Giovanni Sercambi

Giovanni Sercambi cominciò la sua vita politica dal 1372, rinunciando alla bottega di speziale che aveva ereditato dal padre. Egli s’impegnò in molte responsabilità sia in campo militare che diplomatico che politico fino a diventare ancora giovane uno statista di rilievo. La sua opera di scrittore lo porta ad essere un giornalista ante litteram per aver riportato eventi della storia di Lucca fra il1164 ed il 1423 nelle’ Croniche’ due volumi ricchi anche di miniature della sua stessa mano.
Nelle CRONICHE alcune miniature rappresentano i pellegrini alle porte di Roma , con il titolo 'Come fu lo perdono da Roma l'anno di MCCC 'e
' Di quello che si deve astenere il pellegrino e quello che de' prendere'
Quello che si de' astenere il pellegringo e quello de' prendere.
I sono un pellegrin che non ó posa,
Faccendo il mió viaggío,
Come fa ciaschun che va chom* io.
E vedi a me quant' era ciecha cosa
Che son chaduto & chaggio,
Andato e ito, e ció metra in obrio,
Per che le cose in me poter piu ch' io.
Come terreno mi nostro signoria,
Superbia in questa via,
Di che in nel maginar mi fe' signore;
Io sono un pellegrino che non conosce riposo
mentre faccio il mio viaggio,
come fa ognuno che viaggia per questo motivo.
E guarda che sciocchezza è stata per me,
per la quale sono caduto e cado,
[cioè] essere andato e poi perderne i vantaggi,
perché le cose terrene ebbero potere su di me più di me stesso.
Come fu lo perdono di Roma
Conchludendo dico,che venuto l'anno MCCCC e per tucto il mondo esser manifesto il perdono…homini et donne son mossi per andare a Roma,ai quali per lo papa Bonifatio nono conceduto & data la beneditione&confermato il perdono.E poi che di lungi paezi estrani con pericolo & con spese si muoveno &vengano a tal perdono,noi Ytaliani che siamo presso a luogo,resteremo che a tal perdono non si vada? Certo tal cosa non è da lassare e però ò consiglio prima me & poi tucti,amici parenti maschi e femmine & tucta la ……con l'animo puro&sincero si vada pregando Idio che a tucti…..che a tale perdono disporranno le menti,conceda gratia di far quello sia suo piacere.E acciò che tucti coloro che andranno a tale perdono….ad altri perdoni siano amaestrati di guardarsi da quelli vizi li quali sono la chagione di fare i pellegrini astenersi d'andare in pellegrinaggio facendoli pecchare.Et che tali,li quali dispuonessero l'anima loro…a' perdoni possano prendere quelli ripari che siano….a conculchare a quelli ….. che sono cagione di fare dannare l'anima.E pertanto dichiarerò in nella infrascripta cansone morale tucte quelle parti che occupano l'uomo a rimanersi del bene fare&d'andare in pellegrinaggio, dicendo così.
Nelle CRONICHE alcune miniature rappresentano i pellegrini alle porte di Roma , con il titolo 'Come fu lo perdono da Roma l'anno di MCCC 'e
' Di quello che si deve astenere il pellegrino e quello che de' prendere'
Quello che si de' astenere il pellegringo e quello de' prendere.
I sono un pellegrin che non ó posa,
Faccendo il mió viaggío,
Come fa ciaschun che va chom* io.
E vedi a me quant' era ciecha cosa
Che son chaduto & chaggio,
Andato e ito, e ció metra in obrio,
Per che le cose in me poter piu ch' io.
Come terreno mi nostro signoria,
Superbia in questa via,
Di che in nel maginar mi fe' signore;
Io sono un pellegrino che non conosce riposo
mentre faccio il mio viaggio,
come fa ognuno che viaggia per questo motivo.
E guarda che sciocchezza è stata per me,
per la quale sono caduto e cado,
[cioè] essere andato e poi perderne i vantaggi,
perché le cose terrene ebbero potere su di me più di me stesso.
Come fu lo perdono di Roma
Conchludendo dico,che venuto l'anno MCCCC e per tucto il mondo esser manifesto il perdono…homini et donne son mossi per andare a Roma,ai quali per lo papa Bonifatio nono conceduto & data la beneditione&confermato il perdono.E poi che di lungi paezi estrani con pericolo & con spese si muoveno &vengano a tal perdono,noi Ytaliani che siamo presso a luogo,resteremo che a tal perdono non si vada? Certo tal cosa non è da lassare e però ò consiglio prima me & poi tucti,amici parenti maschi e femmine & tucta la ……con l'animo puro&sincero si vada pregando Idio che a tucti…..che a tale perdono disporranno le menti,conceda gratia di far quello sia suo piacere.E acciò che tucti coloro che andranno a tale perdono….ad altri perdoni siano amaestrati di guardarsi da quelli vizi li quali sono la chagione di fare i pellegrini astenersi d'andare in pellegrinaggio facendoli pecchare.Et che tali,li quali dispuonessero l'anima loro…a' perdoni possano prendere quelli ripari che siano….a conculchare a quelli ….. che sono cagione di fare dannare l'anima.E pertanto dichiarerò in nella infrascripta cansone morale tucte quelle parti che occupano l'uomo a rimanersi del bene fare&d'andare in pellegrinaggio, dicendo così.
Dalle Novelle

Novella LXI
DE SUPERBIA CONTRA REM SACRATAM
Della superbia de’ re Astulfo: e fece che li preti non cantasseno
un verso della Magnificat. Lo nostro signore Idio non volse tanto male, come leggerete in nella seguente novella.
Fu in Navarra uno re nomato Astulfo, lo quale era di tanta superbia che quello che a lui capea innella mente volea senz’altro consiglio che ad efetto si mettesse, avendo molte persone senza colpa fatto morire — e neuno era ardito a contradire a sua volontà —, parendoli esser da tanto che lo reamo per sua vertù li fusse venuto innelle mani. E per tal modo vivea.
Divenne uno giorno che ’l ditto re Astulfo essendo innella chiesa udendo vespro, udìo cantare la Magnificat; e quando fue a quel verso che dice: Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles, dimandò uno dettore la disposizione del salmo. Fulli per lo ditto narrato che Dio diponea delle signorie li potenti e superbi, e li umili mettea in alto. Di che udendo lo re Astulfo tal disposizione, comandò sotto pena della vita che più tal salmo non si cantasse; e così per tutto il suo reame fe’ fare tal comandamento.
Li preti e’ frati avendo riceuto tal comandamento, la ditta Magnificat dir non usavano che altri udire la potesse, ma da loro con piana voce tal Magnificat diceano. E più, avea fatto lo ditto re Astulfo che qualunche udisse dir cosa che dovesse tornare danno o vergogna di lui, che fusse potuto battere senza pena. E più altre cose di crudeltà avea ordinato.
Idio, che al mal pensieri puone rimedio, e per non volere che quel dolce salmo fatto dalla Vergine Maria innelle parti del ditto re fusse nascoso, ma che palesemente et alto con reverenzia si cantasse conchiudendo tutte le parti insieme, dispuose la Divina Bontà a mandare uno angelo per riparare alla malvagità del ditto re come in questa novella chiaramente udirete.
Essendo già il mese di magio venuto, deliberò re Astulfo andare a’ bagni, perché da’ maestri li erano stati lodati (perché di nuovo avea preso una giovana bella per moglie, lodandoli il bagno esser atto a far generare). Lo re aparecchiato d’andare, le some conce, molti malascalzoni e guattari si mossero, a’ bagni andarono. Lo re con gran cavallaria e genti d’arme da piè e da cavallo si mosse et a’ bagni cavalcò. E quine diè ordine chi dovea stare armato a cavallo e chi alla guardia da piè e quelli che a l’uscio del bagno star doveano, avendo ciascuno comandamento star presto e, quando intrasse innel bagno, che persona del mondo non vi si lassasse dentro intrare sotto pena della testa, fusse chi si volesse. E molte altre cose al suo salvamento ordinò. E per questo modo dimorò più di xv dì che sempre, quando lo re innel bagno entrava, neuno in quello entrar potea, e uscitone, tutti li altri che al bagno erano venuti entravano.
E stato il ditto re il tempo ditto, un giorno essendo i’ re innel bagno entrato et i panni messi da parte, com’era sua usanza, e le guardie alla porta, senza che altri se n’acorgesse si trovò dentro uno pellegrino con panni grossi. Lo re vedendolo disse: «Per certo le guardie delle porti del bagno apiccar farò poi che questo poltrone han lassato entrare». E niente al pelegrino dice, ma di superbia tutto si rode, spettando, come di fuori del bagno serà, di presente farli apiccare. Lo pellegrino entrato in<nel bagno> e lavatosi, lo re, niente dicendoli, anco coll’animo superbo verso le guardie lassa dimorare il pellegrino innel bagno. Lo pellegrino stato alquanto uscìo del bagno et i panni de’ re Astulfo si mette. Lo re ciò ved’e sta cheto, coll’animo empio a punire le guardie niente al pellegrino dice.
Lo pellegrino, vestito de’ panni de’ re, lassato la sua trista robba e li altri vestimenti, uscito fuori disse: «Brigate, a cavallo!» E montato a cavallo, verso Navarra prese il camino, e tutti, da cavallo e da piè, seguinno lo pellegrino parendo loro fusse lo re Astulfo. E così giunseno a Navarra.
Entrato in palagio, la donna, che crede che sia il suo marito, nomata madonna Fiammella, diss: «Messer, voi sete ormai stato tanto al bagno, e solo per avere di me figliuoli, et i’ ho aspettatovi: che facciamo?» Lo re novello dice che i medici li hanno ditto che alcuno dì spettare si vuole perché il corpo sia d’ogni umidità purgato. La reina steo contenta.
Torniamo a’ re Astulfo che ha veduto quello palmieri a suo modo vestire i suoi panni. Uscito fuori e non vedendo a lui persona venire, com’era di usanza, stato molto nel bagno, disse fra sé: «Or veggo quello mi converrà fare, che quanti famigli arò che abino fallito, tutti li farò morire». E mossesi del bagno et a l’uscio n’andò nudo e non vidde persona. Uscito più fuori vidde dalla lunga alquanti ribaldi che in uno pratello giocavano, e non altri. Lo re fra sé disse: «Le miei brigate si saranno partite: io le farò tutte di cattiva morte morire». Et essendo nudo pensò, poi che altri panni non avea, di mettersi quelli del pelegrino.
Et uscito fuori, con superbia giunse a quelli barattieri, dicendo loro: «U’ è andata la mia gente?» Disse uno: «Che gente vai cercando?» Disse lo re: «Come, non mi cognoscete che sono lo re Astulfo vostro signore?» Disseno i giocatori: «Come se’ tu nostro re?» E presolo, di molti calci e pugna li denno, dicendoli: «Va alla pagnotta a Vignone, e non dir più che tu sii nostro re!»
Lo re Astulfo, che ha auto le prime vivande, desidera le seconde, ponendosi in cuore che tutti i gaglioffi farà morire. E camina verso la città, e come trovava alcuni lavoratori, dimandandoli se la sua gente era di quine passata nomandosi loro re, li lavoratori colli stili delle vanghe e de’ marroni lo fracasavano, dicendo: «Lo nostro re è Astulfo e non se’ tu, cattivo poltonieri!» Lo <re> infiamato di superbia (ben che si potrebbe dire riscaldato de’ colpi ricevuti), promette e giura tutti li contadini trattare in forma di schiavi.
E parendoli la seconda vivanda assai calda, pensò la terza fusse migliore. E giunto alle guardie della porta, domandando se la sua gente fusse dentro entrata, rispuoseno: «Dentro è entrato lo re colla sua brigata». Disse Astulfo re: «Come, non sono io lo vostro re e signore?» Le guardie e’ soldati che quine erano, udendo ciò dire, co’ pommi delle spade dandoli, cattivo divenne intanto che quasi morto lo lassonno, tanti colpi li derono. Astulfo re, partitosi da loro, promette che quanti soldati e da piè e da cavallo arà, tutti li farà in pregione senza pane stentare.
E con tal rabbia e superbia ne va, che giunse al palagio suo, là u’ senza domandare su per la scala montòe. Le guardie che ’l vedeno già saglito presso che mezza la scala, (un famiglio) dirieto il trasse e per la lemba della gonnella lo trasse per modo ch’e’, tutta la scala saglita in più scalei, in uno colpo in piè si ritrovò tutto macolato. Astulfo, vedendo quello che’l famiglio l’avea fatto, disse: «O Ambrogio, non mi cognosci? Io sono lo re Astulfo tuo signore». Ambrogio, che ciò ode, co’ calci dandoli dicendoli: «Gaglioffo, come, sono io sì smemorato? Che ’l mio signore lo re Astulfo è in camera colla donna sua»; Astulfo, udendo questo, tirandosi da parte in piazza, dicendo: «Oh, quanti n’arò io a far morire e quanti ne rimetterò in luogo!»
E mentre ch’e’ tali pensieri avea, lo novello re se ne venne alla finestra. Astulfo, che ciò vede, sospinto da gelosia vedendo che alla sua donna tenea il braccio in collo, se n’andò alla scala e quasi tutta l’ebbe montata che persona non se n’era acorta. Ambrogio guardando lo vidd’e disse: «Anco ci se’ venuto, diaule?» E preselo per forza e del capo li fe’ dare innella porta dell’uscio, tale che ’l sangue cominciò a versare. Astulfo re, non potendo più, tiròsi da parte della piazza dicendo: «Che vorrà dire questo? Io non sono cognosciuto da persona, et ora veggo che fine alla donna mia non mi cognosce: per certo io debbo aver qualche grande peccato che Dio mi vuole punire a questo modo».
E tutto umiliatosi verso Dio, dicendo che se mai li divenisse che tornasse in istato che si guarderebbe da mal fare, lo novello re, che tutti i pensieri d’Astulfo re sapea, lo fe’ chiamare; e Astulfo montò le scale assai debile per li colpi avuti. E fattolo condurre in camera, dove trovò lo re novello che tenea in seno le mani alla moglie, e’ venuto dinanti, lo re novello domandò chi era. Astulfo disse: «Io sono uno peccatore che Dio per li miei peccati m’ha sì abassato che non che altri mi cognosca, io medesimo non mi cognoscerè’». Disse lo novello re: «Perché?» Astulfo dice: «Io fui già re come ora sete voi, e cotesta giovana che voi colle mani le state in seno fu già mia moglie, e tutta la masnata da piè e da cavallo e tutto questo reame ebbi in balìa come ora avete voi, e non so come perduto tutto in picola ora abbia»; contandoli lo andar al bagno et il partire e tutte le bastonate e’ colpi ricevuti: «E per certo io confesso li miei peccati esserne stato cagione. Ma se Dio mai mi presta grazia che io mi ritrovi signore come già fui, io mi muterò come fa la serpe».
Lo novello re disse: «Astulfo, Astulfo, non pensare che persona del mondo sia da tanto che non che uno reame dovesse signoregiare, ma una sola casetta non potrè’ tenere se Dio tal dominio non nel concedesse! E pertanto ti dico: tu se’ stato persuntuoso e superbo contra Dio, e massimamente di dilevare l’officio della Magnificat; et anco non retribuisti mai l’onore che avei da Dio de’ reame. E pertanto Idio t’ha voluto dimostrare che tutto è suo e puòlo dare a chi vuole, e similmente ritorre. E però ti vo’ dire chi io sono: e vo’ che sappi che io non sono venuto per aver questo reame in signoria, che troppo ho io e li altri che sono apresso a Dio magior signoria che non arè’ qualunca fusse signor di tutto ’l mondo; m’aciò che tu diventi misericordioso e pietoso Idio mi mandò. E però omai ti rendo la signoria l’onore e la tua donna, notificandoti che se farai i comandamenti di Dio, serai misericordioso e non crudele, mantenendo giustizia diritta, Idio ti perdonerà qui in grazia, et alla morte ti darà gloria; e faccendo quello che hai fatto, come una volta te ne ha tolta la signoria, così di nuovo te la tollerà facendoti servo del dimonio. E acciò che si’ certo chi è colui che tali cose per parte di Dio t’ha ditto, ti dico io esser l’angelo suo». E sparito, subito la moglie lo ricognove e tutta la famiglia.
Astulfo avendo veduto e sentito, subito mutato d’intenzione divenne il più misericordioso benigno che mai re fusse, e comandò che di presente la Magnificat si dovesse di continuo cantare a voci alte con canto, e così s’oservò. E da quel tempo innanti lo re Astulfo fu per vertudi riputato mezzo beato.
Novella XL
De vera amicizia e caritate.
…andando verso Parigi
trovò un pellegrino..
Novella CLII
… come pellegrino si vestio e con bordone
in mano si mosse e caminò verso il molino…
DE SUPERBIA CONTRA REM SACRATAM
Della superbia de’ re Astulfo: e fece che li preti non cantasseno
un verso della Magnificat. Lo nostro signore Idio non volse tanto male, come leggerete in nella seguente novella.
Fu in Navarra uno re nomato Astulfo, lo quale era di tanta superbia che quello che a lui capea innella mente volea senz’altro consiglio che ad efetto si mettesse, avendo molte persone senza colpa fatto morire — e neuno era ardito a contradire a sua volontà —, parendoli esser da tanto che lo reamo per sua vertù li fusse venuto innelle mani. E per tal modo vivea.
Divenne uno giorno che ’l ditto re Astulfo essendo innella chiesa udendo vespro, udìo cantare la Magnificat; e quando fue a quel verso che dice: Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles, dimandò uno dettore la disposizione del salmo. Fulli per lo ditto narrato che Dio diponea delle signorie li potenti e superbi, e li umili mettea in alto. Di che udendo lo re Astulfo tal disposizione, comandò sotto pena della vita che più tal salmo non si cantasse; e così per tutto il suo reame fe’ fare tal comandamento.
Li preti e’ frati avendo riceuto tal comandamento, la ditta Magnificat dir non usavano che altri udire la potesse, ma da loro con piana voce tal Magnificat diceano. E più, avea fatto lo ditto re Astulfo che qualunche udisse dir cosa che dovesse tornare danno o vergogna di lui, che fusse potuto battere senza pena. E più altre cose di crudeltà avea ordinato.
Idio, che al mal pensieri puone rimedio, e per non volere che quel dolce salmo fatto dalla Vergine Maria innelle parti del ditto re fusse nascoso, ma che palesemente et alto con reverenzia si cantasse conchiudendo tutte le parti insieme, dispuose la Divina Bontà a mandare uno angelo per riparare alla malvagità del ditto re come in questa novella chiaramente udirete.
Essendo già il mese di magio venuto, deliberò re Astulfo andare a’ bagni, perché da’ maestri li erano stati lodati (perché di nuovo avea preso una giovana bella per moglie, lodandoli il bagno esser atto a far generare). Lo re aparecchiato d’andare, le some conce, molti malascalzoni e guattari si mossero, a’ bagni andarono. Lo re con gran cavallaria e genti d’arme da piè e da cavallo si mosse et a’ bagni cavalcò. E quine diè ordine chi dovea stare armato a cavallo e chi alla guardia da piè e quelli che a l’uscio del bagno star doveano, avendo ciascuno comandamento star presto e, quando intrasse innel bagno, che persona del mondo non vi si lassasse dentro intrare sotto pena della testa, fusse chi si volesse. E molte altre cose al suo salvamento ordinò. E per questo modo dimorò più di xv dì che sempre, quando lo re innel bagno entrava, neuno in quello entrar potea, e uscitone, tutti li altri che al bagno erano venuti entravano.
E stato il ditto re il tempo ditto, un giorno essendo i’ re innel bagno entrato et i panni messi da parte, com’era sua usanza, e le guardie alla porta, senza che altri se n’acorgesse si trovò dentro uno pellegrino con panni grossi. Lo re vedendolo disse: «Per certo le guardie delle porti del bagno apiccar farò poi che questo poltrone han lassato entrare». E niente al pelegrino dice, ma di superbia tutto si rode, spettando, come di fuori del bagno serà, di presente farli apiccare. Lo pellegrino entrato in<nel bagno> e lavatosi, lo re, niente dicendoli, anco coll’animo superbo verso le guardie lassa dimorare il pellegrino innel bagno. Lo pellegrino stato alquanto uscìo del bagno et i panni de’ re Astulfo si mette. Lo re ciò ved’e sta cheto, coll’animo empio a punire le guardie niente al pellegrino dice.
Lo pellegrino, vestito de’ panni de’ re, lassato la sua trista robba e li altri vestimenti, uscito fuori disse: «Brigate, a cavallo!» E montato a cavallo, verso Navarra prese il camino, e tutti, da cavallo e da piè, seguinno lo pellegrino parendo loro fusse lo re Astulfo. E così giunseno a Navarra.
Entrato in palagio, la donna, che crede che sia il suo marito, nomata madonna Fiammella, diss: «Messer, voi sete ormai stato tanto al bagno, e solo per avere di me figliuoli, et i’ ho aspettatovi: che facciamo?» Lo re novello dice che i medici li hanno ditto che alcuno dì spettare si vuole perché il corpo sia d’ogni umidità purgato. La reina steo contenta.
Torniamo a’ re Astulfo che ha veduto quello palmieri a suo modo vestire i suoi panni. Uscito fuori e non vedendo a lui persona venire, com’era di usanza, stato molto nel bagno, disse fra sé: «Or veggo quello mi converrà fare, che quanti famigli arò che abino fallito, tutti li farò morire». E mossesi del bagno et a l’uscio n’andò nudo e non vidde persona. Uscito più fuori vidde dalla lunga alquanti ribaldi che in uno pratello giocavano, e non altri. Lo re fra sé disse: «Le miei brigate si saranno partite: io le farò tutte di cattiva morte morire». Et essendo nudo pensò, poi che altri panni non avea, di mettersi quelli del pelegrino.
Et uscito fuori, con superbia giunse a quelli barattieri, dicendo loro: «U’ è andata la mia gente?» Disse uno: «Che gente vai cercando?» Disse lo re: «Come, non mi cognoscete che sono lo re Astulfo vostro signore?» Disseno i giocatori: «Come se’ tu nostro re?» E presolo, di molti calci e pugna li denno, dicendoli: «Va alla pagnotta a Vignone, e non dir più che tu sii nostro re!»
Lo re Astulfo, che ha auto le prime vivande, desidera le seconde, ponendosi in cuore che tutti i gaglioffi farà morire. E camina verso la città, e come trovava alcuni lavoratori, dimandandoli se la sua gente era di quine passata nomandosi loro re, li lavoratori colli stili delle vanghe e de’ marroni lo fracasavano, dicendo: «Lo nostro re è Astulfo e non se’ tu, cattivo poltonieri!» Lo <re> infiamato di superbia (ben che si potrebbe dire riscaldato de’ colpi ricevuti), promette e giura tutti li contadini trattare in forma di schiavi.
E parendoli la seconda vivanda assai calda, pensò la terza fusse migliore. E giunto alle guardie della porta, domandando se la sua gente fusse dentro entrata, rispuoseno: «Dentro è entrato lo re colla sua brigata». Disse Astulfo re: «Come, non sono io lo vostro re e signore?» Le guardie e’ soldati che quine erano, udendo ciò dire, co’ pommi delle spade dandoli, cattivo divenne intanto che quasi morto lo lassonno, tanti colpi li derono. Astulfo re, partitosi da loro, promette che quanti soldati e da piè e da cavallo arà, tutti li farà in pregione senza pane stentare.
E con tal rabbia e superbia ne va, che giunse al palagio suo, là u’ senza domandare su per la scala montòe. Le guardie che ’l vedeno già saglito presso che mezza la scala, (un famiglio) dirieto il trasse e per la lemba della gonnella lo trasse per modo ch’e’, tutta la scala saglita in più scalei, in uno colpo in piè si ritrovò tutto macolato. Astulfo, vedendo quello che’l famiglio l’avea fatto, disse: «O Ambrogio, non mi cognosci? Io sono lo re Astulfo tuo signore». Ambrogio, che ciò ode, co’ calci dandoli dicendoli: «Gaglioffo, come, sono io sì smemorato? Che ’l mio signore lo re Astulfo è in camera colla donna sua»; Astulfo, udendo questo, tirandosi da parte in piazza, dicendo: «Oh, quanti n’arò io a far morire e quanti ne rimetterò in luogo!»
E mentre ch’e’ tali pensieri avea, lo novello re se ne venne alla finestra. Astulfo, che ciò vede, sospinto da gelosia vedendo che alla sua donna tenea il braccio in collo, se n’andò alla scala e quasi tutta l’ebbe montata che persona non se n’era acorta. Ambrogio guardando lo vidd’e disse: «Anco ci se’ venuto, diaule?» E preselo per forza e del capo li fe’ dare innella porta dell’uscio, tale che ’l sangue cominciò a versare. Astulfo re, non potendo più, tiròsi da parte della piazza dicendo: «Che vorrà dire questo? Io non sono cognosciuto da persona, et ora veggo che fine alla donna mia non mi cognosce: per certo io debbo aver qualche grande peccato che Dio mi vuole punire a questo modo».
E tutto umiliatosi verso Dio, dicendo che se mai li divenisse che tornasse in istato che si guarderebbe da mal fare, lo novello re, che tutti i pensieri d’Astulfo re sapea, lo fe’ chiamare; e Astulfo montò le scale assai debile per li colpi avuti. E fattolo condurre in camera, dove trovò lo re novello che tenea in seno le mani alla moglie, e’ venuto dinanti, lo re novello domandò chi era. Astulfo disse: «Io sono uno peccatore che Dio per li miei peccati m’ha sì abassato che non che altri mi cognosca, io medesimo non mi cognoscerè’». Disse lo novello re: «Perché?» Astulfo dice: «Io fui già re come ora sete voi, e cotesta giovana che voi colle mani le state in seno fu già mia moglie, e tutta la masnata da piè e da cavallo e tutto questo reame ebbi in balìa come ora avete voi, e non so come perduto tutto in picola ora abbia»; contandoli lo andar al bagno et il partire e tutte le bastonate e’ colpi ricevuti: «E per certo io confesso li miei peccati esserne stato cagione. Ma se Dio mai mi presta grazia che io mi ritrovi signore come già fui, io mi muterò come fa la serpe».
Lo novello re disse: «Astulfo, Astulfo, non pensare che persona del mondo sia da tanto che non che uno reame dovesse signoregiare, ma una sola casetta non potrè’ tenere se Dio tal dominio non nel concedesse! E pertanto ti dico: tu se’ stato persuntuoso e superbo contra Dio, e massimamente di dilevare l’officio della Magnificat; et anco non retribuisti mai l’onore che avei da Dio de’ reame. E pertanto Idio t’ha voluto dimostrare che tutto è suo e puòlo dare a chi vuole, e similmente ritorre. E però ti vo’ dire chi io sono: e vo’ che sappi che io non sono venuto per aver questo reame in signoria, che troppo ho io e li altri che sono apresso a Dio magior signoria che non arè’ qualunca fusse signor di tutto ’l mondo; m’aciò che tu diventi misericordioso e pietoso Idio mi mandò. E però omai ti rendo la signoria l’onore e la tua donna, notificandoti che se farai i comandamenti di Dio, serai misericordioso e non crudele, mantenendo giustizia diritta, Idio ti perdonerà qui in grazia, et alla morte ti darà gloria; e faccendo quello che hai fatto, come una volta te ne ha tolta la signoria, così di nuovo te la tollerà facendoti servo del dimonio. E acciò che si’ certo chi è colui che tali cose per parte di Dio t’ha ditto, ti dico io esser l’angelo suo». E sparito, subito la moglie lo ricognove e tutta la famiglia.
Astulfo avendo veduto e sentito, subito mutato d’intenzione divenne il più misericordioso benigno che mai re fusse, e comandò che di presente la Magnificat si dovesse di continuo cantare a voci alte con canto, e così s’oservò. E da quel tempo innanti lo re Astulfo fu per vertudi riputato mezzo beato.
Novella XL
De vera amicizia e caritate.
…andando verso Parigi
trovò un pellegrino..
Novella CLII
… come pellegrino si vestio e con bordone
in mano si mosse e caminò verso il molino…
Gabriele D'Annunzio: Il Trionfo della morte
Gabriele D’Annunzio ( 1863 – 1938 )
Nella quarta parte del romanzo ‘ Il Trionfo della morte’ intorno all’ intreccio delle situazioni fra i due protagonisti lo scrittore inserisce una situazione che vuol raccontare il sentimento religioso di un gruppo sociale. I due amanti Giorgio e Ippolita sono testimoni delle credenze folli i invincibili dei contadini e dei pescatori del luogo; partecipano al pellegrinaggio di Casalbordino, dove vedono scene deliranti di invocazioni.
Il pittore Francesco Paolo Michetti( 1851 - 1929 ) nel suo dipinto Il Voto del 1880 , oggi alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, si ispirò ad una scena vista alla festa di san Pantaleone a Miglianico .
A sua volta D’Annunzio trovò ispirazione in questo quadro nella sua narrazione.
Nella quarta parte del romanzo ‘ Il Trionfo della morte’ intorno all’ intreccio delle situazioni fra i due protagonisti lo scrittore inserisce una situazione che vuol raccontare il sentimento religioso di un gruppo sociale. I due amanti Giorgio e Ippolita sono testimoni delle credenze folli i invincibili dei contadini e dei pescatori del luogo; partecipano al pellegrinaggio di Casalbordino, dove vedono scene deliranti di invocazioni.
Il pittore Francesco Paolo Michetti( 1851 - 1929 ) nel suo dipinto Il Voto del 1880 , oggi alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, si ispirò ad una scena vista alla festa di san Pantaleone a Miglianico .
A sua volta D’Annunzio trovò ispirazione in questo quadro nella sua narrazione.
Il Cicerone di Passeroni

Giancarlo Passeroni ( abate )
Poeta italiano del XVIII secolo nato nella contea di Nizza. Diventato sacerdote rifiutò la carica di direttore del seminario con la volontà di vivere una vita lontana dal successo e in condizione di estrema sobrietà. Si dedicò alla poesia dove si riconobbe uno stile proprio di satira gentile.
Importante opera è il suo Il Cicerone un poema in ottava rima in due volumi.
All’inizio della seconda parte del racconto si trova una similitudine con la figura del pellegrino.
Parte II Canto XVIII
1
Giunto lo stanco pellegrino al mezzo
Del non breve cammin, s’adagia sotto
Ombrosa pianta alla dolce aura, al rezzo,
Per non pagare all’osteria lo scotto;
E tratto fuor dalla bisaccia un pezzo
Di pane duro sgocciola il barlotto;
Poi lieto sorge, e va per la sua via
Con gambe, e lena anche miglior di pria
2
E ‘l villanello che la manna adopera,
O la vanga, passato il mezzo giorno,
Sotto un elce si sdraia, o sotto un orno;
Poi ristorato, e rinfrescato all’opera,
Che imperfetta lasciò fatto ritorno,
Seguita a lacerar con franca lena
Alla madre comun la dura schiena.
3
Tal io, che mi sentia già venir manco,
Alla metà dell’opra essendo giunto,
Il pellegrino e il villanello stanco
Ho saputo imitar nel primo punto;
Se gl’imitai nel primo, imitargli anco
Nel secondo io dovrei; ma questo appunto
E’ quello , in cui vinto di lunga mano
Dal pellegrino sono e dal villano.
Poeta italiano del XVIII secolo nato nella contea di Nizza. Diventato sacerdote rifiutò la carica di direttore del seminario con la volontà di vivere una vita lontana dal successo e in condizione di estrema sobrietà. Si dedicò alla poesia dove si riconobbe uno stile proprio di satira gentile.
Importante opera è il suo Il Cicerone un poema in ottava rima in due volumi.
All’inizio della seconda parte del racconto si trova una similitudine con la figura del pellegrino.
Parte II Canto XVIII
1
Giunto lo stanco pellegrino al mezzo
Del non breve cammin, s’adagia sotto
Ombrosa pianta alla dolce aura, al rezzo,
Per non pagare all’osteria lo scotto;
E tratto fuor dalla bisaccia un pezzo
Di pane duro sgocciola il barlotto;
Poi lieto sorge, e va per la sua via
Con gambe, e lena anche miglior di pria
2
E ‘l villanello che la manna adopera,
O la vanga, passato il mezzo giorno,
Sotto un elce si sdraia, o sotto un orno;
Poi ristorato, e rinfrescato all’opera,
Che imperfetta lasciò fatto ritorno,
Seguita a lacerar con franca lena
Alla madre comun la dura schiena.
3
Tal io, che mi sentia già venir manco,
Alla metà dell’opra essendo giunto,
Il pellegrino e il villanello stanco
Ho saputo imitar nel primo punto;
Se gl’imitai nel primo, imitargli anco
Nel secondo io dovrei; ma questo appunto
E’ quello , in cui vinto di lunga mano
Dal pellegrino sono e dal villano.