese. Un motivo c’è: venti anni fa una coppia di danesi in vacanza in Abruzzo si innamorò della zona e da quel momento con il passa parola si è formata una comunità di 200 danesi, soprattutto pittori che hanno restaurato vecchie case di Gagliano Aterno e vi si sono stabiliti.
Lettura del salmo 121 Lode a Dio, custode d’Israele
Alle 7,10 siamo già in cammino e si esce dal paese per cominciare a salire verso le Gole di Celano che vedremo da lontano. Si segue una ripida e lunga carrareccia sassosa fino a un valico con una croce. Alla nostra destra si apre uno stupendo panorama sull’immensa Valle del Fucino segnata da una lunga serpentina del fiume. Un tempo questa pianura era un grandissimo lago, il terzo d’Italia, utilizzato dai romani per spettacoli di battaglie navali. Nel corso dei secoli sono state eseguite a più riprese, senza successo, opere di regimazione delle sue acque per le frequenti esondazioni. Finalmente nel 1885 il duca di Torlonia, proprietario dell’area, completò il faraonico progetto del totale prosciugamento del lago, di cui si percepisce tuttora l’originale esistenza.
Raggiungiamo il paese di Aielli dominato dal suo castello e si sale verso un parco eloico. Sul sentiero incrociamo due uomini a cavallo, uno dei pochi incontri lungo questo cammino decisamente solitario, ma che anche per questo ci sta piacendo un sacco. Qui c’è un vento fortissimo e le pale eloiche vanno a tutta, ma per fortuna c’è il sole. Attorno a noi il paesaggio si è fatto brullo ma molto affascinante. Sulle cime circostanti ancora lembi di neve. Superate le pale eoliche, si scende in una valletta fino a una piccola cappelletta all’aperto dedicata a Maria con annesso fontanone e un’adiacente area pic nic purtroppo lasciata all’incuria.
Continuiamo a scendere fino ad un altro bellissimo fontanone dove ci riforniamo di acqua prima di iniziare la salita che si addentra in una valle sempre più stretta per portarci all’altipiano del Baullo che si apre all’improvviso bellissimo di fronte a noi.
Ci fermiamo all’ombra di un grande faggio, perché fa molto caldo. Siamo in un posto magico, immersi nel silenzio di un ambiente selvaggio e solitario, rotto solo dal vento e dal campanaccio delle mucche al pascolo in questo immenso prato verde.
Si lascia l’altipiano tra chiazze di fiori gialli e viola e si scende per asfalto nel bosco con una vista superba sulla Maiella innevata. Nello scendere ci imbattiamo in un branco di cinghiali con i piccoli che fuggono numerosi tra la macchia. Probabilmente l’incontro ravvicinato ha fatto paura più a loro che a noi.
Alla fine della lunga discesa entriamo nel paese di Gagliano Aterno, dominato da un ex convento e poco dopo entriamo in Castelvecchio Subequo.
Ci accolgono Patrizia e il marito Daniele che ci accompagnano alla casa dove alloggeremo: un appartamento molto bello e spazioso veramente un lusso per i pellegrini. Più tardi andiamo alla chiesa del Convento francescano dove un anziano frate ci timbra le credenziali. All’interno della chiesa è nascosta una chicca: la cappella della chiesa originaria affrescata da artisti di scuola giottiana con scene della vita di San Francesco. Su un altare, una teca di cristallo di rocca contiene la reliquia del sangue di San Francesco. Nel 2013 il sangue si è liquefatto alla presenza di vari testimoni, tra cui Patrizia, e sono in corso le procedure per ottenere il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa per farne luogo di pellegrinaggio.
Avremmo potuto cucinare la cena da noi perché nella cucina della casa non mancava niente, ma Patrizia e il marito, probabilmente per equilibri di rapporto tra paesani, hanno voluto portarci alla pizzeria “Antichi Sapori”, dove tutto ci saremmo aspettati fuorché trovarci un gruppo di danesi e il menu con la versione in lingua danese. Un motivo c’è: venti anni fa una coppia di danesi in vacanza in Abruzzo si innamorò della zona e da quel momento con il passa parola si è formata una comunità di 200 danesi, soprattutto pittori che hanno restaurato vecchie case di Gagliano Aterno e vi si sono stabiliti.
13 maggio 2015 CASTELVECCHIO SUBEQUO - RAIANO - SULMONA Km 28, 3
Lettura dell’Apocalisse cap. 12 versetti 1 – 12 - L’Arcangelo Michele sconfigge il drago
Oggi faremo due tappe in una per stare un giorno in più a Sulmona, così si recupereranno le forze e si potrà visitare con comodo la città.
Partiamo più presto del solito, l’aria è frizzante e il sole come al solito non manca. Superato il cimitero si inizia subito a salire per una costa molto ripida e si attraversano campi pieni di fiorellini azzurri. Lo sguardo spazia sul bellissimo gruppo del Sirente.
Si raggiunge un valico dove incontriamo un signore che ci saluta e ci racconta che ha scalato tutte le montagne abruzzesi , ma che ora con grande rammarico non può più farlo per ragioni di salute. Ancora una volta ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo a poter fare il cammino.
Ci rimettiamo in marcia e si scende nella Valle Peligna prendendo il primo sentierino che taglia la strada asfaltata. Al secondo però decidiamo di restare sull’asfalto perché la discesa è stata faticosa, troppo ripida e scivolosa per il ghiaino. Troviamo per la prima volta le ginestre fiorite mentre sullo sfondo ci sono ancora cime innevate, un bel contrasto.
Arriviamo a Raiano prima delle 11. Sosta ai giardinetti per uno spuntino con dell’ottimo caciocavallo, tutta un’altra cosa rispetto a quello che troviamo a Firenze.
Si riprende la via, fa molto caldo, e l’asfalto non è il massimo. Ci fermiamo sulla panchina a fianco della chiesetta di Pressa per il pranzo, perché vicino c’è una bella fontana. Non ci si rende conto però che siamo anche alla fermata dell’autobus e proprio mentre stiamo mangiando arriva l’unico autobus della giornata e l’autista, noncurante della nostra presenza, lascia il motore acceso in faccia a noi, una bellezza…
Si riparte , fa caldo e presto siamo di nuovo in salita poi, all’inizio della discesa, si rivede la Maiella in tutta la sua imponenza.
Troviamo ben tre fontane lungo il percorso e possiamo dissetarci a volontà. Lungo questo cammino ci sono molti punti d’acqua, una vera fortuna per il pellegrino. Dopo Campo Fano si vede in lontananza Sulmona ma ci sono ancora almeno cinque chilometri da percorrere e purtroppo si riscende fino al fiume Sagittario per poi risalire un bel po’ sotto il sole.
Entriamo in città da Porta Romana e dobbiamo salire ancora per arrivare ai giardini pubblici dove aspettiamo il proprietario del B & B La Rocca che ci raggiunge quasi subito. Purtroppo la sistemazione non è delle migliori, quasi una topaia: sul letto c’è il cioccolatino di benvenuto ma è quasi ridicolo, perché la stanza è piccola, vecchia, con l’angolo cottura sporco e la finestra non apribile che dà su un tristissimo cavedio. Anche se siamo pellegrini ciò non significa non avere un luogo decente dove stare, visto che poi si pagheranno le stesse 20 euro pagate per accoglienze assai migliori, non ultima quella di Castelvecchio Subequo. Una sola conclusione: da cancellare. Saremmo voluti andare all’albergo dei Celestini ma il raduno degli alpini all’Aquila ha praticamente requisito tutte le strutture ricettive dei dintorni compreso Sulmona.
Facciamo un giro per la città alla ricerca di un posto per cenare e scopriamo che se chiedi ai sulmonesi l’indicazione della via di un ristorante, quelli di rimando ti chiedono che locale c’è nella strada che cerchi; se lo conoscono allora forse ti sanno dare un aiuto. Finalmente troviamo il ristorante Clemente, dove ceneremo a un buon prezzo.
Ce ne torniamo a dormire ma ci vorranno i tappi per prendere sonno perché lo stabile è affollato e i rumori non mancano.
Lettura dell’Apocalisse cap. 12 versetti 1 – 12 - L’Arcangelo Michele sconfigge il drago
Oggi faremo due tappe in una per stare un giorno in più a Sulmona, così si recupereranno le forze e si potrà visitare con comodo la città.
Partiamo più presto del solito, l’aria è frizzante e il sole come al solito non manca. Superato il cimitero si inizia subito a salire per una costa molto ripida e si attraversano campi pieni di fiorellini azzurri. Lo sguardo spazia sul bellissimo gruppo del Sirente.
Si raggiunge un valico dove incontriamo un signore che ci saluta e ci racconta che ha scalato tutte le montagne abruzzesi , ma che ora con grande rammarico non può più farlo per ragioni di salute. Ancora una volta ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo a poter fare il cammino.
Ci rimettiamo in marcia e si scende nella Valle Peligna prendendo il primo sentierino che taglia la strada asfaltata. Al secondo però decidiamo di restare sull’asfalto perché la discesa è stata faticosa, troppo ripida e scivolosa per il ghiaino. Troviamo per la prima volta le ginestre fiorite mentre sullo sfondo ci sono ancora cime innevate, un bel contrasto.
Arriviamo a Raiano prima delle 11. Sosta ai giardinetti per uno spuntino con dell’ottimo caciocavallo, tutta un’altra cosa rispetto a quello che troviamo a Firenze.
Si riprende la via, fa molto caldo, e l’asfalto non è il massimo. Ci fermiamo sulla panchina a fianco della chiesetta di Pressa per il pranzo, perché vicino c’è una bella fontana. Non ci si rende conto però che siamo anche alla fermata dell’autobus e proprio mentre stiamo mangiando arriva l’unico autobus della giornata e l’autista, noncurante della nostra presenza, lascia il motore acceso in faccia a noi, una bellezza…
Si riparte , fa caldo e presto siamo di nuovo in salita poi, all’inizio della discesa, si rivede la Maiella in tutta la sua imponenza.
Troviamo ben tre fontane lungo il percorso e possiamo dissetarci a volontà. Lungo questo cammino ci sono molti punti d’acqua, una vera fortuna per il pellegrino. Dopo Campo Fano si vede in lontananza Sulmona ma ci sono ancora almeno cinque chilometri da percorrere e purtroppo si riscende fino al fiume Sagittario per poi risalire un bel po’ sotto il sole.
Entriamo in città da Porta Romana e dobbiamo salire ancora per arrivare ai giardini pubblici dove aspettiamo il proprietario del B & B La Rocca che ci raggiunge quasi subito. Purtroppo la sistemazione non è delle migliori, quasi una topaia: sul letto c’è il cioccolatino di benvenuto ma è quasi ridicolo, perché la stanza è piccola, vecchia, con l’angolo cottura sporco e la finestra non apribile che dà su un tristissimo cavedio. Anche se siamo pellegrini ciò non significa non avere un luogo decente dove stare, visto che poi si pagheranno le stesse 20 euro pagate per accoglienze assai migliori, non ultima quella di Castelvecchio Subequo. Una sola conclusione: da cancellare. Saremmo voluti andare all’albergo dei Celestini ma il raduno degli alpini all’Aquila ha praticamente requisito tutte le strutture ricettive dei dintorni compreso Sulmona.
Facciamo un giro per la città alla ricerca di un posto per cenare e scopriamo che se chiedi ai sulmonesi l’indicazione della via di un ristorante, quelli di rimando ti chiedono che locale c’è nella strada che cerchi; se lo conoscono allora forse ti sanno dare un aiuto. Finalmente troviamo il ristorante Clemente, dove ceneremo a un buon prezzo.
Ce ne torniamo a dormire ma ci vorranno i tappi per prendere sonno perché lo stabile è affollato e i rumori non mancano.
14 maggio 2015 SULMONA
Dedichiamo la mattinata alla visita dell’Abbazia dello Spirito Santo, fondata da Celestino V, che raggiungiamo con un bus di linea.
All’interno dell’Abbazia ci sono gli uffici della Soprintendenza dei Beni Culturali e i dipendenti sono a disposizione per una visita guidata. La nostra guida è la signora Franca che con competenza e passione ci illustra la storia dell’Abbazia e ci accompagna all’interno del complesso. La chiesa è di un particolare stile barocco dalle forme lineari che richiamano quelle rinascimentali. Gli affreschi ispirati ai vangeli apocrifi sono una rarità perché sono monocromi di color seppia. I Celestini erano legati ai Templari e avevano una visione della Chiesa al femminile, tanto che nel simbolo dell’ordine c’è una S segno appunto della femminilità. A conferma di tutto ciò, in uno degli affreschi raffigurante l’Ultima cena c’è una figura femminile, forse la Maddalena.
Fino al 1996 il complesso è stato adibito a carcere di massima sicurezza. Sotto il fascismo era un carcere politico e vi è stato internato, tra gli altri, anche Sandro Pertini.
Rientrati in città, pranziamo alla pizzeria Chilometro Zero gestita da due simpatici ragazzi molto entusiasti del loro lavoro.
Proseguiamo il giro turistico della città fino alla piazza dell’acquedotto dove ci sono le bancarelle degli agli, la specialità della zona, coltivati in molti campi che abbiamo attraversato venendo da Raiano. Sulmona è famosa per i suoi confetti, in particolare la marca Pelino. Oltre ai classici alla mandorla ce ne sono di mille gusti. Ne prendiamo un po’ di tutti i tipi tra cui i cosiddetti “cannellini” che pare piacessero tanto a Giacomo Leopardi. Ce li sgranocchieremo per molti giorni durante il cammino.
Dedichiamo la mattinata alla visita dell’Abbazia dello Spirito Santo, fondata da Celestino V, che raggiungiamo con un bus di linea.
All’interno dell’Abbazia ci sono gli uffici della Soprintendenza dei Beni Culturali e i dipendenti sono a disposizione per una visita guidata. La nostra guida è la signora Franca che con competenza e passione ci illustra la storia dell’Abbazia e ci accompagna all’interno del complesso. La chiesa è di un particolare stile barocco dalle forme lineari che richiamano quelle rinascimentali. Gli affreschi ispirati ai vangeli apocrifi sono una rarità perché sono monocromi di color seppia. I Celestini erano legati ai Templari e avevano una visione della Chiesa al femminile, tanto che nel simbolo dell’ordine c’è una S segno appunto della femminilità. A conferma di tutto ciò, in uno degli affreschi raffigurante l’Ultima cena c’è una figura femminile, forse la Maddalena.
Fino al 1996 il complesso è stato adibito a carcere di massima sicurezza. Sotto il fascismo era un carcere politico e vi è stato internato, tra gli altri, anche Sandro Pertini.
Rientrati in città, pranziamo alla pizzeria Chilometro Zero gestita da due simpatici ragazzi molto entusiasti del loro lavoro.
Proseguiamo il giro turistico della città fino alla piazza dell’acquedotto dove ci sono le bancarelle degli agli, la specialità della zona, coltivati in molti campi che abbiamo attraversato venendo da Raiano. Sulmona è famosa per i suoi confetti, in particolare la marca Pelino. Oltre ai classici alla mandorla ce ne sono di mille gusti. Ne prendiamo un po’ di tutti i tipi tra cui i cosiddetti “cannellini” che pare piacessero tanto a Giacomo Leopardi. Ce li sgranocchieremo per molti giorni durante il cammino.
15 maggio 2015 SULMONA - PESCOCOSTANZO Km 27,2
(Inizio Novena Pentecoste, ogni giorno lettura di un brano attinente ai frutti dello Spirito, secondo la Lettera ai Galati 5, 22«Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé»)
Lettura su Amore dal Testamento di Santa Chiara.
E amandovi a vicenda nella carità di Cristo, dimostrate al di fuori con le opere (cfr Gc 2,18) l’amore che avete nell’intimo, in modo che, provocate da questo esempio, le sorelle crescano sempre nell'amore di Dio e nella mutua carità.
Lasciamo Sulmona prima delle 7 uscendo da Porta Napoli dopo aver superato il monumento a Celestino V.
Troviamo con facilità l’inizio della variante di montagna, segnata da poco dai fratelli del B&B La Rua di Pescocostanzo dove dormiremo stanotte.
Ci inoltriamo in una valletta piena di olivi e poi cominciamo a salire per un sentiero ben ripulito dai ginepri e ben segnalato. La ripulitura l’ha fatta un anonimo signore di Sulmona che ha lasciato scritto su un pilone il giorno in cui è passato a pulire. I segnali invece sono stati rinfrescati o fatti di nuovo dai fratelli di Pescocostanzo.
Dopo un rudere, il sentiero si impenna ripido a zig zag per una costa erbosa e con esile traccia ma ben segnata si arriva presto a quota 1400 metri. Si raggiungono così dei prati delimitati dal bosco, poi si riscende e si raggiunge l’area archeologica “Ocriticum”, che non sembra particolarmente curata.
Ma le sorprese più belle della giornata sono state l’avvistamento di una volpe e le due impronte di orso che abbiamo trovato più avanti in mezzo al sentiero. Erano proprio di orso ce lo ha confermato Luigi, uno dei fratelli della Rua. Anche lui le ha viste e le ha fotografate tre giorni fa quando è andato sul sentiero a ripassare i segni con la vernice gialla. Dice che a Pescocostanzo quest’estate l’orso si è fatto una passeggiata per il paese e una signora che era sul balcone ad annaffiare i fiori per poco non sviene dalla paura. Proseguiamo la salita in un bosco di faggi , il bosco di S. Antonio, dove ammiriamo uno spettacolare faggio a forma di candeliere poco prima di scendere all’eremo di Sant’Antonio. Eccoci finalmente all’altipiano di Pescocostanzo e, per la gioia dei nostri occhi, i campi sono pieni di narcisi in fiore, un meraviglioso tappeto bianco punteggiato di giallo.
Siamo sul tratturo e Pescocostanzo è in fondo alla valle aggrappato alla montagna che ci aspetta. Prima però ci fermiamo a visitare l’eremo e la Grotta di San Michele, una grotta naturale molto bella meta di pellegrinaggi in particolare l’8 maggio il giorno della festa di S. Michele Arcangelo.
Mentre riprendiamo il cammino ecco una scena di quelle che lasciano estasiata la Giovanna: un uomo e un bambino a cavallo, seguiti da un puledrino che trotterella più che può per non restare indietro, tengono per lunghe briglie due giovani stalloni per lasciarli liberi di galoppare in avanti. Potrebbero essere i butteri di Alberese o i gauchos della pampa argentina, non c’è differenza, perché anche qui si respira aria di vita primordiale.
Tanto per gradire, finale con ripida salita e scalinata per arrivare al posto tappa. Il dislivello complessivo della tappa è stato di mille metri!
Siamo accolti calorosamente da Luigi e dagli altri suoi fratelli , tutti entusiasti di questo cammino e molto impegnati nella sua valorizzazione. Sul muro davanti all’ingresso hanno disegnato un tau giallo e sotto hanno scritto km. 263 a M.S.A., cioè quanti chilometri mancano per arrivare a Monte Sant’Angelo, una cosa davvero pellegrina.Una volta sistemati, facciamo il giro della città che è molto bella. La chiamano la piccola Firenze perché le case e i palazzi sono in stile rinascimentale. E’ particolare anche la pavimentazione delle strade, in pietra grigia con decorazioni geometriche di pietra bianca.
Gli alpini sono arrivati fin qui, la piazza ne è piena!
Ceniamo alla trattoria Le Terrazze, che apre apposta per noi. Graziano, il gentile proprietario, ci parla della storia di Pescocostanzo che appartenne ai Piccolomini i quali fecero venire scalpellini dal Nord per lavorare le pietre che abbelliscono i portoni e le finestre dei palazzi. Ci racconta anche di come gli abitanti di Pescocostanzo riuscirono a riscattarla dai Piccolomini. Dice che qui nevica tanto e che c’è molto turismo invernale, con sciatori che vengono da Napoli, Pescara e perfino dalla Sicilia.
(Inizio Novena Pentecoste, ogni giorno lettura di un brano attinente ai frutti dello Spirito, secondo la Lettera ai Galati 5, 22«Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé»)
Lettura su Amore dal Testamento di Santa Chiara.
E amandovi a vicenda nella carità di Cristo, dimostrate al di fuori con le opere (cfr Gc 2,18) l’amore che avete nell’intimo, in modo che, provocate da questo esempio, le sorelle crescano sempre nell'amore di Dio e nella mutua carità.
Lasciamo Sulmona prima delle 7 uscendo da Porta Napoli dopo aver superato il monumento a Celestino V.
Troviamo con facilità l’inizio della variante di montagna, segnata da poco dai fratelli del B&B La Rua di Pescocostanzo dove dormiremo stanotte.
Ci inoltriamo in una valletta piena di olivi e poi cominciamo a salire per un sentiero ben ripulito dai ginepri e ben segnalato. La ripulitura l’ha fatta un anonimo signore di Sulmona che ha lasciato scritto su un pilone il giorno in cui è passato a pulire. I segnali invece sono stati rinfrescati o fatti di nuovo dai fratelli di Pescocostanzo.
Dopo un rudere, il sentiero si impenna ripido a zig zag per una costa erbosa e con esile traccia ma ben segnata si arriva presto a quota 1400 metri. Si raggiungono così dei prati delimitati dal bosco, poi si riscende e si raggiunge l’area archeologica “Ocriticum”, che non sembra particolarmente curata.
Ma le sorprese più belle della giornata sono state l’avvistamento di una volpe e le due impronte di orso che abbiamo trovato più avanti in mezzo al sentiero. Erano proprio di orso ce lo ha confermato Luigi, uno dei fratelli della Rua. Anche lui le ha viste e le ha fotografate tre giorni fa quando è andato sul sentiero a ripassare i segni con la vernice gialla. Dice che a Pescocostanzo quest’estate l’orso si è fatto una passeggiata per il paese e una signora che era sul balcone ad annaffiare i fiori per poco non sviene dalla paura. Proseguiamo la salita in un bosco di faggi , il bosco di S. Antonio, dove ammiriamo uno spettacolare faggio a forma di candeliere poco prima di scendere all’eremo di Sant’Antonio. Eccoci finalmente all’altipiano di Pescocostanzo e, per la gioia dei nostri occhi, i campi sono pieni di narcisi in fiore, un meraviglioso tappeto bianco punteggiato di giallo.
Siamo sul tratturo e Pescocostanzo è in fondo alla valle aggrappato alla montagna che ci aspetta. Prima però ci fermiamo a visitare l’eremo e la Grotta di San Michele, una grotta naturale molto bella meta di pellegrinaggi in particolare l’8 maggio il giorno della festa di S. Michele Arcangelo.
Mentre riprendiamo il cammino ecco una scena di quelle che lasciano estasiata la Giovanna: un uomo e un bambino a cavallo, seguiti da un puledrino che trotterella più che può per non restare indietro, tengono per lunghe briglie due giovani stalloni per lasciarli liberi di galoppare in avanti. Potrebbero essere i butteri di Alberese o i gauchos della pampa argentina, non c’è differenza, perché anche qui si respira aria di vita primordiale.
Tanto per gradire, finale con ripida salita e scalinata per arrivare al posto tappa. Il dislivello complessivo della tappa è stato di mille metri!
Siamo accolti calorosamente da Luigi e dagli altri suoi fratelli , tutti entusiasti di questo cammino e molto impegnati nella sua valorizzazione. Sul muro davanti all’ingresso hanno disegnato un tau giallo e sotto hanno scritto km. 263 a M.S.A., cioè quanti chilometri mancano per arrivare a Monte Sant’Angelo, una cosa davvero pellegrina.Una volta sistemati, facciamo il giro della città che è molto bella. La chiamano la piccola Firenze perché le case e i palazzi sono in stile rinascimentale. E’ particolare anche la pavimentazione delle strade, in pietra grigia con decorazioni geometriche di pietra bianca.
Gli alpini sono arrivati fin qui, la piazza ne è piena!
Ceniamo alla trattoria Le Terrazze, che apre apposta per noi. Graziano, il gentile proprietario, ci parla della storia di Pescocostanzo che appartenne ai Piccolomini i quali fecero venire scalpellini dal Nord per lavorare le pietre che abbelliscono i portoni e le finestre dei palazzi. Ci racconta anche di come gli abitanti di Pescocostanzo riuscirono a riscattarla dai Piccolomini. Dice che qui nevica tanto e che c’è molto turismo invernale, con sciatori che vengono da Napoli, Pescara e perfino dalla Sicilia.
16 maggio 2015 PESCOCOSTANZO - ATELETA Km 20,6
Lettura su Gioia da Evangelii Gaudium nn. 1-3
Oggi il tempo “cambia verso”: piove, perciò, fatta un’abbondante colazione e salutati calorosamente i fratelli della Rua, che ci chiedono di ricordarli alla Grotta dell’Arcangelo Michele, usciamo bardati di tutto punto per la pioggia.
Prima di lasciare la città entriamo nella cattedrale dalle cinque navate, con un Cristo che sembra librarsi in volo e un soffitto a cassettoni da far invidia al salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio.
Scendiamo per una lunga scalinata e raggiungiamo Rivisondoli, poi per una dirittura che attraversa tutta la pianura si arriva a Roccaraso.
La macchina fotografica si è inceppata per l’umidità perciò non resta che affidarsi all’iphone di Guido.
Saliamo per strada asfaltata. Il panorama sulla Valle del Sangro è impreziosito da nubi bianche che come strisce di panna montata, creano giochi di “vedo e non vedo” sulle cime circostanti.
Ci raggiunge la telefonata di un caro amico per comunicarci che purtroppo la piccola nipotina di appena 4 mesi ha un grave problema di salute e dovrà essere operata. Dispiaciuti lo assicuriamo che pregheremo S. Michele Arcangelo perché la protegga.
Allo scollino, poco prima di Pietransieri esce il sole e ci possiamo levare il poncho. Il paese è carino e i panorami straordinari con fughe di monti verdissimi.
Lungo la strada, asfaltata ma comoda, sgranocchiamo i famosi cannellini di leopardiana memoria. Arriviamo davanti ad una casa dove dei cani maremmani molto aggressivi ci abbaiano contro anche se noi siamo ben lontani dalla loro proprietà. Sono quelli che l’amico Pasquale ha segnalato sulla sua traccia gps, ma per fortuna si limitano ad abbaiare e riusciamo a passare senza problemi.
Oggi l’osteria del pellegrino è su una comodissima panchina della fermata dell’autobus, questa volta per fortuna senza autobus spernacchiante.
Nel primo pomeriggio siamo ad Ateleta al B & B “Colle di Sisto”, un’ottima sistemazione. La proprietaria è una tedesca, molto loquace, sposata con uno del posto che trenta anni fa emigrò in Germania dove per tutto questo tempo ha gestito un ristorante. Sono rientrati in Italia ed hanno investito tutti i loro risparmi in questa struttura, ma purtroppo non hanno scelto il momento migliore perché la crisi ha colpito anche loro.
La macchina fotografica funziona di nuovo. Giovanna ha avuto la pensata di asciugarla con il fon!
Lettura su Gioia da Evangelii Gaudium nn. 1-3
Oggi il tempo “cambia verso”: piove, perciò, fatta un’abbondante colazione e salutati calorosamente i fratelli della Rua, che ci chiedono di ricordarli alla Grotta dell’Arcangelo Michele, usciamo bardati di tutto punto per la pioggia.
Prima di lasciare la città entriamo nella cattedrale dalle cinque navate, con un Cristo che sembra librarsi in volo e un soffitto a cassettoni da far invidia al salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio.
Scendiamo per una lunga scalinata e raggiungiamo Rivisondoli, poi per una dirittura che attraversa tutta la pianura si arriva a Roccaraso.
La macchina fotografica si è inceppata per l’umidità perciò non resta che affidarsi all’iphone di Guido.
Saliamo per strada asfaltata. Il panorama sulla Valle del Sangro è impreziosito da nubi bianche che come strisce di panna montata, creano giochi di “vedo e non vedo” sulle cime circostanti.
Ci raggiunge la telefonata di un caro amico per comunicarci che purtroppo la piccola nipotina di appena 4 mesi ha un grave problema di salute e dovrà essere operata. Dispiaciuti lo assicuriamo che pregheremo S. Michele Arcangelo perché la protegga.
Allo scollino, poco prima di Pietransieri esce il sole e ci possiamo levare il poncho. Il paese è carino e i panorami straordinari con fughe di monti verdissimi.
Lungo la strada, asfaltata ma comoda, sgranocchiamo i famosi cannellini di leopardiana memoria. Arriviamo davanti ad una casa dove dei cani maremmani molto aggressivi ci abbaiano contro anche se noi siamo ben lontani dalla loro proprietà. Sono quelli che l’amico Pasquale ha segnalato sulla sua traccia gps, ma per fortuna si limitano ad abbaiare e riusciamo a passare senza problemi.
Oggi l’osteria del pellegrino è su una comodissima panchina della fermata dell’autobus, questa volta per fortuna senza autobus spernacchiante.
Nel primo pomeriggio siamo ad Ateleta al B & B “Colle di Sisto”, un’ottima sistemazione. La proprietaria è una tedesca, molto loquace, sposata con uno del posto che trenta anni fa emigrò in Germania dove per tutto questo tempo ha gestito un ristorante. Sono rientrati in Italia ed hanno investito tutti i loro risparmi in questa struttura, ma purtroppo non hanno scelto il momento migliore perché la crisi ha colpito anche loro.
La macchina fotografica funziona di nuovo. Giovanna ha avuto la pensata di asciugarla con il fon!
17 maggio 2015 ATELETA - CAROVILLI Km 26,6
Lettura su Pace da Evangelii Gaudium nn. 227- 230
Stamani c’è il sole ma l’aria è piuttosto frescolina.Si scende sulla statale e si fiancheggia la ferrovia che chiamano” la transiberiana” utilizzata a scopo turistico che vista così appare però soltanto come il famoso “binario triste e solitario” di Claudio Villa.Ci fermiamo a visitare la chiesa di S. Piero Avellana dove sono conservate le spoglie di un santo dal nome curioso, Sant’Amico. C’è la messa e le donne cantano meravigliosamente bene a più voci; sembra di risentire i bellissimi canti ascoltati nelle chiese polacche, tutta un’altra storia dalle chitarre e i canti spesso pietosi delle nostre parti.Prima di uscire dal paese ci facciamo “un rincalzino” al bar con cappuccino e brioches e prendiamo anche i panini per oggi.Eccoci finalmente sul tratturo Celano - Foggia, una distesa d’erba che percorreremo a più riprese fino a Carovilli, la meta di oggi. Il percorso è molto selvaggio. In alto il volo dei falchi e noi soli soletti in mezzo alla natura. Sul Colle Mandrano ci fermiamo alla bellissima fonte Palombo. Si sarebbe potuto fare una deviazione per vedere il Re Faione, un faggio secolare, ma la tappa è lunga e il sentiero che si dovrebbe percorrere appare subito molto ripido perciò desistiamo. Proseguendo il cammino immersi nel verde, tra fiori dai mille colori e con ampi panorami che si aprono di tanto in tanto, scorgiamo in lontananza la casina gialla indicata nella guida, ma restiamo un po’ troppo alti e fatichiamo un po’ a ritrovare il sentiero che corre a mezza costa .
Incrociamo due uomini a cavallo che salgono dalla valle in mezzo ai rovi come se niente fosse, mentre noi fatichiamo a traversarli. Facile eh, tanto i cavalli hanno la pelle dura…
In lontananza scorgiamo già Carovilli, mentre voltandoci indietro rivediamo tutto il percorso fatto. Ogni volta sorprende la distanza che si riesce a coprire passo dopo passo!
Scendiamo per la pineta e arrivati al paese, tanto per cambiare, c’è da salire per arrivare al B & B di Avio, un simpatico e ingegnoso ospitalero, grande sostenitore di Angela nel tracciare e custodire il cammino. La sua casa è particolare, l’ha arredata con materiale riciclato assolutamente originale, di cui il massimo è una carriola trasformata in un efficientissimo lavabo con incluso portasciugamano utilizzandone i manici. Uno spettacolo!
Ceniamo a piano terra nell’osteria comunicante con la casa e piena di oggetti vecchi sapientemente restaurati, dove Avio ci prepara alcuni piatti tipici molto buoni.
Con Avio si parla del cammino e dei punti deboli del tratto di tappa nei pressi della casina gialla. Il problema non è di facile soluzione per la morfologia del terreno di quel tratto, ma lui però è sempre pronto ad aiutare i pellegrini in difficoltà. Anche a noi per telefono si era raccomandato di chiamarlo se avessimo incontrato dei problemi. Ci parla della transumanza e dei tratturi e ci diletta con le sue conoscenze storiche sui Sanniti. Ci illustra le ricchezze archeologiche di epoca sannita di questa zona, fra le quali spicca un teatro con schienali anatomici. Insomma ci fa scoprire un Molise assolutamente sconosciuto che nel nostro immaginario era solo un angolo d’Italia arido, terra di emigrazione. Non si capisce perché non sia degnamente valorizzato.
Ce ne andiamo a letto contenti di aver ascoltato tutte queste belle cose, ma stanchi morti: i chilometri di oggi si fanno sentire.
Lettura su Pace da Evangelii Gaudium nn. 227- 230
Stamani c’è il sole ma l’aria è piuttosto frescolina.Si scende sulla statale e si fiancheggia la ferrovia che chiamano” la transiberiana” utilizzata a scopo turistico che vista così appare però soltanto come il famoso “binario triste e solitario” di Claudio Villa.Ci fermiamo a visitare la chiesa di S. Piero Avellana dove sono conservate le spoglie di un santo dal nome curioso, Sant’Amico. C’è la messa e le donne cantano meravigliosamente bene a più voci; sembra di risentire i bellissimi canti ascoltati nelle chiese polacche, tutta un’altra storia dalle chitarre e i canti spesso pietosi delle nostre parti.Prima di uscire dal paese ci facciamo “un rincalzino” al bar con cappuccino e brioches e prendiamo anche i panini per oggi.Eccoci finalmente sul tratturo Celano - Foggia, una distesa d’erba che percorreremo a più riprese fino a Carovilli, la meta di oggi. Il percorso è molto selvaggio. In alto il volo dei falchi e noi soli soletti in mezzo alla natura. Sul Colle Mandrano ci fermiamo alla bellissima fonte Palombo. Si sarebbe potuto fare una deviazione per vedere il Re Faione, un faggio secolare, ma la tappa è lunga e il sentiero che si dovrebbe percorrere appare subito molto ripido perciò desistiamo. Proseguendo il cammino immersi nel verde, tra fiori dai mille colori e con ampi panorami che si aprono di tanto in tanto, scorgiamo in lontananza la casina gialla indicata nella guida, ma restiamo un po’ troppo alti e fatichiamo un po’ a ritrovare il sentiero che corre a mezza costa .
Incrociamo due uomini a cavallo che salgono dalla valle in mezzo ai rovi come se niente fosse, mentre noi fatichiamo a traversarli. Facile eh, tanto i cavalli hanno la pelle dura…
In lontananza scorgiamo già Carovilli, mentre voltandoci indietro rivediamo tutto il percorso fatto. Ogni volta sorprende la distanza che si riesce a coprire passo dopo passo!
Scendiamo per la pineta e arrivati al paese, tanto per cambiare, c’è da salire per arrivare al B & B di Avio, un simpatico e ingegnoso ospitalero, grande sostenitore di Angela nel tracciare e custodire il cammino. La sua casa è particolare, l’ha arredata con materiale riciclato assolutamente originale, di cui il massimo è una carriola trasformata in un efficientissimo lavabo con incluso portasciugamano utilizzandone i manici. Uno spettacolo!
Ceniamo a piano terra nell’osteria comunicante con la casa e piena di oggetti vecchi sapientemente restaurati, dove Avio ci prepara alcuni piatti tipici molto buoni.
Con Avio si parla del cammino e dei punti deboli del tratto di tappa nei pressi della casina gialla. Il problema non è di facile soluzione per la morfologia del terreno di quel tratto, ma lui però è sempre pronto ad aiutare i pellegrini in difficoltà. Anche a noi per telefono si era raccomandato di chiamarlo se avessimo incontrato dei problemi. Ci parla della transumanza e dei tratturi e ci diletta con le sue conoscenze storiche sui Sanniti. Ci illustra le ricchezze archeologiche di epoca sannita di questa zona, fra le quali spicca un teatro con schienali anatomici. Insomma ci fa scoprire un Molise assolutamente sconosciuto che nel nostro immaginario era solo un angolo d’Italia arido, terra di emigrazione. Non si capisce perché non sia degnamente valorizzato.
Ce ne andiamo a letto contenti di aver ascoltato tutte queste belle cose, ma stanchi morti: i chilometri di oggi si fanno sentire.
18 maggio 2015 CAROVILLI - CARPINONE Km 23,8
Alle 7 siamo fuori in una bellissima luce. Si esce dal paese e ci affacciamo sulla valle da cui siamo venuti, così possiamo rivedere buona parte della tappa di ieri.
Saliamo alla chiesa tratturale di San Domenico a Carovilli. Era il luogo dove nella transumanza si svolgevano oltre alle funzioni di culto, quelle di ricovero e di pagamento del dazio.
Passiamo oltre e cominciamo a scendere lungo questo bellissimo tratturo che percorreremo fino a Pescolanciano. Il percorso si alterna fra campi, boschi, macchie di verde, larghe praterie. Pace infinita e silenzio A Masseria, superato il ponte, alcuni cani della casa che dobbiamo fiancheggiare ci vengono incontro abbaiando piuttosto aggressivi, ma per fortuna ci fanno passare. Qui il percorso è stato stravolto dal passaggio dei trattori che vanno per legna, però riusciamo comunque a tenere la direzione e, risalita la collina, ritroviamo i segni quando il sentiero diventa pianeggiante. Traversato un tratto boscoso troviamo la strada lastricata descritta nella guida e alla nostra sinistra si aprono ampi panorami sulle montagne e le valli sottostanti. In vista di Pescolanciano il tratturo si apre davanti a noi in tutta la sua larghezza, 116 metri, ed è molto bello.
Peccato però che proprio poco prima del paese sia stato sfregiato dai mezzi cingolati che vanno per legna che hanno creato degli avvallamenti molto profondi. Purtroppo la transumanza è un ricordo di oltre 50 anni fa e nel tempo il tratturo non ha avuto la dovuta cura. Non solo è stato invaso dalla vegetazione, ma vi sono state costruite case e strade! In paese ci spiegano che il problema è aperto. Il terreno è sottoposto ai vincoli della Soprintendenza delle Belle Arti, ma in pratica la gente si è stufata delle trentennali promesse di sviluppo derivanti dalla valorizzazione del tratturo, perciò ora chi va per legna passa dove vuole.
Casualmente incontriamo fuori dal bar il marito di Maria Assunta una grande amica del Cammino e di Angela. Qui tutti sanno del Cammino. Si fa rifornimento di viveri e la proprietaria del negozio, Angiolina, invita Giovanna a vedere i suoi lavori al tombolo, una bellezza. Abilità che rischiano di perdersi. Una signora ci dice che a scuola ha cercato di coinvolgere le alunne nell’apprendimento di questa arte, ma la proposta è caduta nel vuoto.
Superato il passo di Totila scendiamo verso la statale passando per un gruppo di case dove ci vengono gentilmente riempite le borracce d’acqua. Accanto alle case ci sono due cataste di legna a forma di igloo, una modalità di accatastamento del tutto particolare molto diffuso in questa zona.
Ci fermiamo per mangiare sotto Sessano Matese su una sterrata che fiancheggia la statale.
Ci dobbiamo far coraggio per ripartire perché fa caldo e ci aspettano sette chilometri di asfalto prima di Carpinone. Ci aiutano a superare la fatica l’ombra di qualche albero e le macchie gialle di maggiociondolo che abbelliscono i lati della strada.
All’ingresso di Carpinone, un paese tutto in salita, notiamo in un garage alcune vecchie moto d’epoca tirate a lucido e perfettamente rimesse a nuovo: alcune Guzzi fra cui una con sidecar e prolunga seggiolino e un “Galletto”. Chiediamo al proprietario il permesso di fotografarle, così scambiamo due parole: è un ferroviere in pensione e ci spiega che Carpinone era il secondo nodo ferroviario d’Italia dopo Bologna, ora invece le corse per Roma sono ridottissime. Proprio di fronte c’è la casa di Maria, la nostra ospitalera, che ci accoglie con un grande sorriso. Avio ce ne aveva parlato, perché è stato lui a convincerla ad accogliere i pellegrini; dopo le comprensibili iniziali resistenze, Maria ha accettato e ora è innamorata dei pellegrini. Angela la chiama il pilastro del Cammino, e ha ragione è proprio così.
Maria ci porta nell’ appartamento di fronte al suo, che ha attrezzato con 9 posti letto per i pellegrini. Tutto è in ordine e pulitissimo. In cucina candidi asciughini coprono posate e tazze pronte per la colazione di domani.
Si crea subito un rapporto di grande familiarità. Giovanna più tardi scopre che Maria sta lavorando al tombolo e resta affascinata dall’abilità di quelle mani che con mosse precise spostano i fuselli da una parte all’altra poi, con un rapido gesto, chiudono il filo contro il lavoro già fatto. Sta facendo una tovaglia per la figlia. Scopriamo da alcune foto appese alle pareti di casa che Maria ha fatto l’attrice. Fu scelta per il documentario “Viaggio verso il Sud” del 1956. Avrebbe dovuto girarne altri, ma la mamma non volle perché il padre era emigrato e lei non voleva prendere una decisione che poteva suscitare pettegolezzi in paese.
Maria propone a Giovanna di andare con lei in chiesa per la recita del rosario e per assistere alla messa per l’ottavario della morte del suo testimone di nozze. Maria, che ha fatto da sacrestana con il precedente parroco, guida con voce potente il rosario, dopo aver presentato alle altre donne, con un certo orgoglio, la nuova pellegrina.
Si respira un’atmosfera anni ’50: bisbigli, forse pettegolezzi, saluti col cenno del capo, rituale nei confronti della vedova: tutti le si avvicinano per rinnovarle le condoglianze e la vedova risponde sorridendo mestamente, “recitando” così la sua parte.
Fuori dalla chiesa gli uomini aspettano l’inizio della messa seduti in fila sul muretto, per entrare al segnale convenuto.
Ceniamo nel locale sottostante alla casa gestito dalla cognata di Maria che, nonostante sia giorno di chiusura, apre appositamente per noi e che, su nostra richiesta, ci prepara una bella frittata con gli asparagi selvatici. Una prelibatezza.
Dopo cena conosciamo finalmente il marito di Maria, Valentino, che condivide con lei l’impegno di accogliere i pellegrini. Vogliono che ci intratteniamo con loro e praticamente saltano la cena pur di parlarci della loro vita e di come si sia arricchita da quando hanno intrapreso questa nuova avventura. E’ un’esperienza che ha ridato e continua a dare gioia e serenità alle loro giornate, in particolare a Maria. Sono una coppia molto unita e molto affabile ed è un piacere stare ad ascoltarli.
Fra le varie esperienze ci raccontano di una pellegrina irlandese che per il modo in cui si è presentata e per come si è comportata hanno sempre pensato che fosse un angelo. Sia quel che sia è stata comunque una presenza che ha lasciato tanta pace nel cuore di Maria. Arrivò senza sapere che Maria ospitava i pellegrini, con uno zainetto molto piccolo. La mattina prima di colazione volle suonare con il flauto una musica composta nella notte appositamente per Maria, le impose le mani per la benedizione dello Spirito santo e lasciò una composizione di noci a forma di croce che Maria conserva ancora in cucina. Se ne andò in fretta dicendo che era molto in ritardo e che Maria leggesse nel libro dei pellegrini. Lì Maria trovò i soldi di cui non avevano parlato e un lungo messaggio in inglese, poi accortasi che la pellegrina aveva dimenticato la penna, la rincorse con la macchina e la trovò dopo almeno 3 chilometri, una distanza troppo lunga per il poco tempo trascorso. La pellegrina reagì male alla vista di Maria e presa la penna la rimproverò come se non avesse voluto che Maria vedesse dove stava andando e si dileguò.
Noi restiamo perplessi però commentiamo dicendo che l’importante è stata la sensazione di benessere che Maria conserva ancora ricordando quella presenza.
La serata si conclude in bellezza con Maria che mostra con orgoglio i preziosi lavori al tombolo che custodisce con cura nella cassapanca. Giovanna non si fa scappare l’occasione per fotografare oggetti così belli e così rari e per riprendere Maria che si mette a lavorare al tombolo apposta per lei.
Infine, prima di andare a letto, Maria ci timbra la credenziale con un bellissimo timbro realizzato da un pellegrino romano che era stato suo ospite.
Alle 7 siamo fuori in una bellissima luce. Si esce dal paese e ci affacciamo sulla valle da cui siamo venuti, così possiamo rivedere buona parte della tappa di ieri.
Saliamo alla chiesa tratturale di San Domenico a Carovilli. Era il luogo dove nella transumanza si svolgevano oltre alle funzioni di culto, quelle di ricovero e di pagamento del dazio.
Passiamo oltre e cominciamo a scendere lungo questo bellissimo tratturo che percorreremo fino a Pescolanciano. Il percorso si alterna fra campi, boschi, macchie di verde, larghe praterie. Pace infinita e silenzio A Masseria, superato il ponte, alcuni cani della casa che dobbiamo fiancheggiare ci vengono incontro abbaiando piuttosto aggressivi, ma per fortuna ci fanno passare. Qui il percorso è stato stravolto dal passaggio dei trattori che vanno per legna, però riusciamo comunque a tenere la direzione e, risalita la collina, ritroviamo i segni quando il sentiero diventa pianeggiante. Traversato un tratto boscoso troviamo la strada lastricata descritta nella guida e alla nostra sinistra si aprono ampi panorami sulle montagne e le valli sottostanti. In vista di Pescolanciano il tratturo si apre davanti a noi in tutta la sua larghezza, 116 metri, ed è molto bello.
Peccato però che proprio poco prima del paese sia stato sfregiato dai mezzi cingolati che vanno per legna che hanno creato degli avvallamenti molto profondi. Purtroppo la transumanza è un ricordo di oltre 50 anni fa e nel tempo il tratturo non ha avuto la dovuta cura. Non solo è stato invaso dalla vegetazione, ma vi sono state costruite case e strade! In paese ci spiegano che il problema è aperto. Il terreno è sottoposto ai vincoli della Soprintendenza delle Belle Arti, ma in pratica la gente si è stufata delle trentennali promesse di sviluppo derivanti dalla valorizzazione del tratturo, perciò ora chi va per legna passa dove vuole.
Casualmente incontriamo fuori dal bar il marito di Maria Assunta una grande amica del Cammino e di Angela. Qui tutti sanno del Cammino. Si fa rifornimento di viveri e la proprietaria del negozio, Angiolina, invita Giovanna a vedere i suoi lavori al tombolo, una bellezza. Abilità che rischiano di perdersi. Una signora ci dice che a scuola ha cercato di coinvolgere le alunne nell’apprendimento di questa arte, ma la proposta è caduta nel vuoto.
Superato il passo di Totila scendiamo verso la statale passando per un gruppo di case dove ci vengono gentilmente riempite le borracce d’acqua. Accanto alle case ci sono due cataste di legna a forma di igloo, una modalità di accatastamento del tutto particolare molto diffuso in questa zona.
Ci fermiamo per mangiare sotto Sessano Matese su una sterrata che fiancheggia la statale.
Ci dobbiamo far coraggio per ripartire perché fa caldo e ci aspettano sette chilometri di asfalto prima di Carpinone. Ci aiutano a superare la fatica l’ombra di qualche albero e le macchie gialle di maggiociondolo che abbelliscono i lati della strada.
All’ingresso di Carpinone, un paese tutto in salita, notiamo in un garage alcune vecchie moto d’epoca tirate a lucido e perfettamente rimesse a nuovo: alcune Guzzi fra cui una con sidecar e prolunga seggiolino e un “Galletto”. Chiediamo al proprietario il permesso di fotografarle, così scambiamo due parole: è un ferroviere in pensione e ci spiega che Carpinone era il secondo nodo ferroviario d’Italia dopo Bologna, ora invece le corse per Roma sono ridottissime. Proprio di fronte c’è la casa di Maria, la nostra ospitalera, che ci accoglie con un grande sorriso. Avio ce ne aveva parlato, perché è stato lui a convincerla ad accogliere i pellegrini; dopo le comprensibili iniziali resistenze, Maria ha accettato e ora è innamorata dei pellegrini. Angela la chiama il pilastro del Cammino, e ha ragione è proprio così.
Maria ci porta nell’ appartamento di fronte al suo, che ha attrezzato con 9 posti letto per i pellegrini. Tutto è in ordine e pulitissimo. In cucina candidi asciughini coprono posate e tazze pronte per la colazione di domani.
Si crea subito un rapporto di grande familiarità. Giovanna più tardi scopre che Maria sta lavorando al tombolo e resta affascinata dall’abilità di quelle mani che con mosse precise spostano i fuselli da una parte all’altra poi, con un rapido gesto, chiudono il filo contro il lavoro già fatto. Sta facendo una tovaglia per la figlia. Scopriamo da alcune foto appese alle pareti di casa che Maria ha fatto l’attrice. Fu scelta per il documentario “Viaggio verso il Sud” del 1956. Avrebbe dovuto girarne altri, ma la mamma non volle perché il padre era emigrato e lei non voleva prendere una decisione che poteva suscitare pettegolezzi in paese.
Maria propone a Giovanna di andare con lei in chiesa per la recita del rosario e per assistere alla messa per l’ottavario della morte del suo testimone di nozze. Maria, che ha fatto da sacrestana con il precedente parroco, guida con voce potente il rosario, dopo aver presentato alle altre donne, con un certo orgoglio, la nuova pellegrina.
Si respira un’atmosfera anni ’50: bisbigli, forse pettegolezzi, saluti col cenno del capo, rituale nei confronti della vedova: tutti le si avvicinano per rinnovarle le condoglianze e la vedova risponde sorridendo mestamente, “recitando” così la sua parte.
Fuori dalla chiesa gli uomini aspettano l’inizio della messa seduti in fila sul muretto, per entrare al segnale convenuto.
Ceniamo nel locale sottostante alla casa gestito dalla cognata di Maria che, nonostante sia giorno di chiusura, apre appositamente per noi e che, su nostra richiesta, ci prepara una bella frittata con gli asparagi selvatici. Una prelibatezza.
Dopo cena conosciamo finalmente il marito di Maria, Valentino, che condivide con lei l’impegno di accogliere i pellegrini. Vogliono che ci intratteniamo con loro e praticamente saltano la cena pur di parlarci della loro vita e di come si sia arricchita da quando hanno intrapreso questa nuova avventura. E’ un’esperienza che ha ridato e continua a dare gioia e serenità alle loro giornate, in particolare a Maria. Sono una coppia molto unita e molto affabile ed è un piacere stare ad ascoltarli.
Fra le varie esperienze ci raccontano di una pellegrina irlandese che per il modo in cui si è presentata e per come si è comportata hanno sempre pensato che fosse un angelo. Sia quel che sia è stata comunque una presenza che ha lasciato tanta pace nel cuore di Maria. Arrivò senza sapere che Maria ospitava i pellegrini, con uno zainetto molto piccolo. La mattina prima di colazione volle suonare con il flauto una musica composta nella notte appositamente per Maria, le impose le mani per la benedizione dello Spirito santo e lasciò una composizione di noci a forma di croce che Maria conserva ancora in cucina. Se ne andò in fretta dicendo che era molto in ritardo e che Maria leggesse nel libro dei pellegrini. Lì Maria trovò i soldi di cui non avevano parlato e un lungo messaggio in inglese, poi accortasi che la pellegrina aveva dimenticato la penna, la rincorse con la macchina e la trovò dopo almeno 3 chilometri, una distanza troppo lunga per il poco tempo trascorso. La pellegrina reagì male alla vista di Maria e presa la penna la rimproverò come se non avesse voluto che Maria vedesse dove stava andando e si dileguò.
Noi restiamo perplessi però commentiamo dicendo che l’importante è stata la sensazione di benessere che Maria conserva ancora ricordando quella presenza.
La serata si conclude in bellezza con Maria che mostra con orgoglio i preziosi lavori al tombolo che custodisce con cura nella cassapanca. Giovanna non si fa scappare l’occasione per fotografare oggetti così belli e così rari e per riprendere Maria che si mette a lavorare al tombolo apposta per lei.
Infine, prima di andare a letto, Maria ci timbra la credenziale con un bellissimo timbro realizzato da un pellegrino romano che era stato suo ospite.
19 maggio 2015 CARPINONE - SANT'ELENA SANNITA Km 20,8
Lettura su Benevolenza dalla Lettera di S. Paolo agli Efesini, cap. 4
Alle 7 Maria ci porta un’abbondante colazione. Scattiamo una foto con lei e Valentino e dopo una lunga serie di abbracci partiamo. Salendo per la strada ci volgiamo più volte a salutare Maria che fino all’ultimo ci segue con lo sguardo. Ora, oltre a tutti gli amici di Firenze, abbiamo anche loro nello zaino, una ressa!
Questa sarà la tappa delle ginestre perché ne incontreremo tantissime appena fiorite. Si sale con il sole per strada tranquilla con ampi panorami sulle montagne e poi sulla Valle del Sangro. Arrivati al paese di S. Angelo in Grotte visitiamo per prima la Grotta di San Michele molto suggestiva. Nel giardinetto adiacente alla Grotta c’è il monumento agli emigranti, un insieme di blocchi di pietra grigia ognuno recante il nome di un continente su cui pende una catena. Su una lastra più grande una bellissima poesia che ci piace trascrivere qui: “All’alba si parte per la strada del Nord. Vuoi scordare il granaio vuoto, la terra argillosa e le pietraie di questa montagna. Lo dici alla tua donna che stanotte insonne ti scalda le mani. Già il treno ti porta lontano. A marzo la tua donna andrà sola nei campi a vedere la luna tramontare nel fiume”.
Saliamo nella parte medievale del paese e ci dirigiamo fino ad una porta antica. Entriamo nella chiesa di S. Pietro in Vincoli per visitare la cripta del 1200 intitolata a S. Michele affrescata con dipinti medievali ben conservati raffiguranti le sette opere di misericordia, opera forse del pittore senese Lorenzetti.
Usciamo dal paese in un trionfo di ginestre e passiamo davanti alla chiesetta dedicata a San Rocco con a fianco un cruceiro in pietra. E’ una delle tante dedicate al grande santo pellegrino che troveremo nei giorni successivi così come abbiamo sempre trovato in ogni Cammino.
Il paesaggio che ci circonda è stupendo, ma purtroppo non possiamo usare lo zoom perché la macchina fotografica altrimenti si inceppa e così perdiamo molte belle inquadrature.
Ci fermiamo per un po’ a Macchiagodena dominata da un castello squadrato poggiato su un enorme blocco di roccia, poi raggiunto un piccolo agglomerato, ci fermiamo a mangiare sulla panchina di un parco giochi che, visto il contesto, sembra una piccola cattedrale nel deserto e non se ne capisce l’utilità.
Riprendiamo a salire sotto il sole, ma per fortuna tira vento. In lontananza appare la nostra meta e finalmente siamo a S. Elena Sannita, il paese dei profumi e degli arrotini. Una cosa curiosa è che sullo stemma comunale è raffigurato un cammello perché prima il paese si chiamava Cameli (proprio con una elle sola).
Davanti alla chiesa ecco don Michele tutto sorridente nella sua tonaca nera vecchio stile che prontamente chiama a gran voce una parrocchiana, Antonietta, dicendo: “sono arrivati i pellegrini!” Antonietta si affaccia subito e ci accompagna al delizioso appartamentino che don Vincenzo mette a disposizione dei pellegrini. Una vera accoglienza pellegrina “a donativo!” dove c’è tutto quello che serve per cucinare. Grande don Michele e grandi le sue parrocchiane per quello che fanno per i pellegrini di questo Cammino.
Percorrendo la strada principale su cui si affacciano le case dai bei portali bianchi, si raggiunge da un lato la piazza del Tiglio, una pianta centenaria e dall’altro la piazza dove campeggia il monumento all’arrotino, il mestiere una volta più diffuso tra gli abitanti del paese che spinsero i loro carretti fino a Roma e Napoli.
Anche qui, come abbiamo visto in Abruzzo, le donne vestono di nero a lutto come da noi negli anni ’50.
Nel negozio dove andiamo per fare spesa già sanno che siamo i pellegrini appena arrivati da don Michele. Sottobanco la proprietaria ci dà una bottiglia di vino di sua produzione veramente speciale e quanto alla bottiglia ci dice di lasciarla domattina davanti al negozio. Può stare tranquilla stasera ce la faremo fuori tutta e gliela lasceremo, vuota però!
Lettura su Benevolenza dalla Lettera di S. Paolo agli Efesini, cap. 4
Alle 7 Maria ci porta un’abbondante colazione. Scattiamo una foto con lei e Valentino e dopo una lunga serie di abbracci partiamo. Salendo per la strada ci volgiamo più volte a salutare Maria che fino all’ultimo ci segue con lo sguardo. Ora, oltre a tutti gli amici di Firenze, abbiamo anche loro nello zaino, una ressa!
Questa sarà la tappa delle ginestre perché ne incontreremo tantissime appena fiorite. Si sale con il sole per strada tranquilla con ampi panorami sulle montagne e poi sulla Valle del Sangro. Arrivati al paese di S. Angelo in Grotte visitiamo per prima la Grotta di San Michele molto suggestiva. Nel giardinetto adiacente alla Grotta c’è il monumento agli emigranti, un insieme di blocchi di pietra grigia ognuno recante il nome di un continente su cui pende una catena. Su una lastra più grande una bellissima poesia che ci piace trascrivere qui: “All’alba si parte per la strada del Nord. Vuoi scordare il granaio vuoto, la terra argillosa e le pietraie di questa montagna. Lo dici alla tua donna che stanotte insonne ti scalda le mani. Già il treno ti porta lontano. A marzo la tua donna andrà sola nei campi a vedere la luna tramontare nel fiume”.
Saliamo nella parte medievale del paese e ci dirigiamo fino ad una porta antica. Entriamo nella chiesa di S. Pietro in Vincoli per visitare la cripta del 1200 intitolata a S. Michele affrescata con dipinti medievali ben conservati raffiguranti le sette opere di misericordia, opera forse del pittore senese Lorenzetti.
Usciamo dal paese in un trionfo di ginestre e passiamo davanti alla chiesetta dedicata a San Rocco con a fianco un cruceiro in pietra. E’ una delle tante dedicate al grande santo pellegrino che troveremo nei giorni successivi così come abbiamo sempre trovato in ogni Cammino.
Il paesaggio che ci circonda è stupendo, ma purtroppo non possiamo usare lo zoom perché la macchina fotografica altrimenti si inceppa e così perdiamo molte belle inquadrature.
Ci fermiamo per un po’ a Macchiagodena dominata da un castello squadrato poggiato su un enorme blocco di roccia, poi raggiunto un piccolo agglomerato, ci fermiamo a mangiare sulla panchina di un parco giochi che, visto il contesto, sembra una piccola cattedrale nel deserto e non se ne capisce l’utilità.
Riprendiamo a salire sotto il sole, ma per fortuna tira vento. In lontananza appare la nostra meta e finalmente siamo a S. Elena Sannita, il paese dei profumi e degli arrotini. Una cosa curiosa è che sullo stemma comunale è raffigurato un cammello perché prima il paese si chiamava Cameli (proprio con una elle sola).
Davanti alla chiesa ecco don Michele tutto sorridente nella sua tonaca nera vecchio stile che prontamente chiama a gran voce una parrocchiana, Antonietta, dicendo: “sono arrivati i pellegrini!” Antonietta si affaccia subito e ci accompagna al delizioso appartamentino che don Vincenzo mette a disposizione dei pellegrini. Una vera accoglienza pellegrina “a donativo!” dove c’è tutto quello che serve per cucinare. Grande don Michele e grandi le sue parrocchiane per quello che fanno per i pellegrini di questo Cammino.
Percorrendo la strada principale su cui si affacciano le case dai bei portali bianchi, si raggiunge da un lato la piazza del Tiglio, una pianta centenaria e dall’altro la piazza dove campeggia il monumento all’arrotino, il mestiere una volta più diffuso tra gli abitanti del paese che spinsero i loro carretti fino a Roma e Napoli.
Anche qui, come abbiamo visto in Abruzzo, le donne vestono di nero a lutto come da noi negli anni ’50.
Nel negozio dove andiamo per fare spesa già sanno che siamo i pellegrini appena arrivati da don Michele. Sottobanco la proprietaria ci dà una bottiglia di vino di sua produzione veramente speciale e quanto alla bottiglia ci dice di lasciarla domattina davanti al negozio. Può stare tranquilla stasera ce la faremo fuori tutta e gliela lasceremo, vuota però!
20 maggio 2015 SANT'ELENA SANNITA - RIPALIMOSANI Km 27,5
Lettura su Bontà da una lettera di Mons. Oscar Romero
“Dio ha seminato bontà. Nessun bambino è nato cattivo. Tutti siamo stati chiamati alla santità. I valori che Dio ha seminato nel cuore dell’uomo, e che i contemporanei tanto stimano, non sono pietre rare, sono cose che nascono continuamente. Perché allora vi è tanta malvagità? [...] La vocazione primigenia, originaria dell’uomo è la bontà. Tutti siamo nati per essere buoni. Nessuno è nato con inclinazioni a fare sequestri, a essere un criminale, a essere un torturatore, a essere un assassino [...] Perché allora, Signore, sono spuntate nei tuoi campi tante zizzanie? Lo ha fatto il nemico, dice Cristo. L’uomo ha lasciato che nel suo cuore crescessero le erbacce, le cattive compagnie, le cattive inclinazioni, i vizi […] Ma tutti siamo stati chiamati alla bontà...”
Partiamo presto alle 6 perché oggi sarà una tappa tosta, lunga e faticosa: dovremo affrontare ben tre dislivelli di oltre 500 metri ciascuno.
Il paese ancora immerso nel silenzio è meravigliosamente illuminato dalle prime luci mattutine. Alcuni nuvoloni che si addensano e si dissolvono creano giochi di luce spettacolari sui prati e sui campi di grano ancora verde punteggiato dal rosso dei papaveri.
Lungo la discesa verso la statale che precede la salita a Casalciprano enormi macchie rosse di lupinella spezzano il verde dei prati e del grano.
All’ingresso di Casalciprano ci imbattiamo nella statua dedicata al fotografo accompagnata da questa frase: “ Il fotografo arriva nei giorni di festa e con quella sua scatola magica e misteriosa, in un irripetibile incrocio di spazio, tempo ed emozioni, ferma il vissuto del presente che all’istante si fa passato”.
E’ la prima di una serie di opere d’arte distribuite nei vari angoli del paese, che formano un bellissimo museo a cielo aperto dedicato alla vita di una volta. Sarebbe stato piacevole visitarlo tutto ma non c’è né il tempo né le forze perché il paese è tutto in salita e di salite oggi ne abbiamo abbastanza da fare.
Usciti da Casalciprano ci immettiamo in una strada sterrata che dopo un lungo percorso fra campi e boschi ci fa scendere fino a un campo sportivo che stanno rasando come se si stesse per giocare il campionato mondiale. Dopo averlo superato si ricomincia a salire in un sentiero piuttosto infrascato, tanto che siamo costretti a camminare sul bordo del campo di grano che lo fiancheggia. Peccato perché così siamo costretti a fare questa ripida salita sotto il sole mentre il sentiero sarebbe stato ben ombreggiato. Terminata la salita il percorso diventa per un po’ pianeggiante e si addentra in un bosco di querce per poi riprendere a salire fino a località Selva dove si aprono ampi panorami. Si prosegue in discesa seguendo il tratturo purtroppo invaso da molta vegetazione e cominciamo ad avvistare il paese di Castropignano al cui fianco svettano i ruderi di un antico castello. Entriamo in Castropignano passando davanti alla chiesetta di San Rocco e cerchiamo un bar per dissetarci e un alimentari per fare rifornimento di viveri. Tristissimo paese, tristissimo bar, tristissimo negozio di alimentari. L’esatto opposto di Casalciprano.
Dal paese la discesa si fa ripida fino alla statale e al fiume Biferno che superiamo per poi riprendere a salire dall’altro lato della valle seguendo un po’ una carrareccia e un po’ il tratturo. Voltandoci indietro rivediamo la bianca serpentina della ripida discesa che abbiamo fatto da Castropignano.
La vista della tanta bellezza che ci circonda aiuta ad attutire la fatica della salita.
Arriviamo al paese di S. Stefano molto stanchi e ci fermiamo per mangiare il nostro panino sulla panchina di una piazza invasa dalle erbacce.
Si riprende a salire ancora, un po’ per strada e un po’ per tratturo e finalmente siamo in località Madonna della Neve. Da qui la salita è davvero terminata. Ora non resta che scendere verso Ripalimosani, che appare dopo un bel po’, nascosta come Hontanas sul cammino di Santiago.
Andiamo a sistemarci alla Residenza Ducale, un antico palazzo e, tanto perché non si perda l’abitudine, dobbiamo salire un grande scalone per arrivare alla nostra stanza.
Siamo proprio di fronte alla chiesa. Qui un tempo il potere temporale e quello ecclesiale erano vicini vicini!
Scendiamo a fare spesa nel piccolo negozio sottostante dagli scaffali semivuoti . “Com’è Firenze rispetto a Ripalimosani?” ci chiede la commessa che c’è stata in gita scolastica. Giovanna per non offenderla si limita a rispondere: “E’ più grande”.
Entriamo a visitare la chiesa mentre stanno uscendo i parrocchiani che hanno assistito alla messa, tra cui numerose donne vestite completamente di nero. Al centro della chiesa campeggia l’immancabile statua dell’Arcangelo Michele.
Più tardi nella piazza arriva l’autobus che riporta a casa i pendolari. Sembra una scena uscita dal film “Nuovo cinema Paradiso”. Si ha la sensazione di ritornare indietro nel tempo.
Dalla nostra finestra si possono ammirare i tetti del borgo antico, ma si vede anche la strada bianca in salita che ci aspetta domani ed è tutto un programma.
Nella notte il continuo rintocco delle campane “ci fa compagnia”.
Lettura su Bontà da una lettera di Mons. Oscar Romero
“Dio ha seminato bontà. Nessun bambino è nato cattivo. Tutti siamo stati chiamati alla santità. I valori che Dio ha seminato nel cuore dell’uomo, e che i contemporanei tanto stimano, non sono pietre rare, sono cose che nascono continuamente. Perché allora vi è tanta malvagità? [...] La vocazione primigenia, originaria dell’uomo è la bontà. Tutti siamo nati per essere buoni. Nessuno è nato con inclinazioni a fare sequestri, a essere un criminale, a essere un torturatore, a essere un assassino [...] Perché allora, Signore, sono spuntate nei tuoi campi tante zizzanie? Lo ha fatto il nemico, dice Cristo. L’uomo ha lasciato che nel suo cuore crescessero le erbacce, le cattive compagnie, le cattive inclinazioni, i vizi […] Ma tutti siamo stati chiamati alla bontà...”
Partiamo presto alle 6 perché oggi sarà una tappa tosta, lunga e faticosa: dovremo affrontare ben tre dislivelli di oltre 500 metri ciascuno.
Il paese ancora immerso nel silenzio è meravigliosamente illuminato dalle prime luci mattutine. Alcuni nuvoloni che si addensano e si dissolvono creano giochi di luce spettacolari sui prati e sui campi di grano ancora verde punteggiato dal rosso dei papaveri.
Lungo la discesa verso la statale che precede la salita a Casalciprano enormi macchie rosse di lupinella spezzano il verde dei prati e del grano.
All’ingresso di Casalciprano ci imbattiamo nella statua dedicata al fotografo accompagnata da questa frase: “ Il fotografo arriva nei giorni di festa e con quella sua scatola magica e misteriosa, in un irripetibile incrocio di spazio, tempo ed emozioni, ferma il vissuto del presente che all’istante si fa passato”.
E’ la prima di una serie di opere d’arte distribuite nei vari angoli del paese, che formano un bellissimo museo a cielo aperto dedicato alla vita di una volta. Sarebbe stato piacevole visitarlo tutto ma non c’è né il tempo né le forze perché il paese è tutto in salita e di salite oggi ne abbiamo abbastanza da fare.
Usciti da Casalciprano ci immettiamo in una strada sterrata che dopo un lungo percorso fra campi e boschi ci fa scendere fino a un campo sportivo che stanno rasando come se si stesse per giocare il campionato mondiale. Dopo averlo superato si ricomincia a salire in un sentiero piuttosto infrascato, tanto che siamo costretti a camminare sul bordo del campo di grano che lo fiancheggia. Peccato perché così siamo costretti a fare questa ripida salita sotto il sole mentre il sentiero sarebbe stato ben ombreggiato. Terminata la salita il percorso diventa per un po’ pianeggiante e si addentra in un bosco di querce per poi riprendere a salire fino a località Selva dove si aprono ampi panorami. Si prosegue in discesa seguendo il tratturo purtroppo invaso da molta vegetazione e cominciamo ad avvistare il paese di Castropignano al cui fianco svettano i ruderi di un antico castello. Entriamo in Castropignano passando davanti alla chiesetta di San Rocco e cerchiamo un bar per dissetarci e un alimentari per fare rifornimento di viveri. Tristissimo paese, tristissimo bar, tristissimo negozio di alimentari. L’esatto opposto di Casalciprano.
Dal paese la discesa si fa ripida fino alla statale e al fiume Biferno che superiamo per poi riprendere a salire dall’altro lato della valle seguendo un po’ una carrareccia e un po’ il tratturo. Voltandoci indietro rivediamo la bianca serpentina della ripida discesa che abbiamo fatto da Castropignano.
La vista della tanta bellezza che ci circonda aiuta ad attutire la fatica della salita.
Arriviamo al paese di S. Stefano molto stanchi e ci fermiamo per mangiare il nostro panino sulla panchina di una piazza invasa dalle erbacce.
Si riprende a salire ancora, un po’ per strada e un po’ per tratturo e finalmente siamo in località Madonna della Neve. Da qui la salita è davvero terminata. Ora non resta che scendere verso Ripalimosani, che appare dopo un bel po’, nascosta come Hontanas sul cammino di Santiago.
Andiamo a sistemarci alla Residenza Ducale, un antico palazzo e, tanto perché non si perda l’abitudine, dobbiamo salire un grande scalone per arrivare alla nostra stanza.
Siamo proprio di fronte alla chiesa. Qui un tempo il potere temporale e quello ecclesiale erano vicini vicini!
Scendiamo a fare spesa nel piccolo negozio sottostante dagli scaffali semivuoti . “Com’è Firenze rispetto a Ripalimosani?” ci chiede la commessa che c’è stata in gita scolastica. Giovanna per non offenderla si limita a rispondere: “E’ più grande”.
Entriamo a visitare la chiesa mentre stanno uscendo i parrocchiani che hanno assistito alla messa, tra cui numerose donne vestite completamente di nero. Al centro della chiesa campeggia l’immancabile statua dell’Arcangelo Michele.
Più tardi nella piazza arriva l’autobus che riporta a casa i pendolari. Sembra una scena uscita dal film “Nuovo cinema Paradiso”. Si ha la sensazione di ritornare indietro nel tempo.
Dalla nostra finestra si possono ammirare i tetti del borgo antico, ma si vede anche la strada bianca in salita che ci aspetta domani ed è tutto un programma.
Nella notte il continuo rintocco delle campane “ci fa compagnia”.
21 maggio 2015 RIPALIMOSANI - TORO Km 15
Lettura su Fedeltà da una lettera di Mons. Oscar Romero
«El Salvador è un paese piccolo, sofferente e lavoratore. Qui viviamo grandi contrasti nell’aspetto sociale, emarginazione economica, politica, culturale, eccetera. In una parola: INGIUSTIZIA. La Chiesa non può restare zitta davanti a tanta miseria perché tradirebbe il Vangelo, sarebbe complice di coloro che qui calpestano i diritti umani. È stata questa la causa della persecuzione della Chiesa: la sua fedeltà al Vangelo».
Prima di partire la proprietaria ci fa visitare le stanze nobiliari del palazzo, piuttosto segnate dal tempo, che aspettano di essere riportate agli antichi splendori dal lavoro appassionato di lei e del padre, abile restauratore di mobili antichi.
Usciti dal palazzo scendiamo per una lunga scalinata fino alla parte bassa del paese per poi raggiungere il sottopasso della superstrada che incombe su un’antica chiesetta campestre senza alcun rispetto.
Oggi il tempo è nuvoloso, ma il vento per ora impedisce ai nuvoloni di scaricare. Ci voltiamo a guardare Ripalimosani illuminato da uno sprazzo di sole. Come ci ha detto l’ospitalera, sembra proprio un presepe. Chissà come deve essere bello di notte con tutte le lucine accese e di inverno con la neve.
Davanti a noi si vedono i palazzoni della periferia di Campobasso mentre il sentiero prosegue tra i campi a mezza costa.
Si fa qualche deviazione rispetto alla guida ma alla fine ci si ritrova sulla via di Campodipietra, quasi un rettilineo fra i campi. Qua e là qualche paese arroccato alle pendici delle montagne.
Arriviamo finalmente a Toro. Nonostante la stanchezza Giovanna riesce a immortalare una donna che sale per una gradinata portando in perfetto equilibrio la spesa sulla testa.Andiamo alla casa di Pinuccia che mette a disposizione dei pellegrini la sua camera, ma, ci tiene a precisare, solo alle coppie o alle donne, perché in paese potrebbero mormorare.
Nella casa regna il caos, ma Pinuccia non se ne preoccupa perché il suo tempo lo dedica principalmente alla preghiera. E’ terziaria francescana, è vedova da più di vent’anni, non ha figli, ha fatto la sarta per 18 anni in Germania. Cuce ancora, tanto che più tardi verranno due nipoti a portarle dei pantaloni da aggiustare.
Ci colpiscono la generosità e le premure di Pinuccia. Ci prepara una enorme teglia di lasagne per il pranzo, ci offrirà il caffè con dolce americano (così lo chiama lei) nel pomeriggio e alla sera metterà in tavola una cena abbondantissima.
Vorrebbe portarci a Campobasso per farci partecipare al suo gruppo di preghiera, ma noi abbiamo ricevuto la telefonata di Luigi Antignani che ci farà una bella sorpresa, verrà a trovarci. E’ in Molise con il fratello per festeggiare il babbo che compie 93 anni. Il suo paese è a un’ora di auto da Toro perciò ci diamo appuntamento per le 5 del pomeriggio. Nell’attesa visitiamo un po’ il paese e scendendo per le viuzze medievali ci imbattiamo nella chiesetta dedicata a chi? A San Rocco naturalmente, ma questa volta il santo è raffigurato con due conchiglie di Santiago sulla giacca. Che bello questo intreccio di Cammini!Sul parapetto di un muro che delimita la piazza della chiesa, un cartello attira la nostra attenzione e ci fa sorridere: “E’ severamente vietato sporgersi dal muro, camminare sul muro e gettare rifiuti oltre il muro”.Una targa ricorda la venuta del cantautore brasiliano Toquino che volle visitare il paese del nonno emigrato tanti anni prima nell’America del Sud.
Arriva Luigi con il fratello Mario e il padre, un simpatico anziano dall’aria molto dolce che ci sorride tutto contento di questa improvvisata. Prendiamo insieme qualcosa al bar, raccontiamo un po’ del cammino, poi ci salutiamo, ma prima di andare Luigi ci fa: ”Vi ho portato la medicina del pellegrino” e ci lascia alcune stecche di cioccolata. Grande Luigi!
Lettura su Fedeltà da una lettera di Mons. Oscar Romero
«El Salvador è un paese piccolo, sofferente e lavoratore. Qui viviamo grandi contrasti nell’aspetto sociale, emarginazione economica, politica, culturale, eccetera. In una parola: INGIUSTIZIA. La Chiesa non può restare zitta davanti a tanta miseria perché tradirebbe il Vangelo, sarebbe complice di coloro che qui calpestano i diritti umani. È stata questa la causa della persecuzione della Chiesa: la sua fedeltà al Vangelo».
Prima di partire la proprietaria ci fa visitare le stanze nobiliari del palazzo, piuttosto segnate dal tempo, che aspettano di essere riportate agli antichi splendori dal lavoro appassionato di lei e del padre, abile restauratore di mobili antichi.
Usciti dal palazzo scendiamo per una lunga scalinata fino alla parte bassa del paese per poi raggiungere il sottopasso della superstrada che incombe su un’antica chiesetta campestre senza alcun rispetto.
Oggi il tempo è nuvoloso, ma il vento per ora impedisce ai nuvoloni di scaricare. Ci voltiamo a guardare Ripalimosani illuminato da uno sprazzo di sole. Come ci ha detto l’ospitalera, sembra proprio un presepe. Chissà come deve essere bello di notte con tutte le lucine accese e di inverno con la neve.
Davanti a noi si vedono i palazzoni della periferia di Campobasso mentre il sentiero prosegue tra i campi a mezza costa.
Si fa qualche deviazione rispetto alla guida ma alla fine ci si ritrova sulla via di Campodipietra, quasi un rettilineo fra i campi. Qua e là qualche paese arroccato alle pendici delle montagne.
Arriviamo finalmente a Toro. Nonostante la stanchezza Giovanna riesce a immortalare una donna che sale per una gradinata portando in perfetto equilibrio la spesa sulla testa.Andiamo alla casa di Pinuccia che mette a disposizione dei pellegrini la sua camera, ma, ci tiene a precisare, solo alle coppie o alle donne, perché in paese potrebbero mormorare.
Nella casa regna il caos, ma Pinuccia non se ne preoccupa perché il suo tempo lo dedica principalmente alla preghiera. E’ terziaria francescana, è vedova da più di vent’anni, non ha figli, ha fatto la sarta per 18 anni in Germania. Cuce ancora, tanto che più tardi verranno due nipoti a portarle dei pantaloni da aggiustare.
Ci colpiscono la generosità e le premure di Pinuccia. Ci prepara una enorme teglia di lasagne per il pranzo, ci offrirà il caffè con dolce americano (così lo chiama lei) nel pomeriggio e alla sera metterà in tavola una cena abbondantissima.
Vorrebbe portarci a Campobasso per farci partecipare al suo gruppo di preghiera, ma noi abbiamo ricevuto la telefonata di Luigi Antignani che ci farà una bella sorpresa, verrà a trovarci. E’ in Molise con il fratello per festeggiare il babbo che compie 93 anni. Il suo paese è a un’ora di auto da Toro perciò ci diamo appuntamento per le 5 del pomeriggio. Nell’attesa visitiamo un po’ il paese e scendendo per le viuzze medievali ci imbattiamo nella chiesetta dedicata a chi? A San Rocco naturalmente, ma questa volta il santo è raffigurato con due conchiglie di Santiago sulla giacca. Che bello questo intreccio di Cammini!Sul parapetto di un muro che delimita la piazza della chiesa, un cartello attira la nostra attenzione e ci fa sorridere: “E’ severamente vietato sporgersi dal muro, camminare sul muro e gettare rifiuti oltre il muro”.Una targa ricorda la venuta del cantautore brasiliano Toquino che volle visitare il paese del nonno emigrato tanti anni prima nell’America del Sud.
Arriva Luigi con il fratello Mario e il padre, un simpatico anziano dall’aria molto dolce che ci sorride tutto contento di questa improvvisata. Prendiamo insieme qualcosa al bar, raccontiamo un po’ del cammino, poi ci salutiamo, ma prima di andare Luigi ci fa: ”Vi ho portato la medicina del pellegrino” e ci lascia alcune stecche di cioccolata. Grande Luigi!
22 maggio 2015 TORO - PIETRACATELLA Km 15,2
Lettura su Mitezza da un brano scritto da G. Brondino
La mitezza non è la virtù dei deboli. Essere miti richiede un coraggio che i violenti non conoscono. L’amore e la mitezza sono la sola forza capace di migliorare il mondo.
“Beati i miti, perché possiederanno la terra”. Martin Luther King disse: “Nella nostra epoca, la scelta è tra la non violenza e la non esistenza”. O scegliamo la mitezza, la comprensione, il perdono reciproco, oppure periremo tutti. Questo è il messaggio. Grazie a persone straordinarie, quali Gandhi, Martin Luther King, Madre Teresa, Tonino Bello, Oscar Romero, Thic Nath Than e numerosissimi altri, oggi cominciamo ad essere sufficientemente sensibilizzati ed attenti alla nonviolenza su larga scala: una non violenza come scelta politica e sociale. Ma esiste una non violenza spicciola.
Non è debolezza o passività. Invece di andare in escandescenza per ogni piccola contrarietà e per i vari intoppi quotidiani, la persona mite si mantiene tranquilla e serena. Anche se talvolta è un'impresa difficile. E' facile lasciarsi trascinare dai propri impulsi e dai propri scatti d'ira. La prassi abituale, infatti, è quella di reagire con violenza e di aggredire a nostra volta l'offensore, qualunque sia il tipo di offesa, fisica o puramente verbale.
Il mite non è uno stupido: sa bene che quella persona lo sta insultando o lo provoca. è cosciente delle parole che essa ha usato, del contesto scelto, della mimica facciale... Potrebbe tacitarla ed umiliarla con due battute ben azzeccate, sovraccariche di disprezzo e di ironia, o, peggio, con un pugno ben assestato. Ma invece di lasciarsi coinvolgere in reazioni rabbiose, preferisce controllarsi e non ripagare il male con il male. Prenderà posizione e dirà la sua tranquillamente.
Come il Cristo percosso, potrà chiedere, con umile dignità: “Perché mi hai percosso? Se ho parlato male, dimmi dove ho sbagliato. Se ho parlato bene, perché mi percuoti?”
Pinuccia ci sorprende ancora: è andata a prendere il pane fresco per farci i panini con la mortadella da mangiare lungo strada. Ci riempie di fogli di preghiera di uno dei suoi tanti gruppi e poi ci saluta dalla terrazza fino a che non ci allontaniamo.
Sono le 8 il cielo è nuvoloso, ma non piove e non è poco.
La tappa ci riserverà alcune difficoltà di tracciato per numerose frane.
Seguiamo il percorso che scende verso due case smottate. Lì il passaggio è difficoltoso perché l’erba è alta e nasconde le buche dovute alla frana. Giovanna passa di sopra le case e si ritrova in un campo di grano altissimo, faticando a farsi strada, mentre Guido resta nella parte bassa, incontrando altrettante difficoltà. Finalmente tutt’e due raggiungiamo la strada bianca che ci porta fino alla strada asfaltata che seguiamo fino al cartello segnaletico “Comunità La Valle”.
Da lì ci immettiamo su una carrareccia che in forte e lunga salita ci porta a un bellissimo punto panoramico dove ci sono i campi di grano invasi da macchie rosse di lupinella.
Il vento ha spazzato via i nuvoloni. Nel cielo azzurro sono rimaste grandi nuvole bianche sembrano panna montata e i falchi, come spesso è capitato in questi giorni, volteggiano sopra di noi.
Quando la carrareccia diventa pianeggiante si vede Pietracatella in lontananza addossata a una grande roccia che chiamano la Morgia. Proseguiamo superando più di una volta dei tratti di strada franati.
Finalmente arriviamo in paese e ci fermiamo in un giardinetto dove notiamo una targa che ricorda un disastro minerario successo in America nel quale persero la vita anche alcuni emigranti originari di Pietracatella.
Ci incontriamo con Mimì, il volontario che si occupa dei pellegrini, il quale ci accompagna al centro di accoglienza della parrocchia, un prefabbricato avuto in dono a seguito del terremoto del 2002.
Questo è il paese del vento e sul crinale delle colline che ci circondano c’è un grande parco eolico.
Il posto è molto bello, ci resterà nel cuore. Siamo affacciati su un’immensa distesa di verde di campi coltivati a grano e c’è una splendida luce su tutta la valle. In lontananza si vede già il Tavoliere delle Puglie.
Mentre Guido si riposa per il dolore alla gamba che lo perseguita ogni volta che ci fermiamo, Giovanna va a fare spesa per domani e a fare foto per il paese.
Guido riceve la visita del parroco che ci invita a restare perché domani ci sarà la festa della Madonna della ricotta: secondo un’antica tradizione, 12 donne faranno la ricotta con il latte dei pastori della zona nella piazza della chiesa, in onore della Madonna di Costantinopoli , protettrice di Pietracatella. Peccato, ma noi dobbiamo proseguire.
Andiamo alla vicina pizzeria tutti intabarrati perché fa freddo. Ci servono un’ottima pizza a lievitazione naturale guarnita con dell’ottima mozzarella.
Poi a nanna perché domattina faremo una levataccia.
Lettura su Mitezza da un brano scritto da G. Brondino
La mitezza non è la virtù dei deboli. Essere miti richiede un coraggio che i violenti non conoscono. L’amore e la mitezza sono la sola forza capace di migliorare il mondo.
“Beati i miti, perché possiederanno la terra”. Martin Luther King disse: “Nella nostra epoca, la scelta è tra la non violenza e la non esistenza”. O scegliamo la mitezza, la comprensione, il perdono reciproco, oppure periremo tutti. Questo è il messaggio. Grazie a persone straordinarie, quali Gandhi, Martin Luther King, Madre Teresa, Tonino Bello, Oscar Romero, Thic Nath Than e numerosissimi altri, oggi cominciamo ad essere sufficientemente sensibilizzati ed attenti alla nonviolenza su larga scala: una non violenza come scelta politica e sociale. Ma esiste una non violenza spicciola.
Non è debolezza o passività. Invece di andare in escandescenza per ogni piccola contrarietà e per i vari intoppi quotidiani, la persona mite si mantiene tranquilla e serena. Anche se talvolta è un'impresa difficile. E' facile lasciarsi trascinare dai propri impulsi e dai propri scatti d'ira. La prassi abituale, infatti, è quella di reagire con violenza e di aggredire a nostra volta l'offensore, qualunque sia il tipo di offesa, fisica o puramente verbale.
Il mite non è uno stupido: sa bene che quella persona lo sta insultando o lo provoca. è cosciente delle parole che essa ha usato, del contesto scelto, della mimica facciale... Potrebbe tacitarla ed umiliarla con due battute ben azzeccate, sovraccariche di disprezzo e di ironia, o, peggio, con un pugno ben assestato. Ma invece di lasciarsi coinvolgere in reazioni rabbiose, preferisce controllarsi e non ripagare il male con il male. Prenderà posizione e dirà la sua tranquillamente.
Come il Cristo percosso, potrà chiedere, con umile dignità: “Perché mi hai percosso? Se ho parlato male, dimmi dove ho sbagliato. Se ho parlato bene, perché mi percuoti?”
Pinuccia ci sorprende ancora: è andata a prendere il pane fresco per farci i panini con la mortadella da mangiare lungo strada. Ci riempie di fogli di preghiera di uno dei suoi tanti gruppi e poi ci saluta dalla terrazza fino a che non ci allontaniamo.
Sono le 8 il cielo è nuvoloso, ma non piove e non è poco.
La tappa ci riserverà alcune difficoltà di tracciato per numerose frane.
Seguiamo il percorso che scende verso due case smottate. Lì il passaggio è difficoltoso perché l’erba è alta e nasconde le buche dovute alla frana. Giovanna passa di sopra le case e si ritrova in un campo di grano altissimo, faticando a farsi strada, mentre Guido resta nella parte bassa, incontrando altrettante difficoltà. Finalmente tutt’e due raggiungiamo la strada bianca che ci porta fino alla strada asfaltata che seguiamo fino al cartello segnaletico “Comunità La Valle”.
Da lì ci immettiamo su una carrareccia che in forte e lunga salita ci porta a un bellissimo punto panoramico dove ci sono i campi di grano invasi da macchie rosse di lupinella.
Il vento ha spazzato via i nuvoloni. Nel cielo azzurro sono rimaste grandi nuvole bianche sembrano panna montata e i falchi, come spesso è capitato in questi giorni, volteggiano sopra di noi.
Quando la carrareccia diventa pianeggiante si vede Pietracatella in lontananza addossata a una grande roccia che chiamano la Morgia. Proseguiamo superando più di una volta dei tratti di strada franati.
Finalmente arriviamo in paese e ci fermiamo in un giardinetto dove notiamo una targa che ricorda un disastro minerario successo in America nel quale persero la vita anche alcuni emigranti originari di Pietracatella.
Ci incontriamo con Mimì, il volontario che si occupa dei pellegrini, il quale ci accompagna al centro di accoglienza della parrocchia, un prefabbricato avuto in dono a seguito del terremoto del 2002.
Questo è il paese del vento e sul crinale delle colline che ci circondano c’è un grande parco eolico.
Il posto è molto bello, ci resterà nel cuore. Siamo affacciati su un’immensa distesa di verde di campi coltivati a grano e c’è una splendida luce su tutta la valle. In lontananza si vede già il Tavoliere delle Puglie.
Mentre Guido si riposa per il dolore alla gamba che lo perseguita ogni volta che ci fermiamo, Giovanna va a fare spesa per domani e a fare foto per il paese.
Guido riceve la visita del parroco che ci invita a restare perché domani ci sarà la festa della Madonna della ricotta: secondo un’antica tradizione, 12 donne faranno la ricotta con il latte dei pastori della zona nella piazza della chiesa, in onore della Madonna di Costantinopoli , protettrice di Pietracatella. Peccato, ma noi dobbiamo proseguire.
Andiamo alla vicina pizzeria tutti intabarrati perché fa freddo. Ci servono un’ottima pizza a lievitazione naturale guarnita con dell’ottima mozzarella.
Poi a nanna perché domattina faremo una levataccia.
23 maggio 2015 PIETRACATELLA - SAN MARCO LA CATOLA / L'AVELLANETA Km 27,4
Lettura su Dominio di sé da un brano di Duane WH Arnold su Mons. Romero che oggi verrà beatificato.
Mons. Romero è stato fedele a ciò che la Chiesa proclama nel suo insegnamento. Questo è notevole. Credo che questo significa che dobbiamo guardare la vita e la morte di Oscar Romero, Rutilio Grande, le Suore di Maryknoll, i gesuiti della UCA e in effetti il stesso Vangelo, attraverso una “nuova lente”. Quando guardiamo attraverso questa nuova lente ciò che vedremo è che quanto èstato affermato, in effetti, ciò che è stato scolpito in pietra questa ultima settimana, è che la giustizia è al centro e il nucleo di quel Vangelo che siamo chiamati a proclamare. Cogliendo questa nuova visione, ci uniremo con i martiri, letteralmente, come testimoni a quel Vangelo per quale Romero e tanti altri sono morti. Si dice che prima della sua morte, Romero ha detto che se fosse stato ucciso, sarebbe risorto nel popolo salvadoregno. Per quanto io onoro e venero Romero, credo, se davvero ha detto questo, che si sia sbagliato. Lui è risorto in persone di fede ben oltre i confini di una nazione. Veramente il suo sangue fu un seme di libertà, non solo per El Salvador, ma per tutti noi che guardiamo al suo esempio.
Stamani gambe in spalla perché la strada da fare è tanta. Usciamo alle 6 con un cielo infuocato da una magnifica alba che si riverbera su tutta la valle.Lasciamo il paese e iniziamo a scendere in scioltezza tagliando i tornanti della statale. Le sensazioni di benessere provate in queste prime ore del giorno sono difficili da descrivere, perché l’atmosfera è così bella che non ci sono parole.
Ci riforniamo di acqua presso una casa prima del torrente Toppino che attraversiamo mentre in cielo nuvole bianche dalle forme più strane creano composizioni favolose.
Non ci inoltriamo nel sentiero indicato dalla guida perché Mimì ce lo ha sconsigliato viste le piogge dei giorni scorsi, perciò seguiamo per quasi tre chilometri la statale fino a raggiungere il ponte sul Fortore che attraversiamo per poi proseguire per un lungo tratto di strada meno trafficata fino ad un cementificio. Appena lo abbiamo superato, troviamo un pannello di legno con frecce gialle e tau che indicano il percorso alternativo alla strada, tracciato da Renato, l’ospitalero di Avellaneta dove siamo diretti.
Ci immettiamo perciò su una strada bianca che scorre fra campi di grano e si sale, si sale superando un dislivello di 200 metri in pochissimo tempo. E’ un tratto veramente tosto, ma quando il cammino diventa pianeggiante si raggiungono tre bellissime querce dalle fronde enormi che richiamano alla mente le encinas spagnole e più avanti ci ritroviamo in un’ampia radura, dove siamo ripagati dalla fatica per la magnifica vista sul Lago Occhito.
Passiamo accanto all’imponente Masseria Frasca e con molti saliscendi superiamo altri 200 metri di dislivello in un paesaggio straordinario: ginestre, grano, querce; querce, ginestre e grano per un sacco di tempo, intervallati da tratti di sentiero ombreggiato, una vera manna per riprendersi dal caldo.
Alla fine ci immettiamo sulla statale davanti al cimitero di San Marco La Catola e nei giardini pubblici del paese ci fermiamo a mangiare un boccone. Grossi nuvoloni minacciosi ci “suggeriscono” di rimetterci in marcia velocemente e, con mezzo panino tra i denti, inforchiamo di nuovo gli zaini. Per fortuna non succede niente, perché il vento ha la meglio sulla pioggia. Incrociamo un’automobile che si ferma: è Renato il proprietario dell’Avellaneta. Ci offre un passaggio, ma noi duri e puri rifiutiamo.
Si sale dolcemente su strada asfaltata circondata da campi e boschi. E’ tornato il sole e il vento che scorre sull’erba forma un mare verde con onde che si muovono avanti e indietro come se facessero la “ola”, offrendoci uno spettacolo bellissimo.
Alla nostra sinistra lontano lontano vediamo ancora Pietracatella e il suo parco eolico, quanta strada abbiamo fatto!
Poco prima dell’agriturismo Avellaneta, Giovanna lascia la strada asfaltata e si inoltra per poche decine di metri in una pineta per vedere se, da una radura che ha visto con la coda dell’occhio, ci si affaccia su qualcosa . Altroché! Un panorama del tutto inaspettato le sta davanti: il Tavoliere delle Puglie e in fondo il mare! Il nostro Finis Terrae che domani potremo ammirare in tutta la sua estensione.
Giunti all’insegna dell’agriturismo deviamo sulla strada bianca che porta alla casa e dopo un chilometro in discesa che domattina, per la gioia delle nostre gambe, dovremo rifare in salita, siamo alla meta di oggi.
In pieno relax, ci godiamo la tranquillità del posto circondati da una fauna variegata: cavalli, asini, maiali, capre, cani, oche, galline, conigli, che pascolano e razzolano su una distesa di verde immensa circondata da un bosco verdissimo.
Renato, un tipo affabile ma un po’ bizzarro e anticonformista, ci accoglie con molta simpatia ed è molto contento che si sia fatta e ci sia piaciuta la variante che ha tracciato. Parliamo un po’ della sua attività e ci spiega che per sbarcare il lunario si deve dare da fare inventandosi un po’ di cose tipo giornate nella natura per le scolaresche.
Ceniamo nel salone insieme ad altri ospiti e dopo un po’ di chiacchiere con Renato su meditazione trascendentale e cose simili, andiamo a riposare.
Ai dolori della gamba di Guido si è aggiunto il male alle ginocchia di Giovanna, e’ si va di nulla! Forse sarebbe stato meglio fare un po’ meno i duri e un po’ meno i puri quando abbiamo incontrato Renato…
Lettura su Dominio di sé da un brano di Duane WH Arnold su Mons. Romero che oggi verrà beatificato.
Mons. Romero è stato fedele a ciò che la Chiesa proclama nel suo insegnamento. Questo è notevole. Credo che questo significa che dobbiamo guardare la vita e la morte di Oscar Romero, Rutilio Grande, le Suore di Maryknoll, i gesuiti della UCA e in effetti il stesso Vangelo, attraverso una “nuova lente”. Quando guardiamo attraverso questa nuova lente ciò che vedremo è che quanto èstato affermato, in effetti, ciò che è stato scolpito in pietra questa ultima settimana, è che la giustizia è al centro e il nucleo di quel Vangelo che siamo chiamati a proclamare. Cogliendo questa nuova visione, ci uniremo con i martiri, letteralmente, come testimoni a quel Vangelo per quale Romero e tanti altri sono morti. Si dice che prima della sua morte, Romero ha detto che se fosse stato ucciso, sarebbe risorto nel popolo salvadoregno. Per quanto io onoro e venero Romero, credo, se davvero ha detto questo, che si sia sbagliato. Lui è risorto in persone di fede ben oltre i confini di una nazione. Veramente il suo sangue fu un seme di libertà, non solo per El Salvador, ma per tutti noi che guardiamo al suo esempio.
Stamani gambe in spalla perché la strada da fare è tanta. Usciamo alle 6 con un cielo infuocato da una magnifica alba che si riverbera su tutta la valle.Lasciamo il paese e iniziamo a scendere in scioltezza tagliando i tornanti della statale. Le sensazioni di benessere provate in queste prime ore del giorno sono difficili da descrivere, perché l’atmosfera è così bella che non ci sono parole.
Ci riforniamo di acqua presso una casa prima del torrente Toppino che attraversiamo mentre in cielo nuvole bianche dalle forme più strane creano composizioni favolose.
Non ci inoltriamo nel sentiero indicato dalla guida perché Mimì ce lo ha sconsigliato viste le piogge dei giorni scorsi, perciò seguiamo per quasi tre chilometri la statale fino a raggiungere il ponte sul Fortore che attraversiamo per poi proseguire per un lungo tratto di strada meno trafficata fino ad un cementificio. Appena lo abbiamo superato, troviamo un pannello di legno con frecce gialle e tau che indicano il percorso alternativo alla strada, tracciato da Renato, l’ospitalero di Avellaneta dove siamo diretti.
Ci immettiamo perciò su una strada bianca che scorre fra campi di grano e si sale, si sale superando un dislivello di 200 metri in pochissimo tempo. E’ un tratto veramente tosto, ma quando il cammino diventa pianeggiante si raggiungono tre bellissime querce dalle fronde enormi che richiamano alla mente le encinas spagnole e più avanti ci ritroviamo in un’ampia radura, dove siamo ripagati dalla fatica per la magnifica vista sul Lago Occhito.
Passiamo accanto all’imponente Masseria Frasca e con molti saliscendi superiamo altri 200 metri di dislivello in un paesaggio straordinario: ginestre, grano, querce; querce, ginestre e grano per un sacco di tempo, intervallati da tratti di sentiero ombreggiato, una vera manna per riprendersi dal caldo.
Alla fine ci immettiamo sulla statale davanti al cimitero di San Marco La Catola e nei giardini pubblici del paese ci fermiamo a mangiare un boccone. Grossi nuvoloni minacciosi ci “suggeriscono” di rimetterci in marcia velocemente e, con mezzo panino tra i denti, inforchiamo di nuovo gli zaini. Per fortuna non succede niente, perché il vento ha la meglio sulla pioggia. Incrociamo un’automobile che si ferma: è Renato il proprietario dell’Avellaneta. Ci offre un passaggio, ma noi duri e puri rifiutiamo.
Si sale dolcemente su strada asfaltata circondata da campi e boschi. E’ tornato il sole e il vento che scorre sull’erba forma un mare verde con onde che si muovono avanti e indietro come se facessero la “ola”, offrendoci uno spettacolo bellissimo.
Alla nostra sinistra lontano lontano vediamo ancora Pietracatella e il suo parco eolico, quanta strada abbiamo fatto!
Poco prima dell’agriturismo Avellaneta, Giovanna lascia la strada asfaltata e si inoltra per poche decine di metri in una pineta per vedere se, da una radura che ha visto con la coda dell’occhio, ci si affaccia su qualcosa . Altroché! Un panorama del tutto inaspettato le sta davanti: il Tavoliere delle Puglie e in fondo il mare! Il nostro Finis Terrae che domani potremo ammirare in tutta la sua estensione.
Giunti all’insegna dell’agriturismo deviamo sulla strada bianca che porta alla casa e dopo un chilometro in discesa che domattina, per la gioia delle nostre gambe, dovremo rifare in salita, siamo alla meta di oggi.
In pieno relax, ci godiamo la tranquillità del posto circondati da una fauna variegata: cavalli, asini, maiali, capre, cani, oche, galline, conigli, che pascolano e razzolano su una distesa di verde immensa circondata da un bosco verdissimo.
Renato, un tipo affabile ma un po’ bizzarro e anticonformista, ci accoglie con molta simpatia ed è molto contento che si sia fatta e ci sia piaciuta la variante che ha tracciato. Parliamo un po’ della sua attività e ci spiega che per sbarcare il lunario si deve dare da fare inventandosi un po’ di cose tipo giornate nella natura per le scolaresche.
Ceniamo nel salone insieme ad altri ospiti e dopo un po’ di chiacchiere con Renato su meditazione trascendentale e cose simili, andiamo a riposare.
Ai dolori della gamba di Guido si è aggiunto il male alle ginocchia di Giovanna, e’ si va di nulla! Forse sarebbe stato meglio fare un po’ meno i duri e un po’ meno i puri quando abbiamo incontrato Renato…
24 maggio 2015 SAN MARCO LA CATOLA / L'AVELLANETA - CASTELNUOVO DELLA DAUNIA Km 19,2
Lettura della Lettera ai Romani, cap. 8, versetti 26,27
La mattina, lasciamo quanto dovuto ad un collaboratore di Renato perché lui, contrariamente a quello che ci aveva detto ieri sera non c’è e perciò non lo possiamo neanche salutare. L’avevamo visto che era un po’ bizzarro…
Risaliamo il chilometro di strada sterrata fino a quella asfaltata che lasciamo quasi subito per inoltrarci in una bella abetina. Raggiungiamo una cresta da cui si apre un’ampia veduta sul Tavoliere e sul mare che continuiamo ad ammirare per molto tempo. Si cammina un po’ dentro e un po’ a fianco del bosco seguendo la staccionata del Sentiero segnato dei Monti Dauni.
Attraversata una faggeta, che contrariamente a quelle del nostro Appennino non ha il sottobosco pulito, si passa sotto alle antenne della Rai e ci si reimmette in una strada asfaltata che ci conduce alla provinciale. Giriamo a sinistra passando davanti ad un tabernacolo mentre a destra, dall’altra parte della provinciale, c’è un rifugio della Forestale.
Da lì riprende il sentiero che, seguendo il GPS, non ha coinciso esattamente con la descrizione della guida. Siamo andati avanti nel bosco a mezza costa e poi in discesa fino a trovare una strada bianca sterrata che abbiamo imboccato a sinistra sempre in discesa. Poco dopo abbiamo incontrato un signore che abita in zona, il quale ha insistito un sacco per capire attraverso quale sentiero si sarebbe raggiunto Castelnuovo della Daunia. Dopo un bel po’ di spiegazioni che non spiegavano un bel niente né a lui né a noi, ci siamo salutati. Lui ha continuato ad andare in su e noi in giù. Sulla nostra sinistra in alto, ma molto in alto, abbiamo rivisto il sentiero fatto lungo la staccionata e le antenne Rai, ecco perché le ginocchia della Giovanna si stanno ribellando!
Ad una curva ci siamo inoltrati in una traccia di sentiero e risalendo e riscendendo siamo sbucati nei benedetti campi coltivati citati nella guida, però all’altezza e non sotto un rudere. In realtà, scesi 100 metri abbiamo visto sulla destra l’uscita dal bosco di un sentiero in salita e sicuramente era quello il punto descritto nella guida.
Intanto il tempo si è rannuvolato sul serio e ci siamo messi i poncho. Dopo pochi minuti è iniziato a piovere, così siamo scesi per il sentiero in forte pendenza con la mota che si appiccicava alla suola degli scarponi, costringendoci a un doppio sforzo per non scivolare. A quel punto le ginocchia della Giovanna sono andate definitivamente in tilt.
Lettura della Lettera ai Romani, cap. 8, versetti 26,27
La mattina, lasciamo quanto dovuto ad un collaboratore di Renato perché lui, contrariamente a quello che ci aveva detto ieri sera non c’è e perciò non lo possiamo neanche salutare. L’avevamo visto che era un po’ bizzarro…
Risaliamo il chilometro di strada sterrata fino a quella asfaltata che lasciamo quasi subito per inoltrarci in una bella abetina. Raggiungiamo una cresta da cui si apre un’ampia veduta sul Tavoliere e sul mare che continuiamo ad ammirare per molto tempo. Si cammina un po’ dentro e un po’ a fianco del bosco seguendo la staccionata del Sentiero segnato dei Monti Dauni.
Attraversata una faggeta, che contrariamente a quelle del nostro Appennino non ha il sottobosco pulito, si passa sotto alle antenne della Rai e ci si reimmette in una strada asfaltata che ci conduce alla provinciale. Giriamo a sinistra passando davanti ad un tabernacolo mentre a destra, dall’altra parte della provinciale, c’è un rifugio della Forestale.
Da lì riprende il sentiero che, seguendo il GPS, non ha coinciso esattamente con la descrizione della guida. Siamo andati avanti nel bosco a mezza costa e poi in discesa fino a trovare una strada bianca sterrata che abbiamo imboccato a sinistra sempre in discesa. Poco dopo abbiamo incontrato un signore che abita in zona, il quale ha insistito un sacco per capire attraverso quale sentiero si sarebbe raggiunto Castelnuovo della Daunia. Dopo un bel po’ di spiegazioni che non spiegavano un bel niente né a lui né a noi, ci siamo salutati. Lui ha continuato ad andare in su e noi in giù. Sulla nostra sinistra in alto, ma molto in alto, abbiamo rivisto il sentiero fatto lungo la staccionata e le antenne Rai, ecco perché le ginocchia della Giovanna si stanno ribellando!
Ad una curva ci siamo inoltrati in una traccia di sentiero e risalendo e riscendendo siamo sbucati nei benedetti campi coltivati citati nella guida, però all’altezza e non sotto un rudere. In realtà, scesi 100 metri abbiamo visto sulla destra l’uscita dal bosco di un sentiero in salita e sicuramente era quello il punto descritto nella guida.
Intanto il tempo si è rannuvolato sul serio e ci siamo messi i poncho. Dopo pochi minuti è iniziato a piovere, così siamo scesi per il sentiero in forte pendenza con la mota che si appiccicava alla suola degli scarponi, costringendoci a un doppio sforzo per non scivolare. A quel punto le ginocchia della Giovanna sono andate definitivamente in tilt.
25 maggio 2015 CASTELNUOVO DELLA DAUNIA - TORREMAGGIORE Km 22,2
Lettura di una riflessione sulla gratitudine
Essere grati per ciò che siamo, indipendentemente da ciò che siamo. Ricordiamoci di esprimere gratitudine alle persone che ci accompagnano in questo viaggio terreno, sia a quelle con cui siamo in armonia, sia a quelle con le quali abbiamo dei problemi. Ringraziamo poi tutti gli eventi, compresi quelli che definiamo ‘negativi’, forse anch’essi ci stanno aiutando -anche se non ne siamo ancora consapevoli- nella nostra crescita personale. Ringraziamo infine noi stessi per tutto ciò che siamo.
Oggi è il compleanno di Guido. Come è già capitato altre volte, lo si festeggia sul Cammino rispettando una tradizione ormai consolidata. Gli sono arrivati tanti auguri di buon compleanno che gli hanno fatto molto piacere.
Alle 6,30 lasciamo il residence sotto un cielo grigio e qualche sprazzo di sole. Camminiamo piuttosto lentamente lungo la strada asfaltata che a serpentina scende verso il Tavoliere.
Ora il paesaggio è una continua sfumatura di giallo in variegate forme geometriche di campi coltivati.
Dopo circa quattro chilometri, prendiamo una stradina a sinistra che ci conduce alla chiesetta campestre di S. Maria della Stella. Un angolo di pace in mezzo agli olivi. Notiamo che l’albero piantato davanti all’ingresso della chiesa è cresciuto molto rispetto alla foto che c’è sulla guida.
Lungo questo cammino si incontrano spesso cani sciolti che ringhiano e abbaiano. Oggi in particolare proprio davanti alla chiesetta, è arrivato un gregge di pecore con il pastore e quattro cani che si sono avventati su Guido facendogli molta paura. Il pastore invece di richiamarli immediatamente si è rivolto a Giovanna per chiedere dove si stava andando e Giovanna lo ha fulminato gridando di fermare i cani. A quel punto il pastore li ha bloccati e come se nulla fosse ci ha salutato dicendo che i cani non fanno niente. A lui forse, roba da non credere!
Si riprende il cammino. Da qui in avanti è tutta pianura: Ci immettiamo sulla provinciale n. 10 e intorno a noi ci sono distese di campi di grano ormai dorato, grandi olivi secolari in fiore, vigne e fichi d’india, una bellissima zona agricola, ora completamente assolata.
Superiamo il canale del Tavoliere e di tanto in tanto passiamo davanti a delle vecchie masserie.
Sulla strada transitano molti mezzi agricoli di grosse dimensioni e le auto sfrecciano, perciò dobbiamo camminare facendo molta attenzione. Tra le tante auto che passano notiamo una pandina del Consorzio di Bonifica che va in su e in giù un sacco di volte: superlavoro o supercapperisuoi?
Un’auto si ferma; alla guida un signore dai capelli bianchi tra l’incredulo e il preoccupato ci domanda: “da dove venite, dove andate, avete bisogno di un passaggio?” Gli spieghiamo che volontariamente camminiamo a piedi e che stiamo andando alla Grotta dell’Arcangelo Michele a Monte Sant’Angelo. Ci guarda con l’aria di chi non si raccapezza e, continuando probabilmente a non capire, se ne va.
Entriamo in Torremaggiore salendo per una scorciatoia che una volta doveva essere una strada asfaltata di accesso all’impianto dell’acquedotto e che ora è letteralmente una discarica a cielo aperto.
Ci viene incontro il gestore del B & B dove alloggeremo e ci porta in auto a destinazione.
Mentre Giovanna si riposa, Guido va in farmacia a comprare tutto quello che Luciano ci ha suggerito per alleviare i nostri dolori e a prendere informazioni su eventuale servizio taxi.
Usciamo per cenare e già è un’impresa muoversi, in più tutti i locali che ci erano stati suggeriti sono chiusi. Alla fine troviamo la pizzeria Amarcord dove offrono un menu con 12 euro. Non male. Giovanna però è un po’ dispiaciuta perché avrebbe voluto festeggiare Guido in maniera migliore.
Il ritorno al nostro alloggio sono 500 metri di sofferenza per tutti e due. Incrociamo il proprietario del B & B che vedendoci avanzare in quello stato ci dice: “E voi domani fareste 30 chilometri a piedi?!”
Noi allarghiamo le braccia e gli diamo la buonanotte.
Lettura di una riflessione sulla gratitudine
Essere grati per ciò che siamo, indipendentemente da ciò che siamo. Ricordiamoci di esprimere gratitudine alle persone che ci accompagnano in questo viaggio terreno, sia a quelle con cui siamo in armonia, sia a quelle con le quali abbiamo dei problemi. Ringraziamo poi tutti gli eventi, compresi quelli che definiamo ‘negativi’, forse anch’essi ci stanno aiutando -anche se non ne siamo ancora consapevoli- nella nostra crescita personale. Ringraziamo infine noi stessi per tutto ciò che siamo.
Oggi è il compleanno di Guido. Come è già capitato altre volte, lo si festeggia sul Cammino rispettando una tradizione ormai consolidata. Gli sono arrivati tanti auguri di buon compleanno che gli hanno fatto molto piacere.
Alle 6,30 lasciamo il residence sotto un cielo grigio e qualche sprazzo di sole. Camminiamo piuttosto lentamente lungo la strada asfaltata che a serpentina scende verso il Tavoliere.
Ora il paesaggio è una continua sfumatura di giallo in variegate forme geometriche di campi coltivati.
Dopo circa quattro chilometri, prendiamo una stradina a sinistra che ci conduce alla chiesetta campestre di S. Maria della Stella. Un angolo di pace in mezzo agli olivi. Notiamo che l’albero piantato davanti all’ingresso della chiesa è cresciuto molto rispetto alla foto che c’è sulla guida.
Lungo questo cammino si incontrano spesso cani sciolti che ringhiano e abbaiano. Oggi in particolare proprio davanti alla chiesetta, è arrivato un gregge di pecore con il pastore e quattro cani che si sono avventati su Guido facendogli molta paura. Il pastore invece di richiamarli immediatamente si è rivolto a Giovanna per chiedere dove si stava andando e Giovanna lo ha fulminato gridando di fermare i cani. A quel punto il pastore li ha bloccati e come se nulla fosse ci ha salutato dicendo che i cani non fanno niente. A lui forse, roba da non credere!
Si riprende il cammino. Da qui in avanti è tutta pianura: Ci immettiamo sulla provinciale n. 10 e intorno a noi ci sono distese di campi di grano ormai dorato, grandi olivi secolari in fiore, vigne e fichi d’india, una bellissima zona agricola, ora completamente assolata.
Superiamo il canale del Tavoliere e di tanto in tanto passiamo davanti a delle vecchie masserie.
Sulla strada transitano molti mezzi agricoli di grosse dimensioni e le auto sfrecciano, perciò dobbiamo camminare facendo molta attenzione. Tra le tante auto che passano notiamo una pandina del Consorzio di Bonifica che va in su e in giù un sacco di volte: superlavoro o supercapperisuoi?
Un’auto si ferma; alla guida un signore dai capelli bianchi tra l’incredulo e il preoccupato ci domanda: “da dove venite, dove andate, avete bisogno di un passaggio?” Gli spieghiamo che volontariamente camminiamo a piedi e che stiamo andando alla Grotta dell’Arcangelo Michele a Monte Sant’Angelo. Ci guarda con l’aria di chi non si raccapezza e, continuando probabilmente a non capire, se ne va.
Entriamo in Torremaggiore salendo per una scorciatoia che una volta doveva essere una strada asfaltata di accesso all’impianto dell’acquedotto e che ora è letteralmente una discarica a cielo aperto.
Ci viene incontro il gestore del B & B dove alloggeremo e ci porta in auto a destinazione.
Mentre Giovanna si riposa, Guido va in farmacia a comprare tutto quello che Luciano ci ha suggerito per alleviare i nostri dolori e a prendere informazioni su eventuale servizio taxi.
Usciamo per cenare e già è un’impresa muoversi, in più tutti i locali che ci erano stati suggeriti sono chiusi. Alla fine troviamo la pizzeria Amarcord dove offrono un menu con 12 euro. Non male. Giovanna però è un po’ dispiaciuta perché avrebbe voluto festeggiare Guido in maniera migliore.
Il ritorno al nostro alloggio sono 500 metri di sofferenza per tutti e due. Incrociamo il proprietario del B & B che vedendoci avanzare in quello stato ci dice: “E voi domani fareste 30 chilometri a piedi?!”
Noi allarghiamo le braccia e gli diamo la buonanotte.
26 maggio 2015 TORREMAGGIORE - SANTA MARIA DI STIGNANO Km 27,3
Lettura di un pensiero di S. Filippo Neri
Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.
Lettura di stralci dalla lettera del Papa per il 5’ centenario della nascita di S. Filippo Neri
Filippo fu guida di tanti, annunciando il Vangelo e dispensando i Sacramenti. In particolare, si dedicò con grande passione al ministero della Confessione, fino alla sera del suo ultimo giorno terreno. La sua preoccupazione era quella di seguire costantemente la crescita spirituale dei suoi discepoli, accompagnandoli nelle asperità della vita e aprendoli alla speranza cristiana. La sua missione di “cesellatore di anime” era favorita certamente dall’attrattiva singolare della sua persona, contraddistinta da calore umano, letizia, mitezza e soavità. Queste sue peculiarità trovavano la loro origine nell’ardente esperienza di Cristo e nell’azione dello Spirito divino che gli aveva dilatato il cuore.
Padre Filippo, nel suo metodo formativo, seppe servirsi della fecondità dei contrasti: innamorato dell’orazione intima e solitaria, egli insegnava nell’Oratorio a pregare in fraterna comunione; fortemente ascetico nella sua penitenza anche corporale, proponeva l’impegno della mortificazione interiore improntata alla gioia e alla serenità del gioco; appassionato annunciatore della Parola di Dio, fu predicatore tanto parco di parole da ridursi a poche frasi quando lo coglieva la commozione. Questo è stato il segreto che fece di lui un autentico padre e maestro delle anime. La sua paternità spirituale traspare da tutto il suo agire, caratterizzato dalla fiducia nelle persone, dal rifuggire dai toni foschi ed accigliati, dallo spirito di festosità e di gioia, dalla convinzione che la grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce e la perfeziona.
Ci svegliamo alle 5 per decidere il da farsi. Giovanna non ce la fa a fare un solo passo, perciò chiamiamo il servizio taxi e fissiamo che verranno a prenderla alle 10 per portarla direttamente a S. Maria Stignano.
Guido intanto si prepara e farà il cammino da solo. Partire solo è un po’ strano dopo tutte le tappe fatte insieme, ma non ci sono alternative. Quelle pianure sconfinate che sta attraversando danno davvero l’idea delle mesetas, solo che qui c’è un traffico sulle strade da far paura.
A un certo punto gli manca l’acqua ed ecco “l’angelo del cammino”, un contadino che tira su dal pozzo un secchio d’acqua e gliela offre dicendo che è fresca e miracolosa. Sul fresco Guido non ha dubbi ma sul miracoloso, con i pesticidi che ha visto spargere per i campi, un po’ meno. Ringrazia, tira due sorsate e poi decide di non berla più, farà con quella che ha. Visto che minaccia pioggia resta sulla strada anche per gli ultimi sei chilometri.
Nella mattinata Giovanna, che si è potuta muovere grazie a un bendaggio zincato e al voltaren, raggiunge la meta di oggi con il taxi, percorrendo in larga parte la strada che fa Guido a piedi.
A S. Maria Stignano il convento è custodito da due frati francescani, ma oggi ce n’è uno solo, fra’ Giacomo.
Giovanna si sistema nella propria stanza poi esce e si mette sul muricciolo della strada ad aspettare. A un tratto ecco un puntino rosso che appare da dietro la curva, è Guido che a passo sostenuto sta facendo trionfante gli ultimi duecento metri, un arrivo che Giovanna immortala con un filmino.
Finalmente riuniti e una volta che Guido si è sistemato, visitiamo insieme il convento e ci rilassiamo aspettando la cena che Fra’ Giacomo ci preparerà.
A tavola Fra’ Giacomo ci parla della sua vocazione e ci spiega che dagli entusiasmi giovanili del dover fare, è passato al distacco dalle cose, al fare solo la volontà di Dio e a mettersi da parte.
Ci fa un po’ pena vederlo così solo in quell’ambiente così grande, ma almeno stasera ci siamo noi a fargli compagnia.
Lettura di un pensiero di S. Filippo Neri
Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.
Lettura di stralci dalla lettera del Papa per il 5’ centenario della nascita di S. Filippo Neri
Filippo fu guida di tanti, annunciando il Vangelo e dispensando i Sacramenti. In particolare, si dedicò con grande passione al ministero della Confessione, fino alla sera del suo ultimo giorno terreno. La sua preoccupazione era quella di seguire costantemente la crescita spirituale dei suoi discepoli, accompagnandoli nelle asperità della vita e aprendoli alla speranza cristiana. La sua missione di “cesellatore di anime” era favorita certamente dall’attrattiva singolare della sua persona, contraddistinta da calore umano, letizia, mitezza e soavità. Queste sue peculiarità trovavano la loro origine nell’ardente esperienza di Cristo e nell’azione dello Spirito divino che gli aveva dilatato il cuore.
Padre Filippo, nel suo metodo formativo, seppe servirsi della fecondità dei contrasti: innamorato dell’orazione intima e solitaria, egli insegnava nell’Oratorio a pregare in fraterna comunione; fortemente ascetico nella sua penitenza anche corporale, proponeva l’impegno della mortificazione interiore improntata alla gioia e alla serenità del gioco; appassionato annunciatore della Parola di Dio, fu predicatore tanto parco di parole da ridursi a poche frasi quando lo coglieva la commozione. Questo è stato il segreto che fece di lui un autentico padre e maestro delle anime. La sua paternità spirituale traspare da tutto il suo agire, caratterizzato dalla fiducia nelle persone, dal rifuggire dai toni foschi ed accigliati, dallo spirito di festosità e di gioia, dalla convinzione che la grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce e la perfeziona.
Ci svegliamo alle 5 per decidere il da farsi. Giovanna non ce la fa a fare un solo passo, perciò chiamiamo il servizio taxi e fissiamo che verranno a prenderla alle 10 per portarla direttamente a S. Maria Stignano.
Guido intanto si prepara e farà il cammino da solo. Partire solo è un po’ strano dopo tutte le tappe fatte insieme, ma non ci sono alternative. Quelle pianure sconfinate che sta attraversando danno davvero l’idea delle mesetas, solo che qui c’è un traffico sulle strade da far paura.
A un certo punto gli manca l’acqua ed ecco “l’angelo del cammino”, un contadino che tira su dal pozzo un secchio d’acqua e gliela offre dicendo che è fresca e miracolosa. Sul fresco Guido non ha dubbi ma sul miracoloso, con i pesticidi che ha visto spargere per i campi, un po’ meno. Ringrazia, tira due sorsate e poi decide di non berla più, farà con quella che ha. Visto che minaccia pioggia resta sulla strada anche per gli ultimi sei chilometri.
Nella mattinata Giovanna, che si è potuta muovere grazie a un bendaggio zincato e al voltaren, raggiunge la meta di oggi con il taxi, percorrendo in larga parte la strada che fa Guido a piedi.
A S. Maria Stignano il convento è custodito da due frati francescani, ma oggi ce n’è uno solo, fra’ Giacomo.
Giovanna si sistema nella propria stanza poi esce e si mette sul muricciolo della strada ad aspettare. A un tratto ecco un puntino rosso che appare da dietro la curva, è Guido che a passo sostenuto sta facendo trionfante gli ultimi duecento metri, un arrivo che Giovanna immortala con un filmino.
Finalmente riuniti e una volta che Guido si è sistemato, visitiamo insieme il convento e ci rilassiamo aspettando la cena che Fra’ Giacomo ci preparerà.
A tavola Fra’ Giacomo ci parla della sua vocazione e ci spiega che dagli entusiasmi giovanili del dover fare, è passato al distacco dalle cose, al fare solo la volontà di Dio e a mettersi da parte.
Ci fa un po’ pena vederlo così solo in quell’ambiente così grande, ma almeno stasera ci siamo noi a fargli compagnia.
27 maggio 2015 SANTA MARIA DI STIGNANO - SAN GIOVANNI ROTONDO Km 19,4
Lettura del salmo 122 Saluto a Gerusalemme, città di pace - Canto del pellegrino
Stamani riprendiamo il cammino tutt’e due e alle 8 partiamo con una leggera pioggerella.
Per strada incontriamo per la prima e unica volta due pellegrini che vanno in direzione opposta alla nostra. Sono due giovani polacchi partiti da Napoli che risalgono l’Italia fino a Torino, seguendo le indicazioni delle carte stradali e affidandosi alla Provvidenza.
Sono partiti stamani da S. Giovanni Rotondo e sono stati a Monte Sant’Angelo. Ci danno due santini di Suor Faustina, una santa polacca che, a seguito di una visione, ha propagandato la recita della Coroncina della Misericordia, un rosario a cui vengono aggiunte invocazioni al Cuore misericordioso di Gesù. Noi ne avevamo già sentito parlare, perché nel 2001 siamo stati in Polonia con la sorella di Giovanna a visitare, tra le altre cose, il santuario dedicato a questa santa. Non è una forma di preghiera che sentiamo nostra, ma rispettiamo chi la recita, perciò accettiamo volentieri e li salutiamo.
Il nostro cammino prosegue in salita fino a San Marco in Lamis, vivacissima cittadina che attraversiamo per poi raggiungere il convento francescano di S. Matteo Apostolo immerso in un fitto bosco. Di qui per secoli sono passati i pellegrini diretti a Monte Sant’Angelo e poi in Palestina.
Nel piazzale antistante la chiesa ci viene incontro il padre guardiano che si intrattiene con noi e ci invita addirittura a pranzo. Lo ringraziamo ma non possiamo accettare, dobbiamo proseguire.
Scesi a Borgo Celano, ci immettiamo sulla statale che seguiremo fino a San Giovanni Rotondo. Purtroppo i bordi della strada sono una discarica continua. Non si riesce a capire come possano esserci rifiuti domestici per tratti così lunghi di strada fuori dai centri abitati. Sembra quasi che le persone partano da casa con i sacchetti della nettezza per gettarli fuori dai finestrini dell’auto in corsa.
In lontananza le nubi sono già cariche di pioggia, ma per fortuna scaricano a destra e a sinistra della nostra meta.
Entriamo in San Giovanni Rotondo e raggiungiamo la nuova basilica progettata da Renzo Piano dove riposa Padre Pio. L’ingresso della chiesa è preceduto da una bellissima spianata fiancheggiata da olivi e da una serie di cascatelle d’acqua con tanti fiori colorati.
Sulle due ante del portone di ingresso ci sono due figure in bassorilievo che ci ricordano quelle dei due apostoli che si fronteggiano sul portone della chiesetta di San Giacomo in Spagna a A Coruña.
L’interno è molto bello con grandi arcate di legno. Per fortuna la statua di padre Pio è collocata da una parte dell’altare, mentre al centro campeggia un crocifisso, così si ristabilisce l’ordine delle cose.
Scendiamo nella cripta e, al di là della evidente contraddittorietà tra povertà francescana e la quantità di denaro speso per tutto quello sfarzo, ci limitiamo a osservare l’ambiente dal punto di vista estetico: quel mosaico dorato così sapientemente illuminato e quei vivaci colori delle raffigurazioni a nostro avviso sono un’opera d’arte notevole che resterà nel tempo.
Lungo questo tratto siamo accompagnati, anzi ossessionati dalla figura di Padre Pio proposto in tutte le salse: dalle statue a grandezza naturale poste all’ingresso dei ristoranti e degli alberghi fino ai bavaglini per neonati con l’effigie del santo! Un incubo.
Arriviamo al convento, un grande edificio con solo quattro suore. Ci accoglie una sorridente e mastodontica suora polacca che ci accompagna alla nostra stanza, un’ottima sistemazione. Siamo stanchi ma molto contenti di aver potuto camminare insieme.
Usciamo per visitare il paese. Nella piazza principale ci piace osservare la vita paesana: bambini che giocano e sulla panchina di pietra semicircolare una sfilata di anziani con la coppola che si godono l’ultimo sole in compagnia degli amici.
Come se fosse un gioco dell’oca arriviamo alla trattoria Antica Torre dove Filippo, l’avventore, parla un dialetto così stretto che fatichiamo a capire. Mentre ceniamo notiamo un giro strano di persone che piano piano riempiono il locale, piuttosto piccolo, mentre poco prima erano arrivati due tipi che parlottavano con il gestore della trattoria. Si è capito che tutta quella gente non era lì per cenare ma per acquistare cuscini, portati da quei due!!!
Lentamente torniamo al convento e ce ne andiamo a letto al calduccio, fuori fa un freddo boia.
Lettura del salmo 122 Saluto a Gerusalemme, città di pace - Canto del pellegrino
Stamani riprendiamo il cammino tutt’e due e alle 8 partiamo con una leggera pioggerella.
Per strada incontriamo per la prima e unica volta due pellegrini che vanno in direzione opposta alla nostra. Sono due giovani polacchi partiti da Napoli che risalgono l’Italia fino a Torino, seguendo le indicazioni delle carte stradali e affidandosi alla Provvidenza.
Sono partiti stamani da S. Giovanni Rotondo e sono stati a Monte Sant’Angelo. Ci danno due santini di Suor Faustina, una santa polacca che, a seguito di una visione, ha propagandato la recita della Coroncina della Misericordia, un rosario a cui vengono aggiunte invocazioni al Cuore misericordioso di Gesù. Noi ne avevamo già sentito parlare, perché nel 2001 siamo stati in Polonia con la sorella di Giovanna a visitare, tra le altre cose, il santuario dedicato a questa santa. Non è una forma di preghiera che sentiamo nostra, ma rispettiamo chi la recita, perciò accettiamo volentieri e li salutiamo.
Il nostro cammino prosegue in salita fino a San Marco in Lamis, vivacissima cittadina che attraversiamo per poi raggiungere il convento francescano di S. Matteo Apostolo immerso in un fitto bosco. Di qui per secoli sono passati i pellegrini diretti a Monte Sant’Angelo e poi in Palestina.
Nel piazzale antistante la chiesa ci viene incontro il padre guardiano che si intrattiene con noi e ci invita addirittura a pranzo. Lo ringraziamo ma non possiamo accettare, dobbiamo proseguire.
Scesi a Borgo Celano, ci immettiamo sulla statale che seguiremo fino a San Giovanni Rotondo. Purtroppo i bordi della strada sono una discarica continua. Non si riesce a capire come possano esserci rifiuti domestici per tratti così lunghi di strada fuori dai centri abitati. Sembra quasi che le persone partano da casa con i sacchetti della nettezza per gettarli fuori dai finestrini dell’auto in corsa.
In lontananza le nubi sono già cariche di pioggia, ma per fortuna scaricano a destra e a sinistra della nostra meta.
Entriamo in San Giovanni Rotondo e raggiungiamo la nuova basilica progettata da Renzo Piano dove riposa Padre Pio. L’ingresso della chiesa è preceduto da una bellissima spianata fiancheggiata da olivi e da una serie di cascatelle d’acqua con tanti fiori colorati.
Sulle due ante del portone di ingresso ci sono due figure in bassorilievo che ci ricordano quelle dei due apostoli che si fronteggiano sul portone della chiesetta di San Giacomo in Spagna a A Coruña.
L’interno è molto bello con grandi arcate di legno. Per fortuna la statua di padre Pio è collocata da una parte dell’altare, mentre al centro campeggia un crocifisso, così si ristabilisce l’ordine delle cose.
Scendiamo nella cripta e, al di là della evidente contraddittorietà tra povertà francescana e la quantità di denaro speso per tutto quello sfarzo, ci limitiamo a osservare l’ambiente dal punto di vista estetico: quel mosaico dorato così sapientemente illuminato e quei vivaci colori delle raffigurazioni a nostro avviso sono un’opera d’arte notevole che resterà nel tempo.
Lungo questo tratto siamo accompagnati, anzi ossessionati dalla figura di Padre Pio proposto in tutte le salse: dalle statue a grandezza naturale poste all’ingresso dei ristoranti e degli alberghi fino ai bavaglini per neonati con l’effigie del santo! Un incubo.
Arriviamo al convento, un grande edificio con solo quattro suore. Ci accoglie una sorridente e mastodontica suora polacca che ci accompagna alla nostra stanza, un’ottima sistemazione. Siamo stanchi ma molto contenti di aver potuto camminare insieme.
Usciamo per visitare il paese. Nella piazza principale ci piace osservare la vita paesana: bambini che giocano e sulla panchina di pietra semicircolare una sfilata di anziani con la coppola che si godono l’ultimo sole in compagnia degli amici.
Come se fosse un gioco dell’oca arriviamo alla trattoria Antica Torre dove Filippo, l’avventore, parla un dialetto così stretto che fatichiamo a capire. Mentre ceniamo notiamo un giro strano di persone che piano piano riempiono il locale, piuttosto piccolo, mentre poco prima erano arrivati due tipi che parlottavano con il gestore della trattoria. Si è capito che tutta quella gente non era lì per cenare ma per acquistare cuscini, portati da quei due!!!
Lentamente torniamo al convento e ce ne andiamo a letto al calduccio, fuori fa un freddo boia.
28maggio 2015 SAN GIOVANNI ROTONDO - MONTE SANT'ANGELO Km 22,5
Lettura della preghiera di S. Francesco a Maria
Santa Maria Vergine, nel mondo tra le donne non è nata alcuna simile a te, figlia e ancella dell’altissimo sommo Re, il Padre celeste, madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo; prega per noi con san Michele arcangelo e con tutte le potenze angeliche dei cieli e con tutti i santi, presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e maestro.
Lettura di alcune righe della lettera di S. Chiara ad Agnese di Praga.
“Memore del tuo proposito, sempre vedendo il tuo principio, ciò che hai ottenuto, tienilo stretto, ciò che stai facendo, fallo e non lasciarlo (cfr. Ct 3,4), ma con corsa veloce, passo leggero, senza inciampi ai piedi (cfr. Sal 91,12), così che i tuoi passi nemmeno raccolgano la polvere, sicura, nel gaudio e alacre avanza cautamente sul sentiero della beatitudine”.
Oggi è l’ultimo giorno di cammino e, come ben sanno i pellegrini di lungo corso, avvertiamo un leggero magone.
Oggi sarà anche l’ultimo giorno che Guido pubblicherà il post serale su facebook. Ci hanno seguito in tanti amici e ogni volta era un piacere leggere i commenti o anche solo vedere un “mi piace”. Anche questo ci mancherà.
C’è sole, vento e nuvole: possiamo partire.
Camminiamo per le prime ore sulla strada provinciale, ma l’ambiente che ci circonda è molto affascinante, arido e selvaggio che richiama alla mente l’interno della Sardegna. I campi di grano misti a quelli a pascolo sono delimitati da muretti; qua e là piante di mandorlo vicino a piccole case rurali dal tetto a forma di cupola; serragli di pietra per le greggi e pecore tra gli arbusti.
Superato un valico dove tira molto vento, cinquanta passi dopo il km. 46,6, si lascia la provinciale e ci si immette in una strada bianca acciottolata che poi si fa sentiero per salire una collina boscosa. Ci capita di fare un indesiderato incontro con i cani pastori che stanno a guardia di un gregge raggruppato proprio sul nostro sentiero. Per fortuna arriva il pastore che li richiama e così possiamo proseguire.
Entriamo in un altro mondo, l’ambiente si è fatto ancora più selvaggio e solitario. Prati delimitati da boschi, sassi, pietre grigie e tanti fiori, fra cui molti asfodeli che stanno lì lì per sbocciare.
Lettura della preghiera di S. Francesco a Maria
Santa Maria Vergine, nel mondo tra le donne non è nata alcuna simile a te, figlia e ancella dell’altissimo sommo Re, il Padre celeste, madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo; prega per noi con san Michele arcangelo e con tutte le potenze angeliche dei cieli e con tutti i santi, presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e maestro.
Lettura di alcune righe della lettera di S. Chiara ad Agnese di Praga.
“Memore del tuo proposito, sempre vedendo il tuo principio, ciò che hai ottenuto, tienilo stretto, ciò che stai facendo, fallo e non lasciarlo (cfr. Ct 3,4), ma con corsa veloce, passo leggero, senza inciampi ai piedi (cfr. Sal 91,12), così che i tuoi passi nemmeno raccolgano la polvere, sicura, nel gaudio e alacre avanza cautamente sul sentiero della beatitudine”.
Oggi è l’ultimo giorno di cammino e, come ben sanno i pellegrini di lungo corso, avvertiamo un leggero magone.
Oggi sarà anche l’ultimo giorno che Guido pubblicherà il post serale su facebook. Ci hanno seguito in tanti amici e ogni volta era un piacere leggere i commenti o anche solo vedere un “mi piace”. Anche questo ci mancherà.
C’è sole, vento e nuvole: possiamo partire.
Camminiamo per le prime ore sulla strada provinciale, ma l’ambiente che ci circonda è molto affascinante, arido e selvaggio che richiama alla mente l’interno della Sardegna. I campi di grano misti a quelli a pascolo sono delimitati da muretti; qua e là piante di mandorlo vicino a piccole case rurali dal tetto a forma di cupola; serragli di pietra per le greggi e pecore tra gli arbusti.
Superato un valico dove tira molto vento, cinquanta passi dopo il km. 46,6, si lascia la provinciale e ci si immette in una strada bianca acciottolata che poi si fa sentiero per salire una collina boscosa. Ci capita di fare un indesiderato incontro con i cani pastori che stanno a guardia di un gregge raggruppato proprio sul nostro sentiero. Per fortuna arriva il pastore che li richiama e così possiamo proseguire.
Entriamo in un altro mondo, l’ambiente si è fatto ancora più selvaggio e solitario. Prati delimitati da boschi, sassi, pietre grigie e tanti fiori, fra cui molti asfodeli che stanno lì lì per sbocciare.
Ci dirigiamo verso un’abetina attraversando altri prati costellati di fiori e tantissimi cardi. Ogni tanto scorgiamo mucche al pascolo seminascoste tra gli abeti, che ci guardano con aria interrogativa.
Via via che saliamo le vedute si allargano. Il massimo lo si ha su un pianoro quando, in un paesaggio lunare, all’improvviso alla nostra destra appare il mare, il grande golfo di Manfredonia e la costa che si estende fino a Bari. Magnifico!
Via via che saliamo le vedute si allargano. Il massimo lo si ha su un pianoro quando, in un paesaggio lunare, all’improvviso alla nostra destra appare il mare, il grande golfo di Manfredonia e la costa che si estende fino a Bari. Magnifico!
Sotto un cielo azzurro, ormai ripulito dal vento, il contrasto della terra arida e il blu del mare è veramente potente. A sinistra una piccola catena montuosa dall’aspetto leggermente dolomitico, qua e là mucche e cavalli al pascolo, poi finalmente l’ingresso a Monte Sant’Angelo.
Siamo nella parte alta del paese perciò, superato il castello angioino imponente alla nostra sinistra, scendiamo piano, ma molto piano, per la viuzza che porta proprio davanti alla Basilica di San Michele Arcangelo.
Non resta che scendere uno alla volta e molto lentamente gli 86 gradoni e entrare nella grotta dell’Arcangelo Michele, nel cuore della terra. Ci mettiamo a sedere in fondo alla grotta e ci viviamo in silenzio l’emozione della fine del Cammino. E’ un’emozione forte, perché questa volta la meta è stata conquistata duramente.
Diciamo una preghiera di ringraziamento e di intercessione prima di tutto per nostro figlio e poi per tutti quelli che ci hanno chiesto di ricordarli sia a Firenze che lungo il cammino.
In particolare ricordiamo Vera e Carlo che sarebbero dovuti essere con noi, ma che purtroppo, e sappiamo con quanto dispiacere, non sono potuti venire. E’ a loro che dedichiamo questo Cammino.
Infine un pensiero va a Angela che nella sua straordinaria “follia” ha tracciato un percorso meraviglioso, coinvolgendo tutti quelli che ci hanno ospitato e che tanto fanno perché questo cammino viva.
Prima di lasciare la Grotta andiamo a ritirare il testimonium di avvenuto cammino, la “compostela” di Monte Sant’Angelo, che teniamo orgogliosamente fra le mani mentre risaliamo lo scalone angioino.
Siamo nella parte alta del paese perciò, superato il castello angioino imponente alla nostra sinistra, scendiamo piano, ma molto piano, per la viuzza che porta proprio davanti alla Basilica di San Michele Arcangelo.
Non resta che scendere uno alla volta e molto lentamente gli 86 gradoni e entrare nella grotta dell’Arcangelo Michele, nel cuore della terra. Ci mettiamo a sedere in fondo alla grotta e ci viviamo in silenzio l’emozione della fine del Cammino. E’ un’emozione forte, perché questa volta la meta è stata conquistata duramente.
Diciamo una preghiera di ringraziamento e di intercessione prima di tutto per nostro figlio e poi per tutti quelli che ci hanno chiesto di ricordarli sia a Firenze che lungo il cammino.
In particolare ricordiamo Vera e Carlo che sarebbero dovuti essere con noi, ma che purtroppo, e sappiamo con quanto dispiacere, non sono potuti venire. E’ a loro che dedichiamo questo Cammino.
Infine un pensiero va a Angela che nella sua straordinaria “follia” ha tracciato un percorso meraviglioso, coinvolgendo tutti quelli che ci hanno ospitato e che tanto fanno perché questo cammino viva.
Prima di lasciare la Grotta andiamo a ritirare il testimonium di avvenuto cammino, la “compostela” di Monte Sant’Angelo, che teniamo orgogliosamente fra le mani mentre risaliamo lo scalone angioino.
29 maggio 2015 MONTE SANT'ANGELO - SANTA MARIA DI PULSANO
Al mattino scendiamo in Basilica con l’ascensore della Casa del pellegrino dove siamo alloggiati ed assistiamo alla messa, casualmente celebrata da un gruppo di pellegrini (pulmanati!) di Calenzano.
Tempo bello anche oggi e con il taxi (sono 9 km. da Monte Sant’Angelo) andiamo a visitare l’Abbazia di Santa Maria di Pulsano.
E’ un posto meraviglioso, isolato, a metà costa della montagna del Gargano. Il complesso circondato da un bellissimo giardino si affaccia sul mare. Nella parte bassa c’è la Grotta di San Gregorio dove sono stati ricavati spazi dedicati al culto e alla preghiera che invitano al silenzio e alla meditazione. E’ un luogo molto mistico e di profonda spiritualità.
Torniamo a Monte Sant’Angelo e dedichiamo tutta la giornata alla visita della città girovagando fra i vicoletti, nel bianco accecante delle casette medievali disposte ordinatamente in fila.
Ci fermiamo a visitare la chiesa di S. Maria Maggiore al cui interno si possono ammirare affreschi in stile bizantino raffiguranti San Francesco senza le stimmate e S. Michele arcangelo, dagli occhi leggermente strabici.
Avremmo voluto visitare anche l’adiacente Battistero di San Giovanni, detto Tomba di Rotari, ma è chiuso per restauro, perché, ci hanno detto, un po’ in tutte le chiese fervono i lavori per essere pronti all’apertura del Giubileo della Misericordia indetto da Papa Francesco.
Una meravigliosa veduta sulla Foresta Umbra e la luna che alta nel cielo illumina la torre della Basilica sono le immagini che chiudono questa ultima bellissima giornata in terra di Puglia.
Al mattino scendiamo in Basilica con l’ascensore della Casa del pellegrino dove siamo alloggiati ed assistiamo alla messa, casualmente celebrata da un gruppo di pellegrini (pulmanati!) di Calenzano.
Tempo bello anche oggi e con il taxi (sono 9 km. da Monte Sant’Angelo) andiamo a visitare l’Abbazia di Santa Maria di Pulsano.
E’ un posto meraviglioso, isolato, a metà costa della montagna del Gargano. Il complesso circondato da un bellissimo giardino si affaccia sul mare. Nella parte bassa c’è la Grotta di San Gregorio dove sono stati ricavati spazi dedicati al culto e alla preghiera che invitano al silenzio e alla meditazione. E’ un luogo molto mistico e di profonda spiritualità.
Torniamo a Monte Sant’Angelo e dedichiamo tutta la giornata alla visita della città girovagando fra i vicoletti, nel bianco accecante delle casette medievali disposte ordinatamente in fila.
Ci fermiamo a visitare la chiesa di S. Maria Maggiore al cui interno si possono ammirare affreschi in stile bizantino raffiguranti San Francesco senza le stimmate e S. Michele arcangelo, dagli occhi leggermente strabici.
Avremmo voluto visitare anche l’adiacente Battistero di San Giovanni, detto Tomba di Rotari, ma è chiuso per restauro, perché, ci hanno detto, un po’ in tutte le chiese fervono i lavori per essere pronti all’apertura del Giubileo della Misericordia indetto da Papa Francesco.
Una meravigliosa veduta sulla Foresta Umbra e la luna che alta nel cielo illumina la torre della Basilica sono le immagini che chiudono questa ultima bellissima giornata in terra di Puglia.
30 maggio 2015 MONTE SANT'ANGELO - FIRENZE
Ci alziamo prestissimo per prendere il bus che ci porta a Foggia. Scendiamo da Monte Sant’Angelo per la strada che con numerosi tornanti ci porta fino al mare.
In basso, tra i piedi della montagna e il mare, una distesa infinita di olivi, un tappeto immenso di verde.
Lungo la dirittura che ci porta a Foggia ancora distese di grano e bellissime masserie dal color ocra.
Il nostro viaggio di ritorno prosegue in treno risalendo la costa adriatica fino a Bologna per poi riscendere a Firenze. Perciò anche oggi salite e discese, ma questa volta per niente stanchi…..
La ragione ci suggerisce che, visti gli acciacchi, ci dovremmo dare una regolata e ridimensionare un po’, ma con il cuore siamo già al prossimo cammino. San Benedetto aspettaci…..
Ci alziamo prestissimo per prendere il bus che ci porta a Foggia. Scendiamo da Monte Sant’Angelo per la strada che con numerosi tornanti ci porta fino al mare.
In basso, tra i piedi della montagna e il mare, una distesa infinita di olivi, un tappeto immenso di verde.
Lungo la dirittura che ci porta a Foggia ancora distese di grano e bellissime masserie dal color ocra.
Il nostro viaggio di ritorno prosegue in treno risalendo la costa adriatica fino a Bologna per poi riscendere a Firenze. Perciò anche oggi salite e discese, ma questa volta per niente stanchi…..
La ragione ci suggerisce che, visti gli acciacchi, ci dovremmo dare una regolata e ridimensionare un po’, ma con il cuore siamo già al prossimo cammino. San Benedetto aspettaci…..