SULLA VIA FRANCIGENA
Pontremoli
Tranquilla cittadina al centro della Lunigiana, sensibile e attiva alla vita culturale attuale e alla sua tradizione di luogo di passaggio della Via Francigena , è infatti la Puntremel XXXI di Sigerico.
E’situata sulla linea ferroviaria Parma – Genova, e la stazione si trova nelle strette vicinanze del centro storico. Si ritiene che il nome suo derivi da un antico ponte di legno ‘Pons Tremulus’ che, per quanto traballante, consentiva di passare il fiume. Ricca di storia da quando fu eretta da re Enzo di Svezia nel 1247, Pontremoli ha saputo proteggere la sua posizione strategica con un sistema di difesa basato sullo sfruttamento delle barriere naturali, e della confluenza dei corsi d’acqua, il fiume Verde e il Magra, e di una studiata forma di sbarramenti. La sua struttura allungata parte da Porta a Parma, attraversa le due piazze centrali separate dalla Torre del Campanone punto in cui nel 1322 Castruccio Castracani fece funzionare lo sbarramento per mantenere divisa la città e impedire gli scontri fra le due fazioni di Guelfi e Ghibellini.
Si racconta di un altro sistema di difesa un po’ particolare ma di sicuro effetto per quei soggetti sensibili a queste esigenze: in una iscrizione su una campana nella Chiesa di San Francesco, fusa da un certo Ilario nel 1313, si afferma che i suoi rintocchi habiano il potere di scacciare gli spiriti maligni. In quei tempi questi accorgimenti erano sempre molto apprezzati. Sempre in Lunigiana, un’altra campana, un’altra chiesa, San Cristoforo, ha una iscrizione “MCCCIII , ne mentes ledant, fantasmata cuncta recedano”, e anche l’idea di scacciare i fantasmi in una valle piuttosto solitaria aveva il suo buon effetto rassicurante.
Si chiama Cresa il più antico dei ponti di Pontremoli, fatto a schiena d'asino come tanti antichi ponti che certamente il pellegrino ha già incontrato. Situato sul fiume Verde si trova nella parte alta della città, mentre il ponte Stemma o Busticca offre il passaggio in basso in prossimità della confluenza con l’altro fiume, il Magra.
Nella Rocca- Museo, Castello del Piagnaro, sono conservate lastre di pietra o stele funerarie scolpite a sembianze umane stilizzate, forse figure di guerrieri celtici; questi reperti provengono da in diverse zone della Lunigiana: sono testimonianze di una storia lontana, ancor più antica di quella del pellegrinaggio.
La strada in salita al castello è ben confortata dal bellissimo panorama, e poco più avanti dell'ingresso si può incontrare la chiesetta di Sant'Ilario la cui facciata è del secolo scorso, ma è per noi importante perché presenta all’interno un abside semicircolare di particolare eleganza che rivela un’altra origine, e che porta a ritenere che questo sia stato un luogo di accoglienza per i pellegrini. Da quel punto infatti, parte o arriva, verso il nord un altro sentiero, un altro dei tanti percorsi anche più antichi che in direzione del paese Borgo Taro, arriva a Bobbio. E’ la strada che si percorreva dal monastero di Bobbio, fondato da San Colombano nel settimo secolo, verso Roma. Il monaco Irlandese aveva viaggiato per tutta l’Europa con il suo apostolato di fede fondando nuovi monasteri. L’ultimo, questo di Bobbio, divenne subito così importante da dover stabilire continui contatti con Roma, e poiché il valico del monte Bardone fino all’VIII secolo si trovava sotto il controllo dei Bizantini, i monaci di san Colombano percorrevano una propria strada attraverso il Monte Penice, e Val Taro. Pontremoli stessa nell’alto medioevo e fin dall’epoca longobarda fu soggetta all’abbazia di San Colombano. Questo percorso recentemente ripristinato e segnalato con un suo marchio ( tre abati ), chiamato Via degli Abati, taglia la via Francigena, consente un cammino tutto su sentieri attraversando bellissimi boschi. Sulle via degli Abati, una delle prime chiese che si incontrano è la Pieve di San Pancrazio di Vìgnola di cui è sconosciuta la data di origine ma è citata nel 998. Poco si vede della sua primitiva struttura in stile romanico. Nel 1202 intorno alla pieve di Vignola venivano fatte le sepolture dei paesi da essa dipendenti e fra queste dipendeva anche l’ospitale del Borgallo.
Tornando alla visita di Pontremoli, incontriamo il Duomo , dalla bella facciata bianca , con opere prestigiose all’interno ma soprattutto con la storia di essere stato edificato sull'area in cui sorgeva il piccolo Oratorio di S. Maria di piazza di proprietà dei Cavalieri di Malta.
Citiamo il convento di San Francesco che la tradizione vuole sia stato costruito dopo il passaggio del Santo nel 1219, ma molto poco resta del suo l’impianto medioevale.
Oggi oltre al convento c’è la sede della parrocchia dedicata ai S.S. Giovanni e Colombano.
Vicino alla porta a Parma c'è la chiesa romanica di San Giorgio, un esempio di romanico lombardo, con l’abisde perfettamente conservata,del quale si ha notizia in un documento del 1078. La chiesa si trovava fuori del borgo e dipendeva dall’Abbazia benedettina dei S.S. Salvatore e Benedetto di Leno. Da ricordare anche quella che è stata la chiesa di San Giacomo di Altopascio, costruita nel 1508 sul luogo dove precedentemente sorgeva l’antico ospedale. Rappresentava un punto di riferimento non solo per i pellegrini ma anche coloro che si occupavano della manutenzione dei ponti. Oggi è rimasta una struttura che è sede di una scuola.
Un’altra chiesa dedicata a San Giacomo, detta della Misericordia, si ritiene che sia antichissima, istituita ancor prima della urbanizzazione della cittadina.
Lasciando la città ricordiamo la citazione su Federico Barbarossa che mostrava al figlio Pontremoli definendola ‘la chiave’ per entrare in Toscana.
Il Labirinto di Pontremoli
Nel suo passaggio in questa cittadina il pellegrino che avesse la fortuna di arrivare di domenica o in un giorno di precetto, potrebbe ammirare nella chiesa di San Pietro, aperta per la funzione religiosa, un importante bassorilievo che rappresenta un labirinto. E’ questo un simbolo presente sulle strade di pellegrinaggio, vuole indicare tutto ciò che può evocare o indicare un labirinto, fra questi anche la difficile ricerca di un percorso sia questo fisico e anche spirituale.
Un labirinto creato su un pavimento, risalente al XII secolo, della chiesa di San Savino , vicino a Piacenza, riportava questa iscrizione che definiva il mondo:
Largo per chi entra ma stretto per chi tenta di liberarsi dai vizi
"Hunc mundum tipice laberinthus denotat iste intranti largus, redeunti set nimis artus sic mundo captus, viciorum mole gravatus vix valet ad vite octrinam quisque redire
Nella Cattedrale di Chartres in Francia si ammirano maggiormente le magnifiche vetrate medievali, ma volgendo lo sguardo versi i piedi può vedere, anche se a volte è seminascosto dalle sedie, il grande labirinto circolare che occupa in larghezza tutta la navata centrale.
Il labirinto, uno dei pochi rimasti sui pavimenti delle cattedrali europee, è lungo 261,50 metri e ha un diametro di 12,885 metri, esattamente un decimo della lunghezza totale dell’edificio.
Nel Medioevo veniva chiamato la “strada di Gerusalemme” o la “lieue”, la lega, corrispondente a circa quattro chilometri. I fedeli, secondo la tradizione popolare, lo percorrevano infatti in ginocchio più o meno in un’ora, lo stesso tempo necessario per percorrere a piedi una lega.
E’situata sulla linea ferroviaria Parma – Genova, e la stazione si trova nelle strette vicinanze del centro storico. Si ritiene che il nome suo derivi da un antico ponte di legno ‘Pons Tremulus’ che, per quanto traballante, consentiva di passare il fiume. Ricca di storia da quando fu eretta da re Enzo di Svezia nel 1247, Pontremoli ha saputo proteggere la sua posizione strategica con un sistema di difesa basato sullo sfruttamento delle barriere naturali, e della confluenza dei corsi d’acqua, il fiume Verde e il Magra, e di una studiata forma di sbarramenti. La sua struttura allungata parte da Porta a Parma, attraversa le due piazze centrali separate dalla Torre del Campanone punto in cui nel 1322 Castruccio Castracani fece funzionare lo sbarramento per mantenere divisa la città e impedire gli scontri fra le due fazioni di Guelfi e Ghibellini.
Si racconta di un altro sistema di difesa un po’ particolare ma di sicuro effetto per quei soggetti sensibili a queste esigenze: in una iscrizione su una campana nella Chiesa di San Francesco, fusa da un certo Ilario nel 1313, si afferma che i suoi rintocchi habiano il potere di scacciare gli spiriti maligni. In quei tempi questi accorgimenti erano sempre molto apprezzati. Sempre in Lunigiana, un’altra campana, un’altra chiesa, San Cristoforo, ha una iscrizione “MCCCIII , ne mentes ledant, fantasmata cuncta recedano”, e anche l’idea di scacciare i fantasmi in una valle piuttosto solitaria aveva il suo buon effetto rassicurante.
Si chiama Cresa il più antico dei ponti di Pontremoli, fatto a schiena d'asino come tanti antichi ponti che certamente il pellegrino ha già incontrato. Situato sul fiume Verde si trova nella parte alta della città, mentre il ponte Stemma o Busticca offre il passaggio in basso in prossimità della confluenza con l’altro fiume, il Magra.
Nella Rocca- Museo, Castello del Piagnaro, sono conservate lastre di pietra o stele funerarie scolpite a sembianze umane stilizzate, forse figure di guerrieri celtici; questi reperti provengono da in diverse zone della Lunigiana: sono testimonianze di una storia lontana, ancor più antica di quella del pellegrinaggio.
La strada in salita al castello è ben confortata dal bellissimo panorama, e poco più avanti dell'ingresso si può incontrare la chiesetta di Sant'Ilario la cui facciata è del secolo scorso, ma è per noi importante perché presenta all’interno un abside semicircolare di particolare eleganza che rivela un’altra origine, e che porta a ritenere che questo sia stato un luogo di accoglienza per i pellegrini. Da quel punto infatti, parte o arriva, verso il nord un altro sentiero, un altro dei tanti percorsi anche più antichi che in direzione del paese Borgo Taro, arriva a Bobbio. E’ la strada che si percorreva dal monastero di Bobbio, fondato da San Colombano nel settimo secolo, verso Roma. Il monaco Irlandese aveva viaggiato per tutta l’Europa con il suo apostolato di fede fondando nuovi monasteri. L’ultimo, questo di Bobbio, divenne subito così importante da dover stabilire continui contatti con Roma, e poiché il valico del monte Bardone fino all’VIII secolo si trovava sotto il controllo dei Bizantini, i monaci di san Colombano percorrevano una propria strada attraverso il Monte Penice, e Val Taro. Pontremoli stessa nell’alto medioevo e fin dall’epoca longobarda fu soggetta all’abbazia di San Colombano. Questo percorso recentemente ripristinato e segnalato con un suo marchio ( tre abati ), chiamato Via degli Abati, taglia la via Francigena, consente un cammino tutto su sentieri attraversando bellissimi boschi. Sulle via degli Abati, una delle prime chiese che si incontrano è la Pieve di San Pancrazio di Vìgnola di cui è sconosciuta la data di origine ma è citata nel 998. Poco si vede della sua primitiva struttura in stile romanico. Nel 1202 intorno alla pieve di Vignola venivano fatte le sepolture dei paesi da essa dipendenti e fra queste dipendeva anche l’ospitale del Borgallo.
Tornando alla visita di Pontremoli, incontriamo il Duomo , dalla bella facciata bianca , con opere prestigiose all’interno ma soprattutto con la storia di essere stato edificato sull'area in cui sorgeva il piccolo Oratorio di S. Maria di piazza di proprietà dei Cavalieri di Malta.
Citiamo il convento di San Francesco che la tradizione vuole sia stato costruito dopo il passaggio del Santo nel 1219, ma molto poco resta del suo l’impianto medioevale.
Oggi oltre al convento c’è la sede della parrocchia dedicata ai S.S. Giovanni e Colombano.
Vicino alla porta a Parma c'è la chiesa romanica di San Giorgio, un esempio di romanico lombardo, con l’abisde perfettamente conservata,del quale si ha notizia in un documento del 1078. La chiesa si trovava fuori del borgo e dipendeva dall’Abbazia benedettina dei S.S. Salvatore e Benedetto di Leno. Da ricordare anche quella che è stata la chiesa di San Giacomo di Altopascio, costruita nel 1508 sul luogo dove precedentemente sorgeva l’antico ospedale. Rappresentava un punto di riferimento non solo per i pellegrini ma anche coloro che si occupavano della manutenzione dei ponti. Oggi è rimasta una struttura che è sede di una scuola.
Un’altra chiesa dedicata a San Giacomo, detta della Misericordia, si ritiene che sia antichissima, istituita ancor prima della urbanizzazione della cittadina.
Lasciando la città ricordiamo la citazione su Federico Barbarossa che mostrava al figlio Pontremoli definendola ‘la chiave’ per entrare in Toscana.
Il Labirinto di Pontremoli
Nel suo passaggio in questa cittadina il pellegrino che avesse la fortuna di arrivare di domenica o in un giorno di precetto, potrebbe ammirare nella chiesa di San Pietro, aperta per la funzione religiosa, un importante bassorilievo che rappresenta un labirinto. E’ questo un simbolo presente sulle strade di pellegrinaggio, vuole indicare tutto ciò che può evocare o indicare un labirinto, fra questi anche la difficile ricerca di un percorso sia questo fisico e anche spirituale.
Un labirinto creato su un pavimento, risalente al XII secolo, della chiesa di San Savino , vicino a Piacenza, riportava questa iscrizione che definiva il mondo:
Largo per chi entra ma stretto per chi tenta di liberarsi dai vizi
"Hunc mundum tipice laberinthus denotat iste intranti largus, redeunti set nimis artus sic mundo captus, viciorum mole gravatus vix valet ad vite octrinam quisque redire
Nella Cattedrale di Chartres in Francia si ammirano maggiormente le magnifiche vetrate medievali, ma volgendo lo sguardo versi i piedi può vedere, anche se a volte è seminascosto dalle sedie, il grande labirinto circolare che occupa in larghezza tutta la navata centrale.
Il labirinto, uno dei pochi rimasti sui pavimenti delle cattedrali europee, è lungo 261,50 metri e ha un diametro di 12,885 metri, esattamente un decimo della lunghezza totale dell’edificio.
Nel Medioevo veniva chiamato la “strada di Gerusalemme” o la “lieue”, la lega, corrispondente a circa quattro chilometri. I fedeli, secondo la tradizione popolare, lo percorrevano infatti in ginocchio più o meno in un’ora, lo stesso tempo necessario per percorrere a piedi una lega.
La Pieve di Cellole
La Pieve di Cellole nasce in un luogo di culto del quale si trova una iscrizione presso il campanile della attuale chiesa:
+REMOTA.FUIT.H.PLEBS.A.M.CXC. IN. ITA FACTA. TEMPORE . ILD PLE
Siamo sul percorso della via Francigena, la via di comunicazione segnata dai Longobardi e successivamente frequentata dai Franchi dai quali ha preso il nome, ma segnata da tracce di insediamenti più antichi, gli etruschi ed i romani. E’ intorno all’anno mille che la religione
cercando una sua forte affermazione e facendo nascere una complessa rete di santuari e luoghi di culto, crea il primo nucleo di questa chiesa.
Anticamente detta Piviere e dedicata a Santa Maria la chiesa non ha una precisa data di costruzione, sicuramente si può collocare nel XII secolo. In un primo momento ebbe una sola navata e in seguito, forse con l'arrivo di nuove donazioni, fu arricchita delle due navate laterali. Sulla facciata, a sinistra del portone d'ingresso troviamo un'altra iscrizione che riporta la data ufficiale del termine dei primi lavori A.D. MCCXXXVIII CONSUMAZIO PLEBIS
La solida struttura muraria in travertino ha una copertura a capriate a vista; presenta una dimensione sviluppata più in larghezza che in altezza, che disegna quasi una forma a capanna. Circondata da un piazzale in terra battuta sotto l'ombra di numerosi cipressi comunica un effetto di serena sacralità in una bella ed elegante cornice che non lascerà indifferente anche il pellegrino d'oggi.
La facciata ha un unico portale squadrato e sormontato da una architrave che poggia su due capitelli decorati. L'arco cieco che è posto al di sopra è al tempo stesso ricco e sobrio, assieme alla bifora soprastante completa l'eleganza della struttura ed un interessante effetto di profondità. Le due finestre ai lati del portale sono posteriori .L'interno mostra le due file parallele di colonne in pietra che delineano le navate. I capitelli e i basamenti che ornano le colonne si presentano di diversa fattura e per quanto questo si riscontri in altre chiese dello stesso periodo, si suppone che il materiale usato possa avere origine da precedenti costruzioni.
Due soglie e due gradini in pietra portano ad un sobrio altare .
L'abside, distrutta nel 1600 da un fulmine, ha avuto la prima ricostruzione nel 1879, che ha riproposto le ricche decorazioni geometriche e figure di vegetali e animali oltre a mensole con archetti ciechi. Ai lati dell'abside due finestre laterali mostrano uno spigolo vivo rimasto inalterato. Hanno una dimensione di 10 cm per 1 metro e 70 e il davanzale e l'architrave sono due blocchi monolitici. La posizione di queste finestre orientate a levante consente che la prima luce dell'alba arrivi da queste sottili fessure con una intensità di grande effetto suggestivo: invito al pellegrino di riprendere il cammino dopo la sosta notturna.
La porta interna che serve di comunicazione con la sacrestia è, secondo alcuni, una delle parti più antiche, ed è arricchita da mensole con archetto cieco. Sempre sul lato ovest, più centrale c'è la porta che si apre sul quello che è stato l'antico cimitero, anche se nel primo periodo le sepolture venivano fatte dentro la chiesa stessa. Tutto questo lato in muratura della pieve è rimasto l'originale. La parte esterna dell'abside mostra gli effetti della ricomposizione del restauro per cui alcuni elementi geometrici si presentano una direzione sfalsata.
Sempre durante il restauro fu demolito il campanile che era un'alta torre in pietra con una grossa vela dove erano inserite le campane, simile a quella di Collemuccioli, con funzione di avvistamento, utile per un luogo così isolato.
In quello spazio è stato collocato un fonte battesimale ricavato da un unico blocco di pietra. L'odierno campanile è situato poco distante dalla chiesa e mostra l'utilizzo di elementi asportati dalla vecchia costruzione.
Pezzi di marmi pregiati con ricche decorazioni e forme di capitelli sono stati rinvenuti dispersi nel territorio circostante, testimoniando la grande produzione effettuata per la costruzione della chiesa.
La grande affluenza di pellegrini che si dirigevano a Roma e anche alla volta di Gerusalemme nel dodicesimo secolo poteva trovare in questa pieve sostegno spirituale e accoglienza per la sosta. Papa Onorio III nel 1220 definì il raggio delle competenze della chiesa, che nel corso del tempo diventò matrice di molte parrocchie dislocate nel territorio circostante.
I pievani che nel corso dei secoli si occupati della chiesa meriterebbero di essere ricordati, soprattutto per il loro impegno delle difficoltà incontrate a reperire i fondi necessari per i vari restauri. I nuovi cipressi che ammiriamo sul sagrato, dopo la demolizione di quelli precedenti ai lavori, rappresentano ognuno una famiglia della parrocchia che ha contribuito a reperire dei fondi preziosi.
Oggi, nonostante le variazioni subite nel tempo questa chiesa rimane a segnare una tappa importante nella storia dell'arte del romanico toscano, nonché un documento della vita culturale e spirituale vissuta dai pellegrini.
+REMOTA.FUIT.H.PLEBS.A.M.CXC. IN. ITA FACTA. TEMPORE . ILD PLE
Siamo sul percorso della via Francigena, la via di comunicazione segnata dai Longobardi e successivamente frequentata dai Franchi dai quali ha preso il nome, ma segnata da tracce di insediamenti più antichi, gli etruschi ed i romani. E’ intorno all’anno mille che la religione
cercando una sua forte affermazione e facendo nascere una complessa rete di santuari e luoghi di culto, crea il primo nucleo di questa chiesa.
Anticamente detta Piviere e dedicata a Santa Maria la chiesa non ha una precisa data di costruzione, sicuramente si può collocare nel XII secolo. In un primo momento ebbe una sola navata e in seguito, forse con l'arrivo di nuove donazioni, fu arricchita delle due navate laterali. Sulla facciata, a sinistra del portone d'ingresso troviamo un'altra iscrizione che riporta la data ufficiale del termine dei primi lavori A.D. MCCXXXVIII CONSUMAZIO PLEBIS
La solida struttura muraria in travertino ha una copertura a capriate a vista; presenta una dimensione sviluppata più in larghezza che in altezza, che disegna quasi una forma a capanna. Circondata da un piazzale in terra battuta sotto l'ombra di numerosi cipressi comunica un effetto di serena sacralità in una bella ed elegante cornice che non lascerà indifferente anche il pellegrino d'oggi.
La facciata ha un unico portale squadrato e sormontato da una architrave che poggia su due capitelli decorati. L'arco cieco che è posto al di sopra è al tempo stesso ricco e sobrio, assieme alla bifora soprastante completa l'eleganza della struttura ed un interessante effetto di profondità. Le due finestre ai lati del portale sono posteriori .L'interno mostra le due file parallele di colonne in pietra che delineano le navate. I capitelli e i basamenti che ornano le colonne si presentano di diversa fattura e per quanto questo si riscontri in altre chiese dello stesso periodo, si suppone che il materiale usato possa avere origine da precedenti costruzioni.
Due soglie e due gradini in pietra portano ad un sobrio altare .
L'abside, distrutta nel 1600 da un fulmine, ha avuto la prima ricostruzione nel 1879, che ha riproposto le ricche decorazioni geometriche e figure di vegetali e animali oltre a mensole con archetti ciechi. Ai lati dell'abside due finestre laterali mostrano uno spigolo vivo rimasto inalterato. Hanno una dimensione di 10 cm per 1 metro e 70 e il davanzale e l'architrave sono due blocchi monolitici. La posizione di queste finestre orientate a levante consente che la prima luce dell'alba arrivi da queste sottili fessure con una intensità di grande effetto suggestivo: invito al pellegrino di riprendere il cammino dopo la sosta notturna.
La porta interna che serve di comunicazione con la sacrestia è, secondo alcuni, una delle parti più antiche, ed è arricchita da mensole con archetto cieco. Sempre sul lato ovest, più centrale c'è la porta che si apre sul quello che è stato l'antico cimitero, anche se nel primo periodo le sepolture venivano fatte dentro la chiesa stessa. Tutto questo lato in muratura della pieve è rimasto l'originale. La parte esterna dell'abside mostra gli effetti della ricomposizione del restauro per cui alcuni elementi geometrici si presentano una direzione sfalsata.
Sempre durante il restauro fu demolito il campanile che era un'alta torre in pietra con una grossa vela dove erano inserite le campane, simile a quella di Collemuccioli, con funzione di avvistamento, utile per un luogo così isolato.
In quello spazio è stato collocato un fonte battesimale ricavato da un unico blocco di pietra. L'odierno campanile è situato poco distante dalla chiesa e mostra l'utilizzo di elementi asportati dalla vecchia costruzione.
Pezzi di marmi pregiati con ricche decorazioni e forme di capitelli sono stati rinvenuti dispersi nel territorio circostante, testimoniando la grande produzione effettuata per la costruzione della chiesa.
La grande affluenza di pellegrini che si dirigevano a Roma e anche alla volta di Gerusalemme nel dodicesimo secolo poteva trovare in questa pieve sostegno spirituale e accoglienza per la sosta. Papa Onorio III nel 1220 definì il raggio delle competenze della chiesa, che nel corso del tempo diventò matrice di molte parrocchie dislocate nel territorio circostante.
I pievani che nel corso dei secoli si occupati della chiesa meriterebbero di essere ricordati, soprattutto per il loro impegno delle difficoltà incontrate a reperire i fondi necessari per i vari restauri. I nuovi cipressi che ammiriamo sul sagrato, dopo la demolizione di quelli precedenti ai lavori, rappresentano ognuno una famiglia della parrocchia che ha contribuito a reperire dei fondi preziosi.
Oggi, nonostante le variazioni subite nel tempo questa chiesa rimane a segnare una tappa importante nella storia dell'arte del romanico toscano, nonché un documento della vita culturale e spirituale vissuta dai pellegrini.
Badia a Coneo
La Val d’Elsa si trova nel cuore della Toscana, circondata da città di grande importanza storica e strategica come Volterra Siena e Firenze.Percorrendo la Via Francigena incontriamo una chiesa fondata intorno all’anno mille in un punto dove s’incrociava con la Via Volterrana: Badia a Coneo. Al tempo della sua creazione faceva parte di un monastero a regola benedettina del quale sono pervenuti registri che ne danno notizie. Il monastero era retto da un abate, dotato di un mulino, di uno spedale. Nel 1032 vi entrò come monaco il futuro vescovo di Firenze, Lamberto.Tra il 1073 e il 1076 il plesso entrò a far parte della congregazione Vallombrosana che in quel periodo diffonde la sua presenza in oltre 50 monasteri nel centro e nel nord d’Italia. Il 5 maggio del 1108 inizia la costruzione di una nuova chiesa abbaziale e nel 1124 venne consacrata e intitolata a Santa Maria alla presenza dei vescovi di Volterra, di Anagni e di Acqui.
Nel 1115 nasce l’attuale Poggibonsi, benedetta da Papa Adriano IV, e affidata alla diocesi di Siena, e con questo borgo si crea un ramo della Via Francigena di fondovalle. Ciò nonostante si registra che a Coneo il ruolo dell’abate riveste un ruolo molto importante su tutta la zona e la vita dell’abbazia è ricca e sicura fino all’inizio del quattordicesimo secolo.Nel sedicesimo secolo il plesso fu affidato ad Alessandro Farnese che nel 1534 è papa Paolo III. Questo papa è stato uno dei più grandi mecenati del rinascimento italiano, occupandosi anche di mantenere e restaurare antiche chiese e monasteri. Di quel periodo storico rimane è un acquedotto che si trova nella valle del botro Conio, sulla sinistra, subito sotto la Badia. Alla morte del papa la badia rimase in commenda ai familiari, ma nel 1592 la proprietà passò alla Cattedrale vescovile di Colle e alla chiesa venne affidata la competenza battesimale.
Il plesso consiste in una chiesa e in edifici del monastero in una unica fase costruttiva in muratura realizzata a corsi paralleli e orizzontali di conci in travertino e arenaria.
La chiesa si presenta con un’ aspetto solenne e severo in stile romanico senese.Il portale ha un architrave a tutto sesto e sulla facciata si trova una decorazione con semicolonne e tre piccole arcate di stile borgognone L'ordine superiore della facciata è stato alterato dove che prima si apriva una bifora sovrastata da un campanile a vela. Sul fianco settentrionale si aprono tre monofore a distanza regolare con archivolto in bicromia poste a distanza regolare. In alto la fiancata è coronata da una serie di archetti monolitici decorati a foglie di palma e sostenuti da mensole decorate a figure antropomorfe collegate da festoni. Una cornice superiore decorata con foglie e racemi è paragonabile a quella del Duomo di Volterra e a quella dellaBadia di Montepiano. Nel transetto sinistro c’è una monofora a colonnine con arco bicromico e davanzale scolpito a rosette inquadrata tra due lesene, la monofora è molto simile a quelle presenti nella chiesa di Cellole e nella chiesa di Cedda.
La zona della tribuna ha un aspetto molto simile a quello dellacattedrale di Sovana o di altre abbazie maremmane ed è caratterizzata dal volume dell'abside centrale e dalla bassa struttura che contiene quelle laterali come nella pieve di Mensano.
Tutto l'edificio è sovrastato dal tiburio ottagonale che contiene la cupola coperta con un tetto a piramide, presenta una sola apertura ad occhio molto stretta ed è decorato da racemi e archetti pensili poggianti su mensole antropomorfe alternate a piccole colonne.
L'interno della chiesa è a croce latina, ad un’unica navata è diviso da un arco trasversale poggiante su semicolonne pensili con i capitelli decorati a motivi astratti, floreali e umani. Termina con un transetto a tre absidi, e domina una grande cupola che poggia su un tamburo ottagonale il cui stile risente di un carattere longobardo. L’abside centrale mostra la sua curvatura all’esterno dando al retro della chiesa un aspetto imponente.
I locali del monastero sono addossati alla parete meridionale e sono interamente raccolti intorno ad un chiostro a cui si può accedere da un arco retto da due capitelli posto alla destra del portale di accesso. I capitelli sono interessanti: quello di sinistra è scolpito con le figure di due palmizi con al centro un volatile su un albero mentre quello di destra presenta Adamo ed Eva ai lati dell'albero della vita, ne ritroviamo lo stile nei capitelli della vicina pieve di SAnt'Ippolito.
Sul retro della Badia si trova un tratto di strada selciata medievale che la collega con le case di Conèo.
La chiesa è stata restaurata nel tra il1920 con la rimozione di tutte le integrazioni barocche riportando l'edificio allo stile romanico.
Nel 1115 nasce l’attuale Poggibonsi, benedetta da Papa Adriano IV, e affidata alla diocesi di Siena, e con questo borgo si crea un ramo della Via Francigena di fondovalle. Ciò nonostante si registra che a Coneo il ruolo dell’abate riveste un ruolo molto importante su tutta la zona e la vita dell’abbazia è ricca e sicura fino all’inizio del quattordicesimo secolo.Nel sedicesimo secolo il plesso fu affidato ad Alessandro Farnese che nel 1534 è papa Paolo III. Questo papa è stato uno dei più grandi mecenati del rinascimento italiano, occupandosi anche di mantenere e restaurare antiche chiese e monasteri. Di quel periodo storico rimane è un acquedotto che si trova nella valle del botro Conio, sulla sinistra, subito sotto la Badia. Alla morte del papa la badia rimase in commenda ai familiari, ma nel 1592 la proprietà passò alla Cattedrale vescovile di Colle e alla chiesa venne affidata la competenza battesimale.
Il plesso consiste in una chiesa e in edifici del monastero in una unica fase costruttiva in muratura realizzata a corsi paralleli e orizzontali di conci in travertino e arenaria.
La chiesa si presenta con un’ aspetto solenne e severo in stile romanico senese.Il portale ha un architrave a tutto sesto e sulla facciata si trova una decorazione con semicolonne e tre piccole arcate di stile borgognone L'ordine superiore della facciata è stato alterato dove che prima si apriva una bifora sovrastata da un campanile a vela. Sul fianco settentrionale si aprono tre monofore a distanza regolare con archivolto in bicromia poste a distanza regolare. In alto la fiancata è coronata da una serie di archetti monolitici decorati a foglie di palma e sostenuti da mensole decorate a figure antropomorfe collegate da festoni. Una cornice superiore decorata con foglie e racemi è paragonabile a quella del Duomo di Volterra e a quella dellaBadia di Montepiano. Nel transetto sinistro c’è una monofora a colonnine con arco bicromico e davanzale scolpito a rosette inquadrata tra due lesene, la monofora è molto simile a quelle presenti nella chiesa di Cellole e nella chiesa di Cedda.
La zona della tribuna ha un aspetto molto simile a quello dellacattedrale di Sovana o di altre abbazie maremmane ed è caratterizzata dal volume dell'abside centrale e dalla bassa struttura che contiene quelle laterali come nella pieve di Mensano.
Tutto l'edificio è sovrastato dal tiburio ottagonale che contiene la cupola coperta con un tetto a piramide, presenta una sola apertura ad occhio molto stretta ed è decorato da racemi e archetti pensili poggianti su mensole antropomorfe alternate a piccole colonne.
L'interno della chiesa è a croce latina, ad un’unica navata è diviso da un arco trasversale poggiante su semicolonne pensili con i capitelli decorati a motivi astratti, floreali e umani. Termina con un transetto a tre absidi, e domina una grande cupola che poggia su un tamburo ottagonale il cui stile risente di un carattere longobardo. L’abside centrale mostra la sua curvatura all’esterno dando al retro della chiesa un aspetto imponente.
I locali del monastero sono addossati alla parete meridionale e sono interamente raccolti intorno ad un chiostro a cui si può accedere da un arco retto da due capitelli posto alla destra del portale di accesso. I capitelli sono interessanti: quello di sinistra è scolpito con le figure di due palmizi con al centro un volatile su un albero mentre quello di destra presenta Adamo ed Eva ai lati dell'albero della vita, ne ritroviamo lo stile nei capitelli della vicina pieve di SAnt'Ippolito.
Sul retro della Badia si trova un tratto di strada selciata medievale che la collega con le case di Conèo.
La chiesa è stata restaurata nel tra il1920 con la rimozione di tutte le integrazioni barocche riportando l'edificio allo stile romanico.
Storie nella roccia
Le storie qui raccontate sono silenziosamente tramandate da occhi ciechi e bocche serrate di statue, che parlano semplicemente stando. Furono scolpite nel travertino sulla strada che va verso Gracciano, ad ovest di Colle di Val d’Elsa, intorno all’XI secolo o poco prima. Attorno vi è costruita un’abbazia, uno spedale ed un mulino, che prende il nome di badia, Santa Maria Assunta a Conèo.
Questo monastero che isolato era ed isolato è, sembra poi non esser tanto cambiato nella struttura e nel suo sfondo per quei dieci secoli per cui è passato. Eppure proprio perché ancora in mezzo alla campagna senza che attorno vi siano altri segni dell’intervento umano, a poca distanza dall’incrocio del tracciato collinare della Francigena con il meridionale della Volterrana, quelle rocce scolpite, hanno più significato.
O almeno lo dovevan aver avuto per chi vi passava vicino, in cerca di un rifugio, o per i pellegrini che scendevano per quelle strade o per chi vi abitò e chi morì, visto che di loro solo restano notizie per i primi decenni. La prima attestazione della badia è infatti data dal necrologio della stessa: la morte dell’abate Lamberto, che vi era entrato come monaco nel 1032, già vescovo di Firenze, e che vi si spense in un 15 maggio dell’XI secolo.
L’abbazia ebbe notevole fortuna, soprattutto tra il XII e il XIII secolo, mentre vide il suo dimezzarsi tra il XIV e il XV secolo. Nel 1575 era divenuta una parrocchia con 30 famiglie e 150 fedeli e con beni per 400 ducati. Rimase in vita e attiva almeno fino metà ‘700, quando l’edificio subì alcuni lavori di ristrutturazione per far fronte all’aumento di popolazione nell’area circostante, che ammontava a ben 214 anime.
Questo monastero che isolato era ed isolato è, sembra poi non esser tanto cambiato nella struttura e nel suo sfondo per quei dieci secoli per cui è passato. Eppure proprio perché ancora in mezzo alla campagna senza che attorno vi siano altri segni dell’intervento umano, a poca distanza dall’incrocio del tracciato collinare della Francigena con il meridionale della Volterrana, quelle rocce scolpite, hanno più significato.
O almeno lo dovevan aver avuto per chi vi passava vicino, in cerca di un rifugio, o per i pellegrini che scendevano per quelle strade o per chi vi abitò e chi morì, visto che di loro solo restano notizie per i primi decenni. La prima attestazione della badia è infatti data dal necrologio della stessa: la morte dell’abate Lamberto, che vi era entrato come monaco nel 1032, già vescovo di Firenze, e che vi si spense in un 15 maggio dell’XI secolo.
L’abbazia ebbe notevole fortuna, soprattutto tra il XII e il XIII secolo, mentre vide il suo dimezzarsi tra il XIV e il XV secolo. Nel 1575 era divenuta una parrocchia con 30 famiglie e 150 fedeli e con beni per 400 ducati. Rimase in vita e attiva almeno fino metà ‘700, quando l’edificio subì alcuni lavori di ristrutturazione per far fronte all’aumento di popolazione nell’area circostante, che ammontava a ben 214 anime.
capitello
Delle storie che aleggiano tra pieve e monastero, basterà concentrarci su un solo capitello per aver argomento di discussione. Il capitello di una semicolonna di un arco, impostato giusto adiacente al fianco destro della chiesa, dal quale s’accede al chiostro attorno a cui le strutture del monastero si sviluppano. Ivi, sono scolpite due figure: un uomo, ben riconoscibile dal sesso appena abbozzato, cosa già strana per l’arte lombarda del XI secolo, ed un donna, riconoscibile invece dall’assenza di barba e dall’acconciatura.
Al centro, tra le due, un arbusto o un alberello di foglie stilizzate, come riccioli trilobati. Le figure dovrebbero rappresentare Adamo ed Eva e l’arbusto, l’albero della vita o l’albero proibito, in una sua forma che sembra essere derivata dall’ iconografia orientale, in particolare da alcune molte raffigurazioni persiane.
Al centro, tra le due, un arbusto o un alberello di foglie stilizzate, come riccioli trilobati. Le figure dovrebbero rappresentare Adamo ed Eva e l’arbusto, l’albero della vita o l’albero proibito, in una sua forma che sembra essere derivata dall’ iconografia orientale, in particolare da alcune molte raffigurazioni persiane.
simboli
Così rappresentata la scena scolpita sembra preannunciare un gioco che sarà diffuso in Germania, dal XVIII secolo, proprio nel ricorrere della notte di natale. La pratica,nota come “Adam und Eva Spiele”, ovvero “Gioco di Adamo ed Eva” diffusa ampiamente nelle città della Renania, regione storica della Germania occidentale, prevedeva che le piazze e le chiese dei paesi fossero riempite di alberi di frutta e simboli dell'abbondanza per ricreare un ideale immagine del Paradiso. Con il tempo gli alberi da frutto furono sostituiti da abeti, e gli abeti addobbati con doni, come noci, mele, datteri, fiocchi o fiori di carta. Gli abeti avevano già difatti una profonda valenza magica per il popolo, proprio per l’esser “sempreverdi”, dono che secondo la tradizione gli venne concesso dallo stesso Gesù come ringraziamento per averlo protetto mentre era inseguito da nemici. Fu così che secondo alcune cronache cinquecentesche nacque “l’albero di natale” nelle regioni a Nord del Reno.
Si arriva così all’haoma orientale. Il culto dell’albero come simbolo di abbondanza è difatti noto dai lapponi, sino agli Indiani, dagli Scandinavi sino i Persiani, dagli Italici ai Greci. Ma ancor prima di esser simbolo di ricchezza l’albero è simbolo della trascendenza: legame tra i due mondi, tra cielo e terra, che affonda le radici nell’uno e staglia le punte nell’altro. È poi simbolo generativo, simbolo del progenitore per eccellenza, sotto il cui ceppo nascevano i bambini sia nella tradizione Germanica che in racconti Greci e Latini.
L’haoma, nelle culture asiatiche (in particolare ci è noto dall’Avesta, raccolta di testi sacri della religione zoroastriana) è l’albero paradisiaco, il “bianco haoma” che conferisce l’immortalità a chi si ciba dei suoi frutti. Il termine “haoma” ha realtà diverse accezioni e può indicare la pianta come anche il succo o la bevanda o la divinità ad essa legata. Nella sua accezione di albero, legato all’immortalità o meglio, al rifuggire della morte, è in realtà presente sia in ambito veddico, come in ambito sumerico ed in particolare nell’epopea di Gilgamesh.
Il capitello di Badia a Conèo può semplicemente rappresentare l’episodio del vecchio testamento, ma collegamenti con l’arte e la mitologia orientale non sono da rifuggire. Il capitello opposto, sull’altra semicolonna dell’arco, non a caso rappresenta un volatile, probabilmente un airone o un pavone, tra due palmizi. Le figure e le sculture di Badia a Conèo se forse pur in modo silenzioso o inconsapevole, di tali storie ne portano l’eredità, ed è immaginabile che non solo a monaci, ma a viaggiatori e pellegrini, decorazioni e capitelli parlassero chiaro, avessero un senso o una storia da raccontare, come un simbolo comune in cui riconoscersi e in cui tirare un sospiro di sollievo.
BIBLIOGRAFIA
1 Bandini A. M., Notizie istoriche della illustre terra di S.Gimignano in Valdelsa, in G. Targioni Tozzetti , Relazioni…, vol. III, pp. 187-200
2 Repetti E., 1972, Dizionario geografico, fisico, storico del Granducato di Toscana, 6 voll, Firenze
3 Cammarosano et al., 1996, Chiese Medievali della Valdelsa, I territori della Francigena, vol. II, pp. 209-210
4 Salmi M., 1927, La scultura romanica in Toscana, Firenze
5 Gubernatis De A., 1878, L‘albero di Natale illuminato dalla comparazione, in Storia comparata degli usi natalizi in Italia e presso gli altri popoli indo-europei, Milano
6 www.wikipedia.it; www.esopedia.it
Niccolò Mazzucco
Si arriva così all’haoma orientale. Il culto dell’albero come simbolo di abbondanza è difatti noto dai lapponi, sino agli Indiani, dagli Scandinavi sino i Persiani, dagli Italici ai Greci. Ma ancor prima di esser simbolo di ricchezza l’albero è simbolo della trascendenza: legame tra i due mondi, tra cielo e terra, che affonda le radici nell’uno e staglia le punte nell’altro. È poi simbolo generativo, simbolo del progenitore per eccellenza, sotto il cui ceppo nascevano i bambini sia nella tradizione Germanica che in racconti Greci e Latini.
L’haoma, nelle culture asiatiche (in particolare ci è noto dall’Avesta, raccolta di testi sacri della religione zoroastriana) è l’albero paradisiaco, il “bianco haoma” che conferisce l’immortalità a chi si ciba dei suoi frutti. Il termine “haoma” ha realtà diverse accezioni e può indicare la pianta come anche il succo o la bevanda o la divinità ad essa legata. Nella sua accezione di albero, legato all’immortalità o meglio, al rifuggire della morte, è in realtà presente sia in ambito veddico, come in ambito sumerico ed in particolare nell’epopea di Gilgamesh.
Il capitello di Badia a Conèo può semplicemente rappresentare l’episodio del vecchio testamento, ma collegamenti con l’arte e la mitologia orientale non sono da rifuggire. Il capitello opposto, sull’altra semicolonna dell’arco, non a caso rappresenta un volatile, probabilmente un airone o un pavone, tra due palmizi. Le figure e le sculture di Badia a Conèo se forse pur in modo silenzioso o inconsapevole, di tali storie ne portano l’eredità, ed è immaginabile che non solo a monaci, ma a viaggiatori e pellegrini, decorazioni e capitelli parlassero chiaro, avessero un senso o una storia da raccontare, come un simbolo comune in cui riconoscersi e in cui tirare un sospiro di sollievo.
BIBLIOGRAFIA
1 Bandini A. M., Notizie istoriche della illustre terra di S.Gimignano in Valdelsa, in G. Targioni Tozzetti , Relazioni…, vol. III, pp. 187-200
2 Repetti E., 1972, Dizionario geografico, fisico, storico del Granducato di Toscana, 6 voll, Firenze
3 Cammarosano et al., 1996, Chiese Medievali della Valdelsa, I territori della Francigena, vol. II, pp. 209-210
4 Salmi M., 1927, La scultura romanica in Toscana, Firenze
5 Gubernatis De A., 1878, L‘albero di Natale illuminato dalla comparazione, in Storia comparata degli usi natalizi in Italia e presso gli altri popoli indo-europei, Milano
6 www.wikipedia.it; www.esopedia.it
Niccolò Mazzucco