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Gli alberi, i boschi e noi
di Alberto Bronzi (testo integrale)
Tempo fa, mentre camminavo in campagna, mi è venuto in mente quanto sia paradossale chiamare gli alberi “compagni di viaggio”: essi infatti, ben ancorati al terreno con le loro radici come sono, richiamano molto di più l'idea della staticità che quella del movimento.
Però è vero che ci piace molto trovarli lungo la nostra strada, e questo è un dato di fatto. Di solito li chiamiamo così pensando all'ombra che ci offrono, alle emozioni che suscitano in noi per la loro bellezza o per le tante vicende di cui sono stati testimoni nella loro storia secolare, all'aiuto che ci danno per riconoscere la strada giusta.
Secondo me però la spiegazione di questo forte sentimento di condivisione di un'avventura, che va oltre l'apparente contraddizione, non è tutta qui. Forse, anche in questo come in molti altri casi, dietro quello che appare a prima vista c'è molto altro.
Per capire meglio è però necessario spostare un po' l'attenzione dal singolo albero, dai piccoli gruppi, dai filari, che possono essere anche molto suggestivi, ma che rimangono in buona parte il risultato di un'attività umana, ai boschi, perchè solo all'interno di questi gli alberi esprimono tutto il loro potenziale.
Focalizzare l'attenzione solo verso gli alberi singoli è un po' come, mutatis mutandis, parlare dei mattoni trascurando che essi sono in realtà fatti per costruire le case. Ecco, se spostiamo l'attenzione sui boschi e sulle foreste, che non sono soltanto un insieme di alberi messi uno accanto all'altro (queste si chiamano piantagioni), capiremo molto di più anche sugli alberi.
Le formazioni di origine antropica necessitano più o meno frequentemente e intensamente di attenzione e di manutenzione, per durare nel tempo. Un albero di un parco o camporile, quando esaurisce il suo ciclo vitale, magari dopo aver ricevuto tante cure se aveva un valore particolare, lascia il vuoto. Un bellissimo viale di querce rimane tale solo se periodicamente lo curiamo: si devono potare le chiome, si devono curare le eventuali ferite, si devono sostituire le piante che si seccano. Talvolta si rende necessario sostituire tutte le piante nel loro complesso, perchè sono diventate vecchie e non più sicure per chi vuole frequentare il viale. In questi casi le piante sono come dei “materiali da costruzione”, anche se molto speciali, e le costruzioni devono essere manutenute, pena il loro degrado. Nei boschi, invece, non è così, e le cose funzionano in maniera completamente diversa.
Riporto una definizione di bosco, tratta dall'Atlante di Selvicoltura del Prof. Giovanni Bernetti (Edagricole, 2005): il bosco è “una unità territorialmente separata e relativamente omogenea formata da parti viventi e non viventi che interagiscono a formare un sistema attualmente o potenzialmente stabile”, e cioè un ecosistema, “in cui gli alberi predominano dando luogo a peculiari condizioni ecologiche interne ed a peculiari influenze verso l'esterno”. E qui sta la differenza con gli altri insiemi di alberi che boschi non sono. E' chiaro quindi che nei boschi succede qualcosa di più che nei gruppi di poche piante.
Per capire come fanno gli alberi a interagire fra loro e con gli esseri inanimati (il terreno, le rocce, le acque), a evolversi verso una situazione di stabilità, a creare le peculiari condizioni ecologiche interne e le peculiari influenze verso l'esterno di cui parla la definizione riportata sopra, bisogna cominciare ad osservarli. Quindi, mentre camminiamo, non concentriamoci solo ad osservare gli alberi isolati, belli, maestosi, pittoreschi, carichi di storia ma osserviamo anche dentro i boschi che attraversiamo, anche se a volte hanno un aspetto un po' monotono all'apparenza e non sono particolarmente maestosi. Cerchiamo di capire meglio cosa succede al loro interno, perchè lì, di cose, ne succedono davvero tante.
Provo a raccontarne qualcuna, senza nessuna pretesa, sia ben chiaro, di rigore scientifico né di trattazione esaustiva dell'argomento.
Tutto inizia con la fotosintesi, una complessa serie di reazioni chimiche che avviene nelle parti verdi delle piante, grazie alla clorofilla e all'energia del sole. Con questo processo le piante producono sostanza organica partendo dall'anidride carbonica dell'aria e dall'acqua del terreno, rilasciando ossigeno. E' un processo importante perchè è quello che, in definitiva, consente la vita sulla Terra.
Le piante competono fra di loro per catturare la luce del sole, e nel farlo occupano nel modo migliore gli spazi disponibili. Ogni specie vegetale mette a frutto le proprie caratteristiche genetiche e individuali, il proprio modo di crescere e di svilupparsi: l'essere più o meno veloce nell'accrescimento, l'essere più o meno adattabile ed esigente. Anche le circostanze casuali come il luogo e le caratteristiche del terreno in cui la pianta si è trovata a crescere hanno la loro influenza. Ogni pianta cresce e cerca di moltiplicarsi spargendo i propri semi intorno a sé a distanze che variano di molto da specie a specie. Le ghiande delle querce sono pesanti, e salvo che qualcuno le trasporti, cadono vicino alla pianta; i semi alati degli aceri e dei pini o i pappi che trasportano i semi dei pioppi, in una giornata di vento, riescono ad arrivare molto distanti. Le diverse specie di piante sono sempre in concorrenza fra loro. In ogni area vengono dispersi i semi di tutte le piante che ci sono intorno, e in ogni momento, quelle che trovano le condizioni più adeguate alle proprie necessità, prevalgono.
Questo succede, per esempio, nei campi da poco abbandonati dall'agricoltura. Inizialmente vengono invasi da cespugli e arbusti, fra questi spesso troviamo i ginepri, ma poi con il trascorrere degli anni la situazione cambia. Crescendo, questi primi colonizzatori del campo abbandonato modificano l'ambiente a livello del terreno e nelle sue immediate vicinanze, rendendolo più adatto a specie diverse, meno frugali. Si avvia così un processo evolutivo che, dal campo abbandonato porta ad un cespugliato e poi ad un bosco sempre più bello e ricco di specie, vegetali e animali.
Questo processo non si arresta fino a quando tutte le componenti dell'ecosistema bosco non raggiungono una condizione di equilibrio stabile fra di sé (che si chiama climax), a patto che non intervengano eventi esterni a turbarla, come un taglio boschivo, un incendio, o un mutamento del clima (problematica, quest'ultima, del tutto nuova ma di grande attualità). Quando una formazione boschiva raggiunge lo stadio di climax, le singole piante continuano a svolgere il loro ciclo vitale (cioè nascono, crescono e muoiono), ma la formazione nel suo complesso rimane sempre uguale a sè stessa. Un tipico esempio di questo è rappresentato dalla macchia mediterranea che, se non disturbata da eventi esterni, si evolve nel corso dei secoli, in un continuo processo nel quale le piante presenti preparano condizioni ambientali più adatte a specie più esigenti. Partendo dalle iniziali formazioni di cisto, passo dopo passo il bosco si trasforma fino a divenire una lecceta. Non è facile osservare questo avvicendarsi di specie diverse, perchè i tempi necessari sono molto lunghi rispetto ai nostri tempi di osservazione.
E' evidente quindi che i boschi sono sistemi biologici complessi in grado di autogestirsi. Anche le formazioni inizialmente più semplici e schematiche come i rimboschimenti fatti con piante di una sola specie, se lasciate libere di evolversi, accrescono a poco a poco la complessità della loro struttura, arricchendosi di nuove specie vegetali e animali, aumentando di conseguenza il tipo e la quantità di scambi che avvengono fra tutte le sue componenti: non solo di quelle che riusciamo a vedere al primo sguardo, ma anche e soprattutto laddove non si vede, come nel suolo, ricchissimo di microrganismi. Tutto ha la sua importanza, ogni componente ha un ruolo da svolgere. Per dire, anche gli alberi morti ancora in piedi, proprio durante la fase del loro progressivo disfacimento, ospitano una grande quantità di larve e di insetti che costituiscono un'importante fonte di nutrimento per i picchi e offrono rifugio a tante specie di uccelli e di piccoli mammiferi. E' proprio questa enorme complessità che assicura stabilità. Nella grande di quantità di specie viventi presenti in un bosco (non per niente i boschi oggi sono considerati le riserve della biodiversità, minacciata da tutte le parti), ce n'è sempre una pronta ad occupare uno spazio lasciato libero da un'altra.
Ai meccanismi e agli eventi naturali che regolano e influenzano la crescita degli alberi e dei boschi, molto spesso si sovrappongono le azioni dell'uomo, che da sempre coltiva, gestisce e utilizza i boschi per trarne dei benefici materiali quali il legno, i funghi, i frutti del sottobosco, la selvaggina o per il pascolo. Talvolta lo sfruttamento è eccessivo e il bosco non ce la fa a riparare le offese subite. In questo caso inizia il degrado, che può portare anche alla scomparsa del bosco.
La gestione per finalità produttive delle foreste incide moltissimo sull'aspetto della maggior parte dei boschi che vediamo intorno a noi. Questo da una parte può rendere un po' più difficile osservare i meccanismi naturali, dall'altra evidenzia la grande capacità del bosco di autogestirsi.
Faccio un esempio. Le latifoglie (gli alberi che perdono le foglie in autunno, come le querce, i faggi, i castagni, i carpini, i frassini ecc.), quando vengono tagliate hanno la capacità di ricacciare molti nuovi fusti dalla ceppaia, cioè dalle radici. Tali fusti, chiamati polloni, crescono molto più velocemente di una pianta nata da un seme perchè possono disporre da subito di un apparato radicale ben sviluppato ed efficiente. Questa capacità è stata moltissimo sfruttata in passato, e lo è ancora in misura minore, per aumentare la produzione di legna da ardere e paleria, attuando una forma di gestione dei boschi detta “governo a ceduo”. Le ceppaie, dopo ogni taglio, cioè ogni 15-20 anni, iniziano a produrre nuovi polloni dando origine alla tipica struttura del bosco ceduo, caratterizzata appunto dalla presenza di numerosi polloni sulla stessa ceppaia. Ma se questo tipo di gestione viene sospeso, ecco che il bosco ceduo inizia a cambiare aspetto: i polloni crescono e progressivamente diminuiscono di numero, facendo si che, a poco a poco, la sua struttura diventi assai simile a quella di una fustaia, cioè ad un bosco formato da piante nate da seme.
Se ri-impariamo ad osservare tanti fenomeni che avvengono con lentezza e senza clamore, i boschi ci faranno capire molte cose di sé stessi e del loro essere permanentemente in divenire, in modi che spesso non siamo in grado di prevedere né di programmare. Nel modo che gli è proprio, attraverso gli alberi i boschi si muovono, reagiscono a quello che succede intorno a loro, e cercano il loro equilibrio. A volte lo trovano, a volte lo perdono, poi lo ritrovano. A modo loro sono pazienti, adattabili, resilienti.
Ecco il punto, secondo me. Fra noi e gli alberi c'è più vicinanza e somiglianza di quanto pensiamo. Forse perchè dentro di noi esiste ancora una qualche traccia dei millenni che abbiamo trascorso vivendo nelle foreste, anche se non ne siamo o ne siamo poco consapevoli. E quando ci mettiamo in cammino e ci allontaniamo un poco dalle nostre sicurezze quotidiane, sono proprio gli alberi che oltre a darci riparo dal sole e indicazioni sul cammino, ci sono vicini facendoci sentire più sicuri e meno soli.
Io non so come spiegare meglio questo pensiero, con parole mie. Allora, ancora una volta come sempre faccio quando parlo di queste cose, prendo a prestito alcuni versi di Prévert, che ho letto per caso alcuni anni fa, proprio quando ero responsabile della Foresta di Vallombrosa. Versi che, ogni volta che li leggo, mi sembrano più ricchi di significato.
Un tempo
gli alberi
da dove venivano nessuno lo sapeva
Un tempo
gli alberi
erano persone come noi
Ma più solidi
più felici
più innamorati forse
più saggi
Tutto qui.
Però è vero che ci piace molto trovarli lungo la nostra strada, e questo è un dato di fatto. Di solito li chiamiamo così pensando all'ombra che ci offrono, alle emozioni che suscitano in noi per la loro bellezza o per le tante vicende di cui sono stati testimoni nella loro storia secolare, all'aiuto che ci danno per riconoscere la strada giusta.
Secondo me però la spiegazione di questo forte sentimento di condivisione di un'avventura, che va oltre l'apparente contraddizione, non è tutta qui. Forse, anche in questo come in molti altri casi, dietro quello che appare a prima vista c'è molto altro.
Per capire meglio è però necessario spostare un po' l'attenzione dal singolo albero, dai piccoli gruppi, dai filari, che possono essere anche molto suggestivi, ma che rimangono in buona parte il risultato di un'attività umana, ai boschi, perchè solo all'interno di questi gli alberi esprimono tutto il loro potenziale.
Focalizzare l'attenzione solo verso gli alberi singoli è un po' come, mutatis mutandis, parlare dei mattoni trascurando che essi sono in realtà fatti per costruire le case. Ecco, se spostiamo l'attenzione sui boschi e sulle foreste, che non sono soltanto un insieme di alberi messi uno accanto all'altro (queste si chiamano piantagioni), capiremo molto di più anche sugli alberi.
Le formazioni di origine antropica necessitano più o meno frequentemente e intensamente di attenzione e di manutenzione, per durare nel tempo. Un albero di un parco o camporile, quando esaurisce il suo ciclo vitale, magari dopo aver ricevuto tante cure se aveva un valore particolare, lascia il vuoto. Un bellissimo viale di querce rimane tale solo se periodicamente lo curiamo: si devono potare le chiome, si devono curare le eventuali ferite, si devono sostituire le piante che si seccano. Talvolta si rende necessario sostituire tutte le piante nel loro complesso, perchè sono diventate vecchie e non più sicure per chi vuole frequentare il viale. In questi casi le piante sono come dei “materiali da costruzione”, anche se molto speciali, e le costruzioni devono essere manutenute, pena il loro degrado. Nei boschi, invece, non è così, e le cose funzionano in maniera completamente diversa.
Riporto una definizione di bosco, tratta dall'Atlante di Selvicoltura del Prof. Giovanni Bernetti (Edagricole, 2005): il bosco è “una unità territorialmente separata e relativamente omogenea formata da parti viventi e non viventi che interagiscono a formare un sistema attualmente o potenzialmente stabile”, e cioè un ecosistema, “in cui gli alberi predominano dando luogo a peculiari condizioni ecologiche interne ed a peculiari influenze verso l'esterno”. E qui sta la differenza con gli altri insiemi di alberi che boschi non sono. E' chiaro quindi che nei boschi succede qualcosa di più che nei gruppi di poche piante.
Per capire come fanno gli alberi a interagire fra loro e con gli esseri inanimati (il terreno, le rocce, le acque), a evolversi verso una situazione di stabilità, a creare le peculiari condizioni ecologiche interne e le peculiari influenze verso l'esterno di cui parla la definizione riportata sopra, bisogna cominciare ad osservarli. Quindi, mentre camminiamo, non concentriamoci solo ad osservare gli alberi isolati, belli, maestosi, pittoreschi, carichi di storia ma osserviamo anche dentro i boschi che attraversiamo, anche se a volte hanno un aspetto un po' monotono all'apparenza e non sono particolarmente maestosi. Cerchiamo di capire meglio cosa succede al loro interno, perchè lì, di cose, ne succedono davvero tante.
Provo a raccontarne qualcuna, senza nessuna pretesa, sia ben chiaro, di rigore scientifico né di trattazione esaustiva dell'argomento.
Tutto inizia con la fotosintesi, una complessa serie di reazioni chimiche che avviene nelle parti verdi delle piante, grazie alla clorofilla e all'energia del sole. Con questo processo le piante producono sostanza organica partendo dall'anidride carbonica dell'aria e dall'acqua del terreno, rilasciando ossigeno. E' un processo importante perchè è quello che, in definitiva, consente la vita sulla Terra.
Le piante competono fra di loro per catturare la luce del sole, e nel farlo occupano nel modo migliore gli spazi disponibili. Ogni specie vegetale mette a frutto le proprie caratteristiche genetiche e individuali, il proprio modo di crescere e di svilupparsi: l'essere più o meno veloce nell'accrescimento, l'essere più o meno adattabile ed esigente. Anche le circostanze casuali come il luogo e le caratteristiche del terreno in cui la pianta si è trovata a crescere hanno la loro influenza. Ogni pianta cresce e cerca di moltiplicarsi spargendo i propri semi intorno a sé a distanze che variano di molto da specie a specie. Le ghiande delle querce sono pesanti, e salvo che qualcuno le trasporti, cadono vicino alla pianta; i semi alati degli aceri e dei pini o i pappi che trasportano i semi dei pioppi, in una giornata di vento, riescono ad arrivare molto distanti. Le diverse specie di piante sono sempre in concorrenza fra loro. In ogni area vengono dispersi i semi di tutte le piante che ci sono intorno, e in ogni momento, quelle che trovano le condizioni più adeguate alle proprie necessità, prevalgono.
Questo succede, per esempio, nei campi da poco abbandonati dall'agricoltura. Inizialmente vengono invasi da cespugli e arbusti, fra questi spesso troviamo i ginepri, ma poi con il trascorrere degli anni la situazione cambia. Crescendo, questi primi colonizzatori del campo abbandonato modificano l'ambiente a livello del terreno e nelle sue immediate vicinanze, rendendolo più adatto a specie diverse, meno frugali. Si avvia così un processo evolutivo che, dal campo abbandonato porta ad un cespugliato e poi ad un bosco sempre più bello e ricco di specie, vegetali e animali.
Questo processo non si arresta fino a quando tutte le componenti dell'ecosistema bosco non raggiungono una condizione di equilibrio stabile fra di sé (che si chiama climax), a patto che non intervengano eventi esterni a turbarla, come un taglio boschivo, un incendio, o un mutamento del clima (problematica, quest'ultima, del tutto nuova ma di grande attualità). Quando una formazione boschiva raggiunge lo stadio di climax, le singole piante continuano a svolgere il loro ciclo vitale (cioè nascono, crescono e muoiono), ma la formazione nel suo complesso rimane sempre uguale a sè stessa. Un tipico esempio di questo è rappresentato dalla macchia mediterranea che, se non disturbata da eventi esterni, si evolve nel corso dei secoli, in un continuo processo nel quale le piante presenti preparano condizioni ambientali più adatte a specie più esigenti. Partendo dalle iniziali formazioni di cisto, passo dopo passo il bosco si trasforma fino a divenire una lecceta. Non è facile osservare questo avvicendarsi di specie diverse, perchè i tempi necessari sono molto lunghi rispetto ai nostri tempi di osservazione.
E' evidente quindi che i boschi sono sistemi biologici complessi in grado di autogestirsi. Anche le formazioni inizialmente più semplici e schematiche come i rimboschimenti fatti con piante di una sola specie, se lasciate libere di evolversi, accrescono a poco a poco la complessità della loro struttura, arricchendosi di nuove specie vegetali e animali, aumentando di conseguenza il tipo e la quantità di scambi che avvengono fra tutte le sue componenti: non solo di quelle che riusciamo a vedere al primo sguardo, ma anche e soprattutto laddove non si vede, come nel suolo, ricchissimo di microrganismi. Tutto ha la sua importanza, ogni componente ha un ruolo da svolgere. Per dire, anche gli alberi morti ancora in piedi, proprio durante la fase del loro progressivo disfacimento, ospitano una grande quantità di larve e di insetti che costituiscono un'importante fonte di nutrimento per i picchi e offrono rifugio a tante specie di uccelli e di piccoli mammiferi. E' proprio questa enorme complessità che assicura stabilità. Nella grande di quantità di specie viventi presenti in un bosco (non per niente i boschi oggi sono considerati le riserve della biodiversità, minacciata da tutte le parti), ce n'è sempre una pronta ad occupare uno spazio lasciato libero da un'altra.
Ai meccanismi e agli eventi naturali che regolano e influenzano la crescita degli alberi e dei boschi, molto spesso si sovrappongono le azioni dell'uomo, che da sempre coltiva, gestisce e utilizza i boschi per trarne dei benefici materiali quali il legno, i funghi, i frutti del sottobosco, la selvaggina o per il pascolo. Talvolta lo sfruttamento è eccessivo e il bosco non ce la fa a riparare le offese subite. In questo caso inizia il degrado, che può portare anche alla scomparsa del bosco.
La gestione per finalità produttive delle foreste incide moltissimo sull'aspetto della maggior parte dei boschi che vediamo intorno a noi. Questo da una parte può rendere un po' più difficile osservare i meccanismi naturali, dall'altra evidenzia la grande capacità del bosco di autogestirsi.
Faccio un esempio. Le latifoglie (gli alberi che perdono le foglie in autunno, come le querce, i faggi, i castagni, i carpini, i frassini ecc.), quando vengono tagliate hanno la capacità di ricacciare molti nuovi fusti dalla ceppaia, cioè dalle radici. Tali fusti, chiamati polloni, crescono molto più velocemente di una pianta nata da un seme perchè possono disporre da subito di un apparato radicale ben sviluppato ed efficiente. Questa capacità è stata moltissimo sfruttata in passato, e lo è ancora in misura minore, per aumentare la produzione di legna da ardere e paleria, attuando una forma di gestione dei boschi detta “governo a ceduo”. Le ceppaie, dopo ogni taglio, cioè ogni 15-20 anni, iniziano a produrre nuovi polloni dando origine alla tipica struttura del bosco ceduo, caratterizzata appunto dalla presenza di numerosi polloni sulla stessa ceppaia. Ma se questo tipo di gestione viene sospeso, ecco che il bosco ceduo inizia a cambiare aspetto: i polloni crescono e progressivamente diminuiscono di numero, facendo si che, a poco a poco, la sua struttura diventi assai simile a quella di una fustaia, cioè ad un bosco formato da piante nate da seme.
Se ri-impariamo ad osservare tanti fenomeni che avvengono con lentezza e senza clamore, i boschi ci faranno capire molte cose di sé stessi e del loro essere permanentemente in divenire, in modi che spesso non siamo in grado di prevedere né di programmare. Nel modo che gli è proprio, attraverso gli alberi i boschi si muovono, reagiscono a quello che succede intorno a loro, e cercano il loro equilibrio. A volte lo trovano, a volte lo perdono, poi lo ritrovano. A modo loro sono pazienti, adattabili, resilienti.
Ecco il punto, secondo me. Fra noi e gli alberi c'è più vicinanza e somiglianza di quanto pensiamo. Forse perchè dentro di noi esiste ancora una qualche traccia dei millenni che abbiamo trascorso vivendo nelle foreste, anche se non ne siamo o ne siamo poco consapevoli. E quando ci mettiamo in cammino e ci allontaniamo un poco dalle nostre sicurezze quotidiane, sono proprio gli alberi che oltre a darci riparo dal sole e indicazioni sul cammino, ci sono vicini facendoci sentire più sicuri e meno soli.
Io non so come spiegare meglio questo pensiero, con parole mie. Allora, ancora una volta come sempre faccio quando parlo di queste cose, prendo a prestito alcuni versi di Prévert, che ho letto per caso alcuni anni fa, proprio quando ero responsabile della Foresta di Vallombrosa. Versi che, ogni volta che li leggo, mi sembrano più ricchi di significato.
Un tempo
gli alberi
da dove venivano nessuno lo sapeva
Un tempo
gli alberi
erano persone come noi
Ma più solidi
più felici
più innamorati forse
più saggi
Tutto qui.