VISIO TNUGDALI

Nell’anno 1149 da Munster, provincia dell’Irlanda meridionale, un monaco di nome Marcus lasciò l’isola come avevano fatto prima di lui altri monaci dediti ad un grande apostolato. In fondo restituivano al continente quello che avevano ricevuto da San Patrizio che aveva evangelizzato l’Irlanda nel 5° secolo. Ma Munster era un luogo di grande sensibilità e tradizione religiosa come si comprende anche dal nome che deriva da quello di una dea precristiana Muma al quale è stato aggiunto il suffisso normanno ‘ster’ che significa terra.
Al tempo del monaco Marcus l’educazione religiosa del cristianesimo celtico era molto severa e, per questo, la loro opera veniva richiesta dal continente dove il malcostume e la decadenza religiosa aveva bisogno di nuove energie, stimoli ed esempi a comportamenti adeguati al messaggio religioso.
Il monaco giunse con il suo impegno al monastero di San paolo a Ratisbona. Oltre al suo esemplare zelo aveva da offrire un prezioso manoscritto che riportava un racconto di una eccezionale esperienza.
Si tratta della storia di un certo cavaliere irlandese di nome Tnugdal che cadde ammalato rimanendo per tre giorni in uno stato di morte apparente per poi risvegliarsi con il ricordo di avere fatto un viaggio nell’Aldilà. La sua anima uscita dal corpo era stata accompagnata da un angelo a conoscere prima le terribili realtà dell’inferno, le beatitudini del paradiso.
Sembra che il monaco avesse trascritto il racconto nella lingua locale direttamente dalla narrazione del cavaliere.
La notizia del manoscritto si diffuse rapidamente in Europa soprattutto dopo che la badessa del monastero volle che fosse tradotta in latino. Successivamente è stata tradotta in tutte le lingue.
La descrizione dell’inferno risente moltissimo del clima del monachesimo celtico con la sua grande severità e durezza soprattutto sulle responsabilità dei peccati e sulle punizioni divine.
Nel medio evo questo tipo di letteratura era diffusa. Un secolo dopo anche Dante si cimenta in una storia analoga, ma le differenze sono così evidenti da poter distinguere la provenienza di forme culturali diverse. In Dante è presente il passaggio anche del purgatorio, quindi un passaggio che accetta una possibilità di riscatto attraverso la forma del pentimento e quindi della visone di una divinità che perdona.
Il confronto poi del valore letterario dell’opera non è neppure da proporre, ma al di là della grande poesia è l’umanità e la diversa severità che fa la differenza.
Ma in tutta la durezza delle descrizioni dell’inferno il monaco Marcus ci presenta una figura con ' grazia ' particolare: un pellegrino. Questo personaggio è dotato della capacità di affrontare e superare il rischio di cadere nelle fosse dove i diavoli sono in attesa di sottoporre le anime alle loro angherie.
da La valle e la pena dei superbi
Ma, proseguendo con cautela per il timore, giunsero alle soglie di una profonda vallata, buia e maleodorante. L’anima non riusciva a distinguere dove terminasse, ma udiva scorrere un fiume di zolfo e là sopraggiungevano le urla di una folla che espiava nei suoi meandri. Dallo zolfo e dagli anfratti si levava un fumo irrespirabile, che superava le pene viste sino a quel momento.
Una lunghissima passerella si protendeva come un ponte sopra la valle da un monte all’altro, ed era lunga mille passi e larga un piede soltanto. Nessuno che non fosse in possesso di una grazia particolare, riusciva ad attraversare quel ponte: molti ne vide cadere e solo un vecchio potè varcarlo incolume, un vecchio pellegrino, con in mano la palma e addosso la sclavina, e camminava serena davanti a tutti, perché il sentiero dei giusti sarà sempre privo di ostacoli.
( traduzione di Alberto Magnani – ed. Sellerio )
Al tempo del monaco Marcus l’educazione religiosa del cristianesimo celtico era molto severa e, per questo, la loro opera veniva richiesta dal continente dove il malcostume e la decadenza religiosa aveva bisogno di nuove energie, stimoli ed esempi a comportamenti adeguati al messaggio religioso.
Il monaco giunse con il suo impegno al monastero di San paolo a Ratisbona. Oltre al suo esemplare zelo aveva da offrire un prezioso manoscritto che riportava un racconto di una eccezionale esperienza.
Si tratta della storia di un certo cavaliere irlandese di nome Tnugdal che cadde ammalato rimanendo per tre giorni in uno stato di morte apparente per poi risvegliarsi con il ricordo di avere fatto un viaggio nell’Aldilà. La sua anima uscita dal corpo era stata accompagnata da un angelo a conoscere prima le terribili realtà dell’inferno, le beatitudini del paradiso.
Sembra che il monaco avesse trascritto il racconto nella lingua locale direttamente dalla narrazione del cavaliere.
La notizia del manoscritto si diffuse rapidamente in Europa soprattutto dopo che la badessa del monastero volle che fosse tradotta in latino. Successivamente è stata tradotta in tutte le lingue.
La descrizione dell’inferno risente moltissimo del clima del monachesimo celtico con la sua grande severità e durezza soprattutto sulle responsabilità dei peccati e sulle punizioni divine.
Nel medio evo questo tipo di letteratura era diffusa. Un secolo dopo anche Dante si cimenta in una storia analoga, ma le differenze sono così evidenti da poter distinguere la provenienza di forme culturali diverse. In Dante è presente il passaggio anche del purgatorio, quindi un passaggio che accetta una possibilità di riscatto attraverso la forma del pentimento e quindi della visone di una divinità che perdona.
Il confronto poi del valore letterario dell’opera non è neppure da proporre, ma al di là della grande poesia è l’umanità e la diversa severità che fa la differenza.
Ma in tutta la durezza delle descrizioni dell’inferno il monaco Marcus ci presenta una figura con ' grazia ' particolare: un pellegrino. Questo personaggio è dotato della capacità di affrontare e superare il rischio di cadere nelle fosse dove i diavoli sono in attesa di sottoporre le anime alle loro angherie.
da La valle e la pena dei superbi
Ma, proseguendo con cautela per il timore, giunsero alle soglie di una profonda vallata, buia e maleodorante. L’anima non riusciva a distinguere dove terminasse, ma udiva scorrere un fiume di zolfo e là sopraggiungevano le urla di una folla che espiava nei suoi meandri. Dallo zolfo e dagli anfratti si levava un fumo irrespirabile, che superava le pene viste sino a quel momento.
Una lunghissima passerella si protendeva come un ponte sopra la valle da un monte all’altro, ed era lunga mille passi e larga un piede soltanto. Nessuno che non fosse in possesso di una grazia particolare, riusciva ad attraversare quel ponte: molti ne vide cadere e solo un vecchio potè varcarlo incolume, un vecchio pellegrino, con in mano la palma e addosso la sclavina, e camminava serena davanti a tutti, perché il sentiero dei giusti sarà sempre privo di ostacoli.
( traduzione di Alberto Magnani – ed. Sellerio )