L'Osteria dei Pellegrini di Monsummano
L'ospitale del Pellegrino di Firenze
L'ospedale dei pellegrini a Canterbury
A Monsummano
L'Osteria dei Pellegrini di Niccolò Mazzucco
L'osteria dei Pellegrini, completata nel 1616, s'inserisce tra gli atti di nascita del nuovo centro di Monsummano Terme, propaggine verso la piana di Fucecchio e la Val di Nievole della comunità di Monsummano Alto, e rappresenta con la sua edificazione l'unione d'una diffusa religiosità popolare e delle volontà d'espansione della popolazione locale, con l'appoggio del Granduca di Toscana e delle autorità ecclesiastiche.
All'interno dei "Ricordi", scritti tra il 1602 ed il 1604 da Don Casciani, allora parroco della chiesa di San Nicolao (prospiciente l'antica platea communis in Monsummano Alto), in data 7 luglio 1602, troviamo: "Ricordo come questa mattina, quando si diceva la Messa alla Vergine Maria di piano, apparve costì dintorno a detta Madonna di verso Monte Summano, in un pezzo di terra che è dell'opera della Chiesa di San Nicholò di Monte Summano, una polla d'acqua buona et in quantità, et subbito se ne cominciò a bere et era veramente di quella bontà et freschezza che rispetto al tempo et luogho pareva essere;"(1).
Nello stesso luogo infatti (già noto con il toponimo di "Pozzo Vecchio" o "Renatico") sin dai primi decenni del XVI secolo era presente un tabernacolo recante una devota immagine della Vergine Maria con Gesù Bambino sulle ginocchia, circondata da quattro santi, comunemente riconosciuti come San Nicolao, San Marco, San Sebastiano e San Rocco( 2).
La tradizione vuole che il 9 giugno del 1573 una pastorella, di nome Jacopina, forse della famiglia Mariotti, come d'abitudine, tornando verso casa, si fermò a pregare davanti all'immagine sacra, lungo la strada provinciale del Val d'Arno inferiore, perdendo così di vista il proprio gregge. Accortasi della svista, la fanciulla, disperata, s'inginocchiò nuovamente presso il "margine" invocando la Vergine, speranzosa di poter ritrovare le proprie pecore. La Madonna, si narra, mosse allora gli occhi e stendendo il braccio le indicò il punto dove si era radunato il gregge; disse poi alla fanciulla di recarsi a Monsummano e di raccontare l'accaduto, chiedendo al rettore della Chiesa di San Nicolao di costruire una chiesa lì dove si trovava il Tabernacolo. Fonti successive, aggiungono alla narrazione la presenza di una candela che la Madonna avrebbe consegnato alla pastorella e che mai si sarebbe spenta durante il tragitto, nonostante la pioggia incessante ed il vento, come segno della sua inconfutabile volontà (3).
Già dai primi che seguirono il 1573, fu costruito un piccolo oratorio, noto come "oratorio del Margine", come ricovero per il tabernacolo e come luogo di preghiera ove svolgere la messa (3).
Da allora altri eventi prodigiosi si susseguirono attorno alla "Madonna del piano" ed i fedeli iniziarono numerosi ad accorrere in preghiera presso il piccolo oratorio (3).
Il flusso dei pellegrini, secondo quanto riporta Michelangelo Solei, che parla di un "grandissimo concorso" che "pareva l'anno santo", dovette essere assai ingente soprattutto dai circostanti luoghi del territorio lucchese, pistoiese, fiorentino, pratese, pisano, bolognese ed anche del modenese, tanto che giunsero più di centocinquanta fraternità, o compagnie per la devozione, portando appresso ricchissimi doni ed offerte, sia in denaro che in beni d'altro genere (5).
Il nome della "Fonte Nuova", legato tradizionalmente all'apparizione della polla d'acqua vicino al tabernacolo, è da imputare tuttavia ad una attribuzione tarda, al di fuori dell'uso locale, probabilmente in relazione ai miracoli di Lourdes, dal 1878, e sull'onda della proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione (4).
L'edificazione del Santuario della "Madonna della Fonte Nuova" si data al 30 dicembre 1602, quando Cosimo II, per conto di Ferdinando I de' Medici pose la prima pietra della Basilica (4).
La tradizione d'investire un luogo della protezione di un'entità spirituale o sovrannaturale - nella cristianità di un Santo o della Vergine - fu un fenomeno diffusissimo, se pur non senza opposizioni, anche in Toscana, tradendo probabilmente origine da rituali pagani assai più antichi e testimoniati dai numerosi eremi e santuari dedicati a Madonne dell'Acero, della Quercia, del Faggio, del Frassino ecc., secondo un modello che voleva gli alberi come "capitelli verdi": supporti naturali recanti immagini sacre - quadri, piastrelle o tegole dipinte - incastonate tra le loro fronde (6).
I tabernacoli e sacelli non differiscono molto da queste manifestazioni, se non per la scelta di un "ricovero" edificato anziché naturale.
Ognuno di questi elementi, gli alberi sacri come i sacelli, hanno una propria dimensione spirituale e religiosa ben radicata nella cultura popolare e che nasce da un sincero bisogno di soccorso nell'aiuto soprannaturale di figure vicine e consolatrici quali i Santi e la Vergine. Attorno ai tabernacoli è quindi sovente vedere addobbi, ex-voto (anche semplici cartoline o pitture), corone di fiori ed altri atti di devozione anche estremamente semplici e spontanei, quale l'abitudine di segnarsi passandovi davanti, la recita di una preghiera individuale o la raccolta di fiori da appendere in qualche crepa del tabernacolo (com'anche la vicenda di Iacopina Mariotti racconta) (3). Accanto a manifestazioni personali sono sopravvissute, almeno sino agli anni '60 dello scorso secolo, tradizioni popolari comunitarie quali processioni, tridui e penitenze ed in particolare si ricordano (dal verso "Te rogamus, audi nos!") le rogazioni: processioni, accompagnate da preghiere propiziatorie, praticate dal 25 aprile e nei tre giorni precedenti la festa dell'Ascensione, che prevedevano un percorso per zone campestri, con soste presso i capitelli, alberi sacri, croci ed in corrispondenza di altri altari allestiti per l'occasione. Le rogazioni rappresentavano la preghiera del contadino contro i malanni del tempo e le calamità naturali quali grandine e siccità.
D'altro canto la localizzazione di capitelli e tabernacoli non era motivata solo da fattori religiosi, ma era anche dipendente da ragioni di carattere topografico e sociale. Spesso erano posti in presenza di confini tra comuni e contrade o all'incrocio di diversi tracciati viari, ed inoltre, considerando che spesso erano situati in luoghi rurali, quindi al di fuori dei centri abitati e del loro controllo, avevano la funzione di attestare la presenza umana e l'apertura verso lo sfruttamento e la circolazione in zone di recente bonifica o in zone afflitte dalla predazione di ladroni e banditi (quest'ultimo caso ad esempio è attestato per il Santuario della Madonna della Quercia presso Viterbo) o più generalmente, in zone considerate insicure e selvagge.
La fondazione di un Santuario, come quello di Monsummano, se pur esprimeva la volontà delle istituzioni ecclesiastiche di essere sempre più capillarmente presenti sul territorio rurale (7), era un atto molto forte di crescita e di sviluppo da parte della comunità che lo aveva prodotto, nel quale caso rappresentata dai monsummanesi, che dal centro arroccato sul colle si spingevano verso all'area del Padule - nel corso del '500 già verso il prosciugamento e la messa a coltura - e verso la vicina Francigena (6).
La diffusione dei culti mariani, soprattutto per la costruzione di santuari ed opere di maggiore risonanza, fu fortemente favorita in Toscana dalla partecipazione del Granduca e conseguentemente dalle autorità ecclesiastiche (8), che ad ogni modo, a seguito del Concilio di Trento, favorirono tali manifestazioni a conferma della tradizione cristiana medioevale, dei suoi dogmi e delle sue immagini, contro la Riforma protestante e ogni tendenza separatrice (6).
Le strutture assistenziali si possono in tal senso vedere come un saldo punto di riferimento sul territorio per l'intera comunità locale, non solo sul piano del sacro ma anche su un piano concreto vicino al quotidiano e alle sue necessità materiali.
Nel territorio della Valdinievole questo era ancora più vero in quanto la stagnazione delle acque palustri nella piana era considerata a ragione, già da tempo, la principale causa scatenante delle frequenti ondate di malattia ed epidemie (6). Basti pensare che l'ondata di pesti pestilenze del 1630 portò ben 649 morti nel solo Monsummano Alto. La stessa immagine di San Rocco, dipinta accanto alla Vergine sul tabernacolo dei miracoli presso "Renatico", non era invocata per altro se non per la protezione dai morbi pestiferi per cui il santo era tradizionalmente noto (3).
L'espansione di Monsummano verso Fucecchio significava inoltre, non solo l'acquisizione di nuovi terreni coltivabili, sottratti ad aree altrimenti malsane, ma anche una maggiore sicurezza delle strade e nuove possibilità economiche per il borgo e per la popolazione, e fu proprio la costruzione del Santuario - elemento di richiamo e di unità - a sancire tale atto di crescita.
Chi provvide e spinse tale costruzione, non fu però tanto il Granduca Ferdinando I, che pure sostenne e offrì aiuti economici, a segno di un diffuso "mecenatismo devozionale", ma principalmente la comunità locale, raggruppatasi attorno alla cosiddetta "Opera", un ente della parrocchia di Monsummano. Gli stessi fondi necessari furono racimolati principalmente grazie alle donazioni dei pellegrini, come si legge da una delle lapidi apposte sulla facciata della Chiesa: "Ex oblatis erigendo" (5).
Fu una sinergia di interessi economici e sociali, sia da parte dei locali che delle istituzioni ecclesiastiche e temporali, a portare al felice compimento della chiesa e della prospiciente osteria, ma la diffusione ed il successo del culto mariano si devono principalmente ad un reale sentimento religioso, che è attestato chiaramente sin dalle più antiche testimonianze di cui disponiamo.
Anche per altri santuari dell'Italia Centrale (ad es. Madonna del Faggio a Castelluccio) è possibile considerare una dinamica di sviluppo parallela, che con le dovute differenze, prevedeva una ragione di carattere ideologico e politico accanto ad un forte sentimento popolare di devozione e partecipazione, sia organizzativa che economica che religiosa (9).
La costruzione dell'Osteria dei Pellegrini non era quindi pensata per un servizio d'accoglienza sporadico e circostanziale, legato semplicemente alla convergenza dei fedeli attorno ai luoghi della fede, ma rientrava in un piano d'urbanizzazione e di sviluppo che affidava a Monsummano la veste specifica di piazza d'incontro, di scambio e di nuovo centro cultuale.
La struttura ospitaliera in tal caso è da essere letta come parte e complemento di un insieme organico. Non a caso i primi due edifici che inaugurarono la nascita del centro basso di Monsummano, furono appunto il Santuario e l'Osteria, e solo dopo si ebbe la costruzione del contorno di abitazioni e servizi. Come il Bacci ricorda: "la detta chiesa è il vero nucleo del paese" "i primi che vennero ad abitarvi furono attirati dai miracoli" "Dunque il popolo di Monsummano è, in modo tutto speciale, creatura della Madonna" (3).
L'Opera, grazie alle oblazioni continuate, riuscì già entro il 1605 a comprare tutta la terra adiacente la nuova chiesa e già dall'anno seguente furono destinati 2000 scudi per la costruzione di un'osteria "che in quel piano di povere case, accogliesse la gente venuta di lontano a visitare la sacra Immagine" (3).
Il disegno dell'edificio fu affidato all'architetto Granducale, Gherardo Mechini, ed i lavori, iniziati nel 1607 e conclusi nel 1616 - fatta eccezione per l'arredo e la decorazione del complesso che perdurarono sino al 1633 - furono affidati alla direzione del capomastro Domenico Marcacci (6).
A pochi anni dalla sua costruzione il complesso di Monsummano già si attestava essersi pienamente inserito nella geografia dei pellegrinaggi dell'Italia Centrale. Nel 1609, riporta il Bacci, l'osteria, "somministrava all'Opera cinquantadue scudi per fitto di un anno", e già i primi pellegrini furono alloggiati nell'edificio ben prima che questo fosse completato, ovvero già dal settembre del 1609, anno in cui fu messa in appalto la gestione dell'osteria per due anni, al prezzo di 104 scudi, a Meo di Niccolao Pazzaglini di Pieve a Nievole (3).
Lo stesso portico dell'osteria, nasceva a parere del Bacci, come quello dell'antistante chiesa, non solo per fini estetici, ma come ricovero per i forestieri, "che per piogge e per notti fossero trattenuti" (3).
L'offerta di ricovero dell'Osteria dei Pellegrini era ben regolata da uno statuto locale e tutt'altro che casuale, tanto che, nessuno entro un miglio, poteva "fare osteria", ovvero ospitare viandanti, se non pagando la tassa di 18 scudi per "osteria" (3).
I servizi assistenziali oltre all'accoglienza dei viandanti si legavano anche a fini specifici secondo un'attività di sostegno e solidarietà verso le famiglie affette da disagi sanitari o avversità economiche, come parte di un circuito assistenziale più ampio, assieme al Santuario delle Vedute di Fucecchio ed altri luoghi sacri dell'area (6).
L'Osteria assolse esclusivamente attività di ricovero e sostegno fino al 1775, se pur già nel 1616, fu concessa per 4 scudi l'anno una stanza all'uso della Comunità di Monsummano Alto. Nel 1775 divenne anche sede della Comunità delle due Terre, istituto promosso dal Granduca che riuniva amministrativamente i Comuni di Monsummano e Montevettolini. L'edificio rimase comunque di proprietà del Santuario della Fontenuova e le trasformazioni più consistenti del fabbricato risalgono tutte al XIX secolo quando perse progressivamente le sue funzioni originarie, sempre più delegate alle strutture private che si moltiplicavano nella zona, per accogliere uffici e magistrature pubbliche, tra cui le scuole comunali, il Teatro Giusti, le prigioni, l'ufficio postale e l'ufficio telegrafico (3).
BIBLIOGRAFIA
1 Natali C., Il santuario di Maria SS. Della Fontenuova, Monsummano Terme, 1963
2 Romby C. G., Per onore del Principe per fede del Popolo. Maria SS. Della Fontenuova e i santuari Mariani della Toscana, in "Il paesaggio dei miracoli. Maria Santissima della Fontenuova a Monsummano. Santuari e politiche territoriali nella Toscana medicea da Ferdinando I a Cosimo II", Atti del Convegno, Monsummano Terme 6-7 dicembre 2002, pp.26, Pacini, Pisa, 2004
3 Bacci G., Monsummano e la Madonna della Fonte Nuova, Memoria Storica per il sac. Giovanni Bacci, professore di lettere nel seminario di prato, Pubblicata per cura del sacerdote proposto Luigi Mariani, pp. 2, 20, 27-33, 79-80, 119-122, 227, 229, Tipografia di R.Guasti, Prato, 1878
4 Spicciani A., Prospettive di ricerca storica, in "Culto della Madonna della Fontenuova, contributi per una storia", Benedetti, Pescia, 2003
5 Franzese D. P., Origine di un culto e di una comunità, in "Culto della Madonna della Fontenuova, contributi per una storia", Benedetti, Pescia, 2003
6 Prosperi A., Padule e Santuario, in "Il paesaggio dei miracoli. Maria Santissima della Fontenuova a Monsummano. Santuari e politiche territoriali nella Toscana medicea da Ferdinando I a Cosimo II", Atti del Convegno, Monsummano Terme 6-7 dicembre 2002, pp. 15-18, Pacini, Pisa, 2004
7 Gagliardi I., I Santuari della Valdinievole: alcune riflessioni su i luoghi e le storie, in "Il paesaggio dei miracoli. Maria Santissima della Fontenuova a Monsummano. Santuari e politiche territoriali nella Toscana medicea da Ferdinando I a Cosimo II", Atti del Convegno, Monsummano Terme 6-7 dicembre 2002, pp. 93-97, Pacini, Pisa, 2004
8 Greco G., I Medici e la Chiesa in Toscana, in "Il paesaggio dei miracoli. Maria Santissima della Fontenuova a Monsummano. Santuari e politiche territoriali nella Toscana medicea da Ferdinando I a Cosimo II", Atti del Convegno, Monsummano Terme 6-7 dicembre 2002, pp. 64-65, Pacini, Pisa, 2004
9 Zagnoni R., Borghi G. P., La Madonna del Faggio: un santuario della montagna bolognese fra Castelluccio di Porretta e Monte Acuto delle Alpi, pp. 18-20, Porretta Terme, 1988
L'osteria dei Pellegrini, completata nel 1616, s'inserisce tra gli atti di nascita del nuovo centro di Monsummano Terme, propaggine verso la piana di Fucecchio e la Val di Nievole della comunità di Monsummano Alto, e rappresenta con la sua edificazione l'unione d'una diffusa religiosità popolare e delle volontà d'espansione della popolazione locale, con l'appoggio del Granduca di Toscana e delle autorità ecclesiastiche.
All'interno dei "Ricordi", scritti tra il 1602 ed il 1604 da Don Casciani, allora parroco della chiesa di San Nicolao (prospiciente l'antica platea communis in Monsummano Alto), in data 7 luglio 1602, troviamo: "Ricordo come questa mattina, quando si diceva la Messa alla Vergine Maria di piano, apparve costì dintorno a detta Madonna di verso Monte Summano, in un pezzo di terra che è dell'opera della Chiesa di San Nicholò di Monte Summano, una polla d'acqua buona et in quantità, et subbito se ne cominciò a bere et era veramente di quella bontà et freschezza che rispetto al tempo et luogho pareva essere;"(1).
Nello stesso luogo infatti (già noto con il toponimo di "Pozzo Vecchio" o "Renatico") sin dai primi decenni del XVI secolo era presente un tabernacolo recante una devota immagine della Vergine Maria con Gesù Bambino sulle ginocchia, circondata da quattro santi, comunemente riconosciuti come San Nicolao, San Marco, San Sebastiano e San Rocco( 2).
La tradizione vuole che il 9 giugno del 1573 una pastorella, di nome Jacopina, forse della famiglia Mariotti, come d'abitudine, tornando verso casa, si fermò a pregare davanti all'immagine sacra, lungo la strada provinciale del Val d'Arno inferiore, perdendo così di vista il proprio gregge. Accortasi della svista, la fanciulla, disperata, s'inginocchiò nuovamente presso il "margine" invocando la Vergine, speranzosa di poter ritrovare le proprie pecore. La Madonna, si narra, mosse allora gli occhi e stendendo il braccio le indicò il punto dove si era radunato il gregge; disse poi alla fanciulla di recarsi a Monsummano e di raccontare l'accaduto, chiedendo al rettore della Chiesa di San Nicolao di costruire una chiesa lì dove si trovava il Tabernacolo. Fonti successive, aggiungono alla narrazione la presenza di una candela che la Madonna avrebbe consegnato alla pastorella e che mai si sarebbe spenta durante il tragitto, nonostante la pioggia incessante ed il vento, come segno della sua inconfutabile volontà (3).
Già dai primi che seguirono il 1573, fu costruito un piccolo oratorio, noto come "oratorio del Margine", come ricovero per il tabernacolo e come luogo di preghiera ove svolgere la messa (3).
Da allora altri eventi prodigiosi si susseguirono attorno alla "Madonna del piano" ed i fedeli iniziarono numerosi ad accorrere in preghiera presso il piccolo oratorio (3).
Il flusso dei pellegrini, secondo quanto riporta Michelangelo Solei, che parla di un "grandissimo concorso" che "pareva l'anno santo", dovette essere assai ingente soprattutto dai circostanti luoghi del territorio lucchese, pistoiese, fiorentino, pratese, pisano, bolognese ed anche del modenese, tanto che giunsero più di centocinquanta fraternità, o compagnie per la devozione, portando appresso ricchissimi doni ed offerte, sia in denaro che in beni d'altro genere (5).
Il nome della "Fonte Nuova", legato tradizionalmente all'apparizione della polla d'acqua vicino al tabernacolo, è da imputare tuttavia ad una attribuzione tarda, al di fuori dell'uso locale, probabilmente in relazione ai miracoli di Lourdes, dal 1878, e sull'onda della proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione (4).
L'edificazione del Santuario della "Madonna della Fonte Nuova" si data al 30 dicembre 1602, quando Cosimo II, per conto di Ferdinando I de' Medici pose la prima pietra della Basilica (4).
La tradizione d'investire un luogo della protezione di un'entità spirituale o sovrannaturale - nella cristianità di un Santo o della Vergine - fu un fenomeno diffusissimo, se pur non senza opposizioni, anche in Toscana, tradendo probabilmente origine da rituali pagani assai più antichi e testimoniati dai numerosi eremi e santuari dedicati a Madonne dell'Acero, della Quercia, del Faggio, del Frassino ecc., secondo un modello che voleva gli alberi come "capitelli verdi": supporti naturali recanti immagini sacre - quadri, piastrelle o tegole dipinte - incastonate tra le loro fronde (6).
I tabernacoli e sacelli non differiscono molto da queste manifestazioni, se non per la scelta di un "ricovero" edificato anziché naturale.
Ognuno di questi elementi, gli alberi sacri come i sacelli, hanno una propria dimensione spirituale e religiosa ben radicata nella cultura popolare e che nasce da un sincero bisogno di soccorso nell'aiuto soprannaturale di figure vicine e consolatrici quali i Santi e la Vergine. Attorno ai tabernacoli è quindi sovente vedere addobbi, ex-voto (anche semplici cartoline o pitture), corone di fiori ed altri atti di devozione anche estremamente semplici e spontanei, quale l'abitudine di segnarsi passandovi davanti, la recita di una preghiera individuale o la raccolta di fiori da appendere in qualche crepa del tabernacolo (com'anche la vicenda di Iacopina Mariotti racconta) (3). Accanto a manifestazioni personali sono sopravvissute, almeno sino agli anni '60 dello scorso secolo, tradizioni popolari comunitarie quali processioni, tridui e penitenze ed in particolare si ricordano (dal verso "Te rogamus, audi nos!") le rogazioni: processioni, accompagnate da preghiere propiziatorie, praticate dal 25 aprile e nei tre giorni precedenti la festa dell'Ascensione, che prevedevano un percorso per zone campestri, con soste presso i capitelli, alberi sacri, croci ed in corrispondenza di altri altari allestiti per l'occasione. Le rogazioni rappresentavano la preghiera del contadino contro i malanni del tempo e le calamità naturali quali grandine e siccità.
D'altro canto la localizzazione di capitelli e tabernacoli non era motivata solo da fattori religiosi, ma era anche dipendente da ragioni di carattere topografico e sociale. Spesso erano posti in presenza di confini tra comuni e contrade o all'incrocio di diversi tracciati viari, ed inoltre, considerando che spesso erano situati in luoghi rurali, quindi al di fuori dei centri abitati e del loro controllo, avevano la funzione di attestare la presenza umana e l'apertura verso lo sfruttamento e la circolazione in zone di recente bonifica o in zone afflitte dalla predazione di ladroni e banditi (quest'ultimo caso ad esempio è attestato per il Santuario della Madonna della Quercia presso Viterbo) o più generalmente, in zone considerate insicure e selvagge.
La fondazione di un Santuario, come quello di Monsummano, se pur esprimeva la volontà delle istituzioni ecclesiastiche di essere sempre più capillarmente presenti sul territorio rurale (7), era un atto molto forte di crescita e di sviluppo da parte della comunità che lo aveva prodotto, nel quale caso rappresentata dai monsummanesi, che dal centro arroccato sul colle si spingevano verso all'area del Padule - nel corso del '500 già verso il prosciugamento e la messa a coltura - e verso la vicina Francigena (6).
La diffusione dei culti mariani, soprattutto per la costruzione di santuari ed opere di maggiore risonanza, fu fortemente favorita in Toscana dalla partecipazione del Granduca e conseguentemente dalle autorità ecclesiastiche (8), che ad ogni modo, a seguito del Concilio di Trento, favorirono tali manifestazioni a conferma della tradizione cristiana medioevale, dei suoi dogmi e delle sue immagini, contro la Riforma protestante e ogni tendenza separatrice (6).
Le strutture assistenziali si possono in tal senso vedere come un saldo punto di riferimento sul territorio per l'intera comunità locale, non solo sul piano del sacro ma anche su un piano concreto vicino al quotidiano e alle sue necessità materiali.
Nel territorio della Valdinievole questo era ancora più vero in quanto la stagnazione delle acque palustri nella piana era considerata a ragione, già da tempo, la principale causa scatenante delle frequenti ondate di malattia ed epidemie (6). Basti pensare che l'ondata di pesti pestilenze del 1630 portò ben 649 morti nel solo Monsummano Alto. La stessa immagine di San Rocco, dipinta accanto alla Vergine sul tabernacolo dei miracoli presso "Renatico", non era invocata per altro se non per la protezione dai morbi pestiferi per cui il santo era tradizionalmente noto (3).
L'espansione di Monsummano verso Fucecchio significava inoltre, non solo l'acquisizione di nuovi terreni coltivabili, sottratti ad aree altrimenti malsane, ma anche una maggiore sicurezza delle strade e nuove possibilità economiche per il borgo e per la popolazione, e fu proprio la costruzione del Santuario - elemento di richiamo e di unità - a sancire tale atto di crescita.
Chi provvide e spinse tale costruzione, non fu però tanto il Granduca Ferdinando I, che pure sostenne e offrì aiuti economici, a segno di un diffuso "mecenatismo devozionale", ma principalmente la comunità locale, raggruppatasi attorno alla cosiddetta "Opera", un ente della parrocchia di Monsummano. Gli stessi fondi necessari furono racimolati principalmente grazie alle donazioni dei pellegrini, come si legge da una delle lapidi apposte sulla facciata della Chiesa: "Ex oblatis erigendo" (5).
Fu una sinergia di interessi economici e sociali, sia da parte dei locali che delle istituzioni ecclesiastiche e temporali, a portare al felice compimento della chiesa e della prospiciente osteria, ma la diffusione ed il successo del culto mariano si devono principalmente ad un reale sentimento religioso, che è attestato chiaramente sin dalle più antiche testimonianze di cui disponiamo.
Anche per altri santuari dell'Italia Centrale (ad es. Madonna del Faggio a Castelluccio) è possibile considerare una dinamica di sviluppo parallela, che con le dovute differenze, prevedeva una ragione di carattere ideologico e politico accanto ad un forte sentimento popolare di devozione e partecipazione, sia organizzativa che economica che religiosa (9).
La costruzione dell'Osteria dei Pellegrini non era quindi pensata per un servizio d'accoglienza sporadico e circostanziale, legato semplicemente alla convergenza dei fedeli attorno ai luoghi della fede, ma rientrava in un piano d'urbanizzazione e di sviluppo che affidava a Monsummano la veste specifica di piazza d'incontro, di scambio e di nuovo centro cultuale.
La struttura ospitaliera in tal caso è da essere letta come parte e complemento di un insieme organico. Non a caso i primi due edifici che inaugurarono la nascita del centro basso di Monsummano, furono appunto il Santuario e l'Osteria, e solo dopo si ebbe la costruzione del contorno di abitazioni e servizi. Come il Bacci ricorda: "la detta chiesa è il vero nucleo del paese" "i primi che vennero ad abitarvi furono attirati dai miracoli" "Dunque il popolo di Monsummano è, in modo tutto speciale, creatura della Madonna" (3).
L'Opera, grazie alle oblazioni continuate, riuscì già entro il 1605 a comprare tutta la terra adiacente la nuova chiesa e già dall'anno seguente furono destinati 2000 scudi per la costruzione di un'osteria "che in quel piano di povere case, accogliesse la gente venuta di lontano a visitare la sacra Immagine" (3).
Il disegno dell'edificio fu affidato all'architetto Granducale, Gherardo Mechini, ed i lavori, iniziati nel 1607 e conclusi nel 1616 - fatta eccezione per l'arredo e la decorazione del complesso che perdurarono sino al 1633 - furono affidati alla direzione del capomastro Domenico Marcacci (6).
A pochi anni dalla sua costruzione il complesso di Monsummano già si attestava essersi pienamente inserito nella geografia dei pellegrinaggi dell'Italia Centrale. Nel 1609, riporta il Bacci, l'osteria, "somministrava all'Opera cinquantadue scudi per fitto di un anno", e già i primi pellegrini furono alloggiati nell'edificio ben prima che questo fosse completato, ovvero già dal settembre del 1609, anno in cui fu messa in appalto la gestione dell'osteria per due anni, al prezzo di 104 scudi, a Meo di Niccolao Pazzaglini di Pieve a Nievole (3).
Lo stesso portico dell'osteria, nasceva a parere del Bacci, come quello dell'antistante chiesa, non solo per fini estetici, ma come ricovero per i forestieri, "che per piogge e per notti fossero trattenuti" (3).
L'offerta di ricovero dell'Osteria dei Pellegrini era ben regolata da uno statuto locale e tutt'altro che casuale, tanto che, nessuno entro un miglio, poteva "fare osteria", ovvero ospitare viandanti, se non pagando la tassa di 18 scudi per "osteria" (3).
I servizi assistenziali oltre all'accoglienza dei viandanti si legavano anche a fini specifici secondo un'attività di sostegno e solidarietà verso le famiglie affette da disagi sanitari o avversità economiche, come parte di un circuito assistenziale più ampio, assieme al Santuario delle Vedute di Fucecchio ed altri luoghi sacri dell'area (6).
L'Osteria assolse esclusivamente attività di ricovero e sostegno fino al 1775, se pur già nel 1616, fu concessa per 4 scudi l'anno una stanza all'uso della Comunità di Monsummano Alto. Nel 1775 divenne anche sede della Comunità delle due Terre, istituto promosso dal Granduca che riuniva amministrativamente i Comuni di Monsummano e Montevettolini. L'edificio rimase comunque di proprietà del Santuario della Fontenuova e le trasformazioni più consistenti del fabbricato risalgono tutte al XIX secolo quando perse progressivamente le sue funzioni originarie, sempre più delegate alle strutture private che si moltiplicavano nella zona, per accogliere uffici e magistrature pubbliche, tra cui le scuole comunali, il Teatro Giusti, le prigioni, l'ufficio postale e l'ufficio telegrafico (3).
BIBLIOGRAFIA
1 Natali C., Il santuario di Maria SS. Della Fontenuova, Monsummano Terme, 1963
2 Romby C. G., Per onore del Principe per fede del Popolo. Maria SS. Della Fontenuova e i santuari Mariani della Toscana, in "Il paesaggio dei miracoli. Maria Santissima della Fontenuova a Monsummano. Santuari e politiche territoriali nella Toscana medicea da Ferdinando I a Cosimo II", Atti del Convegno, Monsummano Terme 6-7 dicembre 2002, pp.26, Pacini, Pisa, 2004
3 Bacci G., Monsummano e la Madonna della Fonte Nuova, Memoria Storica per il sac. Giovanni Bacci, professore di lettere nel seminario di prato, Pubblicata per cura del sacerdote proposto Luigi Mariani, pp. 2, 20, 27-33, 79-80, 119-122, 227, 229, Tipografia di R.Guasti, Prato, 1878
4 Spicciani A., Prospettive di ricerca storica, in "Culto della Madonna della Fontenuova, contributi per una storia", Benedetti, Pescia, 2003
5 Franzese D. P., Origine di un culto e di una comunità, in "Culto della Madonna della Fontenuova, contributi per una storia", Benedetti, Pescia, 2003
6 Prosperi A., Padule e Santuario, in "Il paesaggio dei miracoli. Maria Santissima della Fontenuova a Monsummano. Santuari e politiche territoriali nella Toscana medicea da Ferdinando I a Cosimo II", Atti del Convegno, Monsummano Terme 6-7 dicembre 2002, pp. 15-18, Pacini, Pisa, 2004
7 Gagliardi I., I Santuari della Valdinievole: alcune riflessioni su i luoghi e le storie, in "Il paesaggio dei miracoli. Maria Santissima della Fontenuova a Monsummano. Santuari e politiche territoriali nella Toscana medicea da Ferdinando I a Cosimo II", Atti del Convegno, Monsummano Terme 6-7 dicembre 2002, pp. 93-97, Pacini, Pisa, 2004
8 Greco G., I Medici e la Chiesa in Toscana, in "Il paesaggio dei miracoli. Maria Santissima della Fontenuova a Monsummano. Santuari e politiche territoriali nella Toscana medicea da Ferdinando I a Cosimo II", Atti del Convegno, Monsummano Terme 6-7 dicembre 2002, pp. 64-65, Pacini, Pisa, 2004
9 Zagnoni R., Borghi G. P., La Madonna del Faggio: un santuario della montagna bolognese fra Castelluccio di Porretta e Monte Acuto delle Alpi, pp. 18-20, Porretta Terme, 1988
L'Ospitale del ' Pellegrino ' di Firenze
di Niccolò Mazzucco
Il Pellegrino era un borgo di Firenze che si estendeva alla destra di via Bolognese, a meno d'un chilometro dalla porta san Gallo, a nord dell'ultima cerchia delle mura comunali, costruite tra il 1284 e il 1333. Con le ri-forme napoleoniche del 1808, confermate successi-vamente al ritorno di Leo-poldo II, sino al 1865, tutta la zona del "Pellegrino" ed i borghi circostanti (tra cui Porta a San Gallo, Careggi, Montughi, Novoli, Cascine ecc.) furono accorpati in un unico Comune, che prese il nome di "Pellegrino da Ca-reggi". Inizialmente il toponimo fu solo "Il Pellegrino", ma dopo la costituzione del Regno d'Italia, per evitare omonimie con altri paesi, il governo invitò gli amministratori locali ad aggiungervi un suffisso (Uleri, 2006).
Il borgo e l'intero Comune dovevano il loro nome ad un antico ospizio, detto anche di San Gallo, destinato ad accogliere i pellegrini che scendevano in città, che si trovava lungo il corso della via Bolognese, poche centinaia di metri fuori le mura cittadine. L'ospitale in questione, di cui oggi rimane solo il nome fissato su una targa di una strada secondaria, "Via del Pellegrino" appunto, trova le sue radici nel 1218, quando ebbe luogo la sua fondazione per mano dell'ordine "pontiere" dei monaci ospitalieri di San Jacopo d'Altopascio. Tale tipologia di fondazione religiosa era molto diffusa nel Medioevo ed era legata principalmente all'assistenza ai poveri e agli orfani, ai viaggiatori, ai pellegrini e agli ammalati. Nei primi secoli del medioevo erano frequenti gli ospedali che svolgevano indifferentemente tutte queste funzioni, ma già dai secoli centrali si realizzò la tendenza ad una graduale differenziazione funzionale. Raramente infatti i singoli ospedali svolgevano contemporaneamente tutte questi servizi, ma erano finalizzati solo verso alcune funzioni specifiche, in rapporto con la loro ubicazione e le loro caratteristiche (Moretti, 1998). Ad esempio negli ospedali urbani la funzione assistenziale finì presto per prevalere presto rispetto alla funzione di appoggio ai pellegrini, in quanto la maggior parte di queste strutture assunsero il ruolo di centro di cura per i malati e per i bisognosi (Balestracci, 1989).L'ospizio del Pellegrino si trovò con il progredire del tempo a svolgere più funzioni diverse, aprendosi anche all'accoglienza degli orfani, all'accoglienza differenziata per uomini e donne e all'alloggio per chierici e laici, ma tuttavia la sua fondazione ad opera proprio dell'ordine dei frati ospitalieri di Altopascio e la presenza in città a poca distanza di altre strutture adibite al ricovero dei malati e degli orfani, tra cui l'Ospedale degli Innocenti, a cui fu successivamente incorporato, e l'Ospedale di Santa Maria Nuova, fa pensare che l'ospitale fosse funzionale alla viabilità religiosa e che la sua principale attività fosse originariamente legata all'accoglienza dei pellegrini, che dovevano rappresentare già nei primi decenni del 1200 un cospicuo numero di viandanti attraverso Firenze (Repetti, 1847).
La fioritura di strutture sanitarie a Firenze è testimoniata anche dal Villani, che afferma che in città, a fine trecento, vi erano più di trenta spedali con più di mille letti per bisognosi, ammalati e forestieri. In particolare tali strutture si accentravano nei pressi delle porte che regolavano l'ingresso in città delle principali strade dello stato fiorentino (Stopani, 1999).
Questo processo prese piede sin dai primi decenni del '200 e la costruzione di un ospitale lungo la strada postale di Bologna è proprio espressione dell'importanza che Firenze iniziava ad assumere in Toscana, e di conseguenza anche del ruolo assunto dalle vie di comunicazione diretta, passanti per il Mugello, tra Firenze e Bologna, a dispetto della più nota Via Francigena.
Firenze rimase infatti tagliata fuori, almeno sino al XII secolo, dal principale asse di comunicazione della penisola, rappresentato proprio dalla Via Francigena, passante in Toscana per Lucca e Siena e che tagliava l'appennino tosco-emiliano per il passo di Monte Bardone, attualmente il passo della Cisa, che collegava Parma con Lucca attraverso la Lunigiana.
Fu solo nel corso del Duecento che Firenze, in virtù della crescente importanza politica e d economica assunta dal centro toscano e dei crescenti traffici commerciali con la Padania, riuscì a spostare l'asse principale delle comunicazioni tra il Nord-Italia e Roma. Dalla seconda metà del secolo si iniziano così a registrare alcune importanti opere di costruzione tra la Romagna e la Toscana (a Santerno, a Levalli, a Cornacchiaia, a Rapezzo e Firenzuola) sino all'apertura nella seconda metà del '300 della nuova strada maestra passante per il passo del Giogo, che rappresenterà la via più veloce e più usata per i collegamenti tra l'Italia settentrionale e quella centrale, passando per Bologna, sino Firenze, per poi proseguire nel Chianti e nella Valdelsa (Stopani, 2000).
Difficile è stabilire in che cosa consistesse la struttura del "Pellegrino" e come fosse organizzata all'epoca della sua fondazione.
L'ospitale venne fondato nei pressi della Chiesa di S. Maria fuori porta a San Gallo, chiesa nella quale già si praticava assistenza ai viandanti, tanto che nel 1216 vi albergò Giovanni da Salerno con altri 12 compagni poco prima che introducesse in Firenze il nascente ordine religioso di S. Domenico (Repetti, 1847).
Nel Decameron, nella settima novella della IV giornata, si ricorda che a San Gallo, poco fuori l'omonima porta, vi erano una Chiesa, un Convento e un Ospedale di San Gallo, preso cui la domenica, la prima di ogni mese, si andava a prendere la "perdonanza", ovvero l'indulgenza.
L'ospitale di San Gallo è anche citato nella tenzone tra Dante e Forese, datata tra il 1283 e 1284, dalla quale pare che lo stesso Dante andò a mendicare all'ospitale e pure vi vendette un credito ipotecario del padre appena defunto. Forese si rivolge infatti a Dante dicendogli di restituire le "robe", probabilmente panni e coperte, ricevute in elemosina a San Gallo nel momento del bisogno. Dante, in tale prospettiva, avrebbe partecipato in gioventù alle dispendiose feste tipiche dell'ambiente intellettuale fiorentino, in cui sarebbe stato introdotto dall'amico Cavalcanti, sino a dissipare le proprie risorse e la cassa familiare, tanto da dover ricorrere al caritatevole aiuto dell'ospizio fiorentino.
Dal 1463 la struttura fu incorporata con tutti i suoi beni ed entrate dall'Ospedale degli Innocenti mediante un atto del Pontefice Pio II. Nel 1493, nello stesso luogo ove sorgeva l'ospedale, Lorenzo il Magnifico volle la costruzione in di un convento per i frati Agostiniani col disegno e la direzione del celebre architetto fiorentino Giuliano de' Giamberti, a cui proprio per la bellezza dell'opera fu dato il nome di Giuliano da San Gallo. Il convento venne poi distrutto nel 1528 per ordine della Signoria, quando con l'affermarsi del potere di Carlo V, iniziarono i preparativi per la difesa della città ed i lavori per il completamento delle fortificazioni iniziate nel 1521 per ordine del cardinale Giulio de' Medici. La struttura fu così atterrata assieme ad altri edifici pubblici posti in altura o in luoghi che potevano essere occupati e sfruttati a danno della città da eventuali assedianti (Repetti, 1847).
Dal 1540 al posto dell'edificio fu costruita probabilmente una casetta o una villa con un po' di terreno annesso, che sotto il Granducato di Toscana pare servisse come luogo di riposo per i dipendenti del palazzo granducale (Fiorelli, Venturi, 2004).
Nel 1638, Ferdinando II, donò il bene all'Ordine degli Scolopi, che destinarono il fondo a sede del noviziato. Nel 1659 furono iniziati i lavori d'ampliamento che videro la villetta trasformarsi in una piccola Chiesa, ancora oggi visibile, dedicata alla Madonna del Suffragio, ed accanto vi fu edificato un nuovo edificio di due piani con foresteria, biblioteca ed oratorio, atto ad ospitare la
comunità religiosa. Nel 1719, sino al 1735, iniziarono i nuovi lavori di ristrutturazione, duranti i quali furono realizzate le decorazioni alla base delle colonne e dell'altare e gli affreschi della cupola ad opera di Matteo Bonechi. Probabilmente l'ospitale inizialmente fu sotto il controllo diretto dei cavalieri del Tau di Altopascio, successivamente la magione venne concessa in livello a personaggi e famiglie fiorentine iscritte nell'ordine, tra cui gli Strozzi e i Capponi (Bargellini, 1985).
Dal punto di vista architettonico l'ospitale al tempo della sua fondazione doveva essere costituito semplicemente da una o più case d'accoglienza di modeste dimensioni, non distinguibili tipologicamente e funzionalmente da altri edifici coevi (Moretti, 1989).
Progressivamente la struttura si ampliò e si attrezzò di locali differenziati per l'accoglienza di uomini, donne ed orfani, attraverso aggiustamenti progressivi e graduali (Stopani, 1999)
La maggiore attività del "Pellegrino" è probabilmente da legare al periodo immediatamente successivo alla sua costruzione. Furono infatti il XII e il XIII secolo i momenti di maggior espansione per le strutture ospitaliere, inoltre in Toscana, in particolar modo nei pressi dei centri urbani, già dal XII secolo si cominciarono da affermare alcune strutture d'ospitalità private, quali locande, alberghi e fondachi a danno degli ospedali e di altre forme di accoglienza. Anche se in parte dovevano essere diversi i fruitori delle due strutture, l'espansione progressiva delle prime determinò la fine, verso il XV secolo, di gran parte degli ospedali associati alla rete stradale. Difatti la struttura dopo la distruzione del 1528 perse la sua funzione assistenziale e con i lavori di ricostruzione sotto il graducato, si trasformò in alloggio per gli inservienti del palazzo e successivamente in noviziato.
BIBLIOGRAFIA:
P. BARGELLINI, Le strade di Firenze, Roma: Bonechi, 1985, Vol: 1-2.
D. BALESTRACCI, 1989, Per una storia degli ospedali di contado nella Toscana fra XIV e XVI secolo. Strutture, arredi, personale, assistenza, in La società del bisogno. Povertà e assistenza nella Toscana medievale, a cura di G. Pinto, Firenze, pp. 37-59.
G. BOCCACCIO, Decameron, a cura di Vittore Branca, Torino, Enaudi, 1980, 1 vol, p 549.
P. FIORELLI, M. VENTURI, 2004, Stradario storico e amministrativo del Comune di Firenze, Firenze: Polistampa, 2004
I. MORETTI, 1989, Linee di indagine per lo studio dell'architettura ospedaliera nel Medioevo, in I templari: mito e storia, a cura di C. Minucci, E Sardi, Sinalunga, pp. 211-222.
I. MORETTI, 1998, Ospedale, in Enciclopedia dell'Arte Medievale, vol. VIII, pp. 906-917.
E. REPETTI, 1847, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze, vol IV, pp. 92-94
R. STOPANI, 1999, Firenze e i primi Giubilei, un momento di storia fiorentina della solidarietà, Centro di Studi Romei, Firenze, pp-31-35
R. STOPANI, 2000, Il Mugello, L'"Alpe fiorentina" e le vie per Roma, in De Strata Francigena, Le vie romipete del Mugello, pp 7-14.
A. ULERI, 2006, Il Pellegrino, il comune di Pellegrino da Careggi alle porte di Firenze, Firenze: Pagnini editore, pp
Il Pellegrino era un borgo di Firenze che si estendeva alla destra di via Bolognese, a meno d'un chilometro dalla porta san Gallo, a nord dell'ultima cerchia delle mura comunali, costruite tra il 1284 e il 1333. Con le ri-forme napoleoniche del 1808, confermate successi-vamente al ritorno di Leo-poldo II, sino al 1865, tutta la zona del "Pellegrino" ed i borghi circostanti (tra cui Porta a San Gallo, Careggi, Montughi, Novoli, Cascine ecc.) furono accorpati in un unico Comune, che prese il nome di "Pellegrino da Ca-reggi". Inizialmente il toponimo fu solo "Il Pellegrino", ma dopo la costituzione del Regno d'Italia, per evitare omonimie con altri paesi, il governo invitò gli amministratori locali ad aggiungervi un suffisso (Uleri, 2006).
Il borgo e l'intero Comune dovevano il loro nome ad un antico ospizio, detto anche di San Gallo, destinato ad accogliere i pellegrini che scendevano in città, che si trovava lungo il corso della via Bolognese, poche centinaia di metri fuori le mura cittadine. L'ospitale in questione, di cui oggi rimane solo il nome fissato su una targa di una strada secondaria, "Via del Pellegrino" appunto, trova le sue radici nel 1218, quando ebbe luogo la sua fondazione per mano dell'ordine "pontiere" dei monaci ospitalieri di San Jacopo d'Altopascio. Tale tipologia di fondazione religiosa era molto diffusa nel Medioevo ed era legata principalmente all'assistenza ai poveri e agli orfani, ai viaggiatori, ai pellegrini e agli ammalati. Nei primi secoli del medioevo erano frequenti gli ospedali che svolgevano indifferentemente tutte queste funzioni, ma già dai secoli centrali si realizzò la tendenza ad una graduale differenziazione funzionale. Raramente infatti i singoli ospedali svolgevano contemporaneamente tutte questi servizi, ma erano finalizzati solo verso alcune funzioni specifiche, in rapporto con la loro ubicazione e le loro caratteristiche (Moretti, 1998). Ad esempio negli ospedali urbani la funzione assistenziale finì presto per prevalere presto rispetto alla funzione di appoggio ai pellegrini, in quanto la maggior parte di queste strutture assunsero il ruolo di centro di cura per i malati e per i bisognosi (Balestracci, 1989).L'ospizio del Pellegrino si trovò con il progredire del tempo a svolgere più funzioni diverse, aprendosi anche all'accoglienza degli orfani, all'accoglienza differenziata per uomini e donne e all'alloggio per chierici e laici, ma tuttavia la sua fondazione ad opera proprio dell'ordine dei frati ospitalieri di Altopascio e la presenza in città a poca distanza di altre strutture adibite al ricovero dei malati e degli orfani, tra cui l'Ospedale degli Innocenti, a cui fu successivamente incorporato, e l'Ospedale di Santa Maria Nuova, fa pensare che l'ospitale fosse funzionale alla viabilità religiosa e che la sua principale attività fosse originariamente legata all'accoglienza dei pellegrini, che dovevano rappresentare già nei primi decenni del 1200 un cospicuo numero di viandanti attraverso Firenze (Repetti, 1847).
La fioritura di strutture sanitarie a Firenze è testimoniata anche dal Villani, che afferma che in città, a fine trecento, vi erano più di trenta spedali con più di mille letti per bisognosi, ammalati e forestieri. In particolare tali strutture si accentravano nei pressi delle porte che regolavano l'ingresso in città delle principali strade dello stato fiorentino (Stopani, 1999).
Questo processo prese piede sin dai primi decenni del '200 e la costruzione di un ospitale lungo la strada postale di Bologna è proprio espressione dell'importanza che Firenze iniziava ad assumere in Toscana, e di conseguenza anche del ruolo assunto dalle vie di comunicazione diretta, passanti per il Mugello, tra Firenze e Bologna, a dispetto della più nota Via Francigena.
Firenze rimase infatti tagliata fuori, almeno sino al XII secolo, dal principale asse di comunicazione della penisola, rappresentato proprio dalla Via Francigena, passante in Toscana per Lucca e Siena e che tagliava l'appennino tosco-emiliano per il passo di Monte Bardone, attualmente il passo della Cisa, che collegava Parma con Lucca attraverso la Lunigiana.
Fu solo nel corso del Duecento che Firenze, in virtù della crescente importanza politica e d economica assunta dal centro toscano e dei crescenti traffici commerciali con la Padania, riuscì a spostare l'asse principale delle comunicazioni tra il Nord-Italia e Roma. Dalla seconda metà del secolo si iniziano così a registrare alcune importanti opere di costruzione tra la Romagna e la Toscana (a Santerno, a Levalli, a Cornacchiaia, a Rapezzo e Firenzuola) sino all'apertura nella seconda metà del '300 della nuova strada maestra passante per il passo del Giogo, che rappresenterà la via più veloce e più usata per i collegamenti tra l'Italia settentrionale e quella centrale, passando per Bologna, sino Firenze, per poi proseguire nel Chianti e nella Valdelsa (Stopani, 2000).
Difficile è stabilire in che cosa consistesse la struttura del "Pellegrino" e come fosse organizzata all'epoca della sua fondazione.
L'ospitale venne fondato nei pressi della Chiesa di S. Maria fuori porta a San Gallo, chiesa nella quale già si praticava assistenza ai viandanti, tanto che nel 1216 vi albergò Giovanni da Salerno con altri 12 compagni poco prima che introducesse in Firenze il nascente ordine religioso di S. Domenico (Repetti, 1847).
Nel Decameron, nella settima novella della IV giornata, si ricorda che a San Gallo, poco fuori l'omonima porta, vi erano una Chiesa, un Convento e un Ospedale di San Gallo, preso cui la domenica, la prima di ogni mese, si andava a prendere la "perdonanza", ovvero l'indulgenza.
L'ospitale di San Gallo è anche citato nella tenzone tra Dante e Forese, datata tra il 1283 e 1284, dalla quale pare che lo stesso Dante andò a mendicare all'ospitale e pure vi vendette un credito ipotecario del padre appena defunto. Forese si rivolge infatti a Dante dicendogli di restituire le "robe", probabilmente panni e coperte, ricevute in elemosina a San Gallo nel momento del bisogno. Dante, in tale prospettiva, avrebbe partecipato in gioventù alle dispendiose feste tipiche dell'ambiente intellettuale fiorentino, in cui sarebbe stato introdotto dall'amico Cavalcanti, sino a dissipare le proprie risorse e la cassa familiare, tanto da dover ricorrere al caritatevole aiuto dell'ospizio fiorentino.
Dal 1463 la struttura fu incorporata con tutti i suoi beni ed entrate dall'Ospedale degli Innocenti mediante un atto del Pontefice Pio II. Nel 1493, nello stesso luogo ove sorgeva l'ospedale, Lorenzo il Magnifico volle la costruzione in di un convento per i frati Agostiniani col disegno e la direzione del celebre architetto fiorentino Giuliano de' Giamberti, a cui proprio per la bellezza dell'opera fu dato il nome di Giuliano da San Gallo. Il convento venne poi distrutto nel 1528 per ordine della Signoria, quando con l'affermarsi del potere di Carlo V, iniziarono i preparativi per la difesa della città ed i lavori per il completamento delle fortificazioni iniziate nel 1521 per ordine del cardinale Giulio de' Medici. La struttura fu così atterrata assieme ad altri edifici pubblici posti in altura o in luoghi che potevano essere occupati e sfruttati a danno della città da eventuali assedianti (Repetti, 1847).
Dal 1540 al posto dell'edificio fu costruita probabilmente una casetta o una villa con un po' di terreno annesso, che sotto il Granducato di Toscana pare servisse come luogo di riposo per i dipendenti del palazzo granducale (Fiorelli, Venturi, 2004).
Nel 1638, Ferdinando II, donò il bene all'Ordine degli Scolopi, che destinarono il fondo a sede del noviziato. Nel 1659 furono iniziati i lavori d'ampliamento che videro la villetta trasformarsi in una piccola Chiesa, ancora oggi visibile, dedicata alla Madonna del Suffragio, ed accanto vi fu edificato un nuovo edificio di due piani con foresteria, biblioteca ed oratorio, atto ad ospitare la
comunità religiosa. Nel 1719, sino al 1735, iniziarono i nuovi lavori di ristrutturazione, duranti i quali furono realizzate le decorazioni alla base delle colonne e dell'altare e gli affreschi della cupola ad opera di Matteo Bonechi. Probabilmente l'ospitale inizialmente fu sotto il controllo diretto dei cavalieri del Tau di Altopascio, successivamente la magione venne concessa in livello a personaggi e famiglie fiorentine iscritte nell'ordine, tra cui gli Strozzi e i Capponi (Bargellini, 1985).
Dal punto di vista architettonico l'ospitale al tempo della sua fondazione doveva essere costituito semplicemente da una o più case d'accoglienza di modeste dimensioni, non distinguibili tipologicamente e funzionalmente da altri edifici coevi (Moretti, 1989).
Progressivamente la struttura si ampliò e si attrezzò di locali differenziati per l'accoglienza di uomini, donne ed orfani, attraverso aggiustamenti progressivi e graduali (Stopani, 1999)
La maggiore attività del "Pellegrino" è probabilmente da legare al periodo immediatamente successivo alla sua costruzione. Furono infatti il XII e il XIII secolo i momenti di maggior espansione per le strutture ospitaliere, inoltre in Toscana, in particolar modo nei pressi dei centri urbani, già dal XII secolo si cominciarono da affermare alcune strutture d'ospitalità private, quali locande, alberghi e fondachi a danno degli ospedali e di altre forme di accoglienza. Anche se in parte dovevano essere diversi i fruitori delle due strutture, l'espansione progressiva delle prime determinò la fine, verso il XV secolo, di gran parte degli ospedali associati alla rete stradale. Difatti la struttura dopo la distruzione del 1528 perse la sua funzione assistenziale e con i lavori di ricostruzione sotto il graducato, si trasformò in alloggio per gli inservienti del palazzo e successivamente in noviziato.
BIBLIOGRAFIA:
P. BARGELLINI, Le strade di Firenze, Roma: Bonechi, 1985, Vol: 1-2.
D. BALESTRACCI, 1989, Per una storia degli ospedali di contado nella Toscana fra XIV e XVI secolo. Strutture, arredi, personale, assistenza, in La società del bisogno. Povertà e assistenza nella Toscana medievale, a cura di G. Pinto, Firenze, pp. 37-59.
G. BOCCACCIO, Decameron, a cura di Vittore Branca, Torino, Enaudi, 1980, 1 vol, p 549.
P. FIORELLI, M. VENTURI, 2004, Stradario storico e amministrativo del Comune di Firenze, Firenze: Polistampa, 2004
I. MORETTI, 1989, Linee di indagine per lo studio dell'architettura ospedaliera nel Medioevo, in I templari: mito e storia, a cura di C. Minucci, E Sardi, Sinalunga, pp. 211-222.
I. MORETTI, 1998, Ospedale, in Enciclopedia dell'Arte Medievale, vol. VIII, pp. 906-917.
E. REPETTI, 1847, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze, vol IV, pp. 92-94
R. STOPANI, 1999, Firenze e i primi Giubilei, un momento di storia fiorentina della solidarietà, Centro di Studi Romei, Firenze, pp-31-35
R. STOPANI, 2000, Il Mugello, L'"Alpe fiorentina" e le vie per Roma, in De Strata Francigena, Le vie romipete del Mugello, pp 7-14.
A. ULERI, 2006, Il Pellegrino, il comune di Pellegrino da Careggi alle porte di Firenze, Firenze: Pagnini editore, pp
L'Ospedale dei pellegrini a Canterbury
La cattedrale di Canterbury è uno dei bellissimi e importanti luoghi dichiarati patrimonio dell’umanità. Il suo attuale aspetto in stile gotico nasce dal totale rifacimento avvenuto nel 1174 ad opera di un architetto francese dopo che un incendio l’aveva completamente distrutta.
Ma la più antica chiesa della città e quindi il primo luogo di culto cristiano del Kent era stata la modesta Chiesa di San Martino creata dal vescovo francese Liuthard. Siamo alla fine del sesto secolo quando il re sassone Etelberto sposa una giovane francese, Berta, figlia del re di Parigi Cariberto, di religione cristiana. Incuriosito dai contenuti della nuova religione il re sassone consente alla moglie di creare una sua piccola comunità di culto e finisce per chiedere al papa Gregorio di mandare dei missionari. Roma risponde con l’invio di Agostino ( Sant’Agostino di Canterbury ) che era il priore del monastero di Sant’Andrea al Celio e di 40 monaci. Il compito appare molto arduo e Agostino viene sostenuto da Eterio vescovo di Arles che lo consacra vescovo, e la delegazione arriverà senza problemi anzi sarà ricevuta dal re in persona. Il nuovo vescovo opera nella città oltre alla professione religiosa anche un rinnovamento strutturale e, con la successiva conversione del re, costruisce una nuova chiesa, un convento e istituisce una scuola. Nel 601 il papa gli invia la sacra stola, il Pallium, come simbolo ufficiale della sua posizione di arcivescovo. Arriveranno anche testi sacri, reliquie ed il sostegno di altri due prelati Mellito e Giusto che successivamente saranno vescovi di Londra e di Rochester. L’opera di evangelizzazione comunque incontra molte difficoltà a causa delle diverse tradizioni, e dal successore Lorenzo la chiesa troverà nel corso dei secoli non pochi motivi di conflitto con il potere.
Il vescovo di Canterbury più conosciuto e nominato rimane Sigerico. A lui si ricollega la storia del pellegrinaggio per il suo viaggio a Roma nel 990 per ricevere il suo Pallium da papa Giovanni XV. Una preziosa testimonianza scritta delle sue 80 tappe del suo viaggio di ritorno è diventata la base per il tracciato ufficiale della attuale Via Francigena.
Arriviamo al periodo della dominazione normanna, quando nel 1066 il re Guglielmo chiama come vescovo di Canterbury Lanfranco di Pavia, un maestro ed eminente figura nel campo teologico.
A lui segue chiamato da Guglielmo II il Rosso nel 1093, Anselmo ( Sant’Anselmo di Aosta 1033 – 1109) che era stato discepolo di Lanfranco. E’ il famoso Anselmo d’Aosta, uno dei padri della Scolastica, eminente figura di studioso che si trova anche a dover affrontare i problemi fra il papato ed i re Guglielmo II e poi Enrico I. Infatti papa Gregorio era morto in esilio a Salerno nel 1085 , e l’antipapa Clemente III era nelle simpatie del re Guglielmo. Anselmo è così costretto ad andare in esilio più volte perché il re voleva esercitare direttamente il suo potere sulla chiesa. E’ un lungo conflitto che dura anche con la salita al trono di Enrico I nel 1100 ma che al tempo stesso non gli impedisce di onorare la sua grande opera: la prima sintesi efficace dei procedimenti filosofici con quelli puramente teologici.
Quando ad Anselmo succede Tommaso ( San Tommaso Becket 1118 – 1170 ) i rapporti fra il potere e la chiesa sembrano migliorare. Il nuovo vescovo è un personaggio del luogo in grande amicizia con il re con il quale condivide una vita piena di agi; in seguito, dopo la scelta di una vita religiosa più rigorosa, nasce un nuovo grande contrasto. Anche lui si allontana più volte in esilio e proprio al ritorno di un lungo periodo di sette anni , viene assassinato proprio dai sicari del re nella cattedrale durante il rito religioso. Il fatto lascia un segno così profondo nella popolazione che il papa Alessandro III solo tre anni dopo nel 1173 proclama Tommaso Becket santo e martire della chiesa.
La devozione a questa figura si diffonde in tutta l’Inghilterra nonostante la proibizione del re Enrico II di celebrarne la festa del 29 dicembre. Nascono pellegrinaggi verso Canterbury che provengono da tutte le direzioni; uno di questi è raccontato da G. Chaucer nel 1388: ‘ I racconti di Canterbury’.
Da parte di un semplice cittadino Edward Fitz Odbold l’iniziativa di creare un edificio per ospitare i pellegrini e nel 1175 inizia la costruzione dell’ospedale S. Thomas. L’ospedale si trova tuttora all’interno della città sul fiume Stour infatti viene anche chiamato East- Bridge Hospital. Gli elementi costruttivi del 12° secolo che si sono conservati sono al piano terreno dove si può apprezzare un ambiente con soffitto a volte sorrette da pilastri, e al piano superiore in una sala a due navate con una cappella in fondo posizionata ad angolo retto. La parte dell’ospedale rivolta verso il fiume è mostra l’aspetto del secolo XVI. L’ospedale ha accolto i pellegrini per molti anni con lo spirito della sola accoglienza e senza particolari leggi; ma nel XIV secolo, durante il regno di Edoardo III è stato creato dall’arcivescovo John Stratford un codice di regole. Ogni pellegrino poteva essere accolto nell’alloggio per una notte al costa di quattro pence , il pellegrino bisognoso di cure aveva la precedenza. L’ospedale continuò nella sua attività anche quando nel regno di Enrico VIII ed Edoardo IV vennero chiusi tutti i monasteri nonostante i pellegrinaggi alla tomba di San Tommaso Becket fossero ormai rari, l’arcivescovo Matthew Parker nel 1569 con nuove regole mantenne dodici posti letto per il povero viandante e creò una scola per ragazzi non abbienti. La scuola è rimasta attiva fino al 1879.
Un altro ospedale, il San John, era stato fondato dall’arcivescovo Lanfranc nel 1084 ma con la sola destinazione per le persone indigenti e per i malati. Oggi si chiama Almshouse , si trova sulla Noorthgate Street. Ha un portale in stile Tudor , ma nel cortile si possono individuare le rovine dell’impianto medievale che dimostrano anch’esse lo stile della sala allungata con la cappella a due navate inserita ad angolo retto.
Thomas Stearn Eliot (St. Louis, Missuri 1888 – Londra 1965 ) nell’onorare la sua conversione alla fede cristiana, nel 1935 scrive un dramma teatrale ‘Assassinio nella Cattedrale’ nel quale racconta la vicenda offrendo momenti di elevata espressione drammatica. Il dramma viene rappresentato per la prima volta nel giugno dello stesso anno proprio nella sala capitolare della Cattedrale di Canterbury.
Ildebrando Pizzetti usa il testo di Eliot per la sua opera lirica rappresentata al Teatro alla Scala di Milano nel 1954 con la direzione di Gianandrea Gavazzeni. E’ anche questa un’opera di grande poesia dove lo stile vocale raggiunge in più punti un alto grado di purezza. Un prezioso accostamento fra arte e religione oltre ad una delicata citazione dello spirito del teatro greco già presente in Eliot.
Un Film di Peter Glenville con il titolo Becket è stato interpretato da Richard Burton e Peter O’Toole.
Girolamo da Treviso (1497 – 1544 ) ci mostra Tommaso Becket in un dipinto che si trova nella chiesa dei S.S. Salvatore a Bologna.
Nella chiesa di S. Francesco a San Miniato al Tedesco un affresco del XIV secolo rappresenta San Anselmo di Aosta
Bibliografia
G.M. Trevelyan: Storia d’Inghilterra
Norman Davies: Storia d’Inghilterra
Severino: Storia della filosofia medioevale
Gelli: Dizionario dell’opera
Dankwart Leistikow: Storia dell’Architettura ospedaliera
Ma la più antica chiesa della città e quindi il primo luogo di culto cristiano del Kent era stata la modesta Chiesa di San Martino creata dal vescovo francese Liuthard. Siamo alla fine del sesto secolo quando il re sassone Etelberto sposa una giovane francese, Berta, figlia del re di Parigi Cariberto, di religione cristiana. Incuriosito dai contenuti della nuova religione il re sassone consente alla moglie di creare una sua piccola comunità di culto e finisce per chiedere al papa Gregorio di mandare dei missionari. Roma risponde con l’invio di Agostino ( Sant’Agostino di Canterbury ) che era il priore del monastero di Sant’Andrea al Celio e di 40 monaci. Il compito appare molto arduo e Agostino viene sostenuto da Eterio vescovo di Arles che lo consacra vescovo, e la delegazione arriverà senza problemi anzi sarà ricevuta dal re in persona. Il nuovo vescovo opera nella città oltre alla professione religiosa anche un rinnovamento strutturale e, con la successiva conversione del re, costruisce una nuova chiesa, un convento e istituisce una scuola. Nel 601 il papa gli invia la sacra stola, il Pallium, come simbolo ufficiale della sua posizione di arcivescovo. Arriveranno anche testi sacri, reliquie ed il sostegno di altri due prelati Mellito e Giusto che successivamente saranno vescovi di Londra e di Rochester. L’opera di evangelizzazione comunque incontra molte difficoltà a causa delle diverse tradizioni, e dal successore Lorenzo la chiesa troverà nel corso dei secoli non pochi motivi di conflitto con il potere.
Il vescovo di Canterbury più conosciuto e nominato rimane Sigerico. A lui si ricollega la storia del pellegrinaggio per il suo viaggio a Roma nel 990 per ricevere il suo Pallium da papa Giovanni XV. Una preziosa testimonianza scritta delle sue 80 tappe del suo viaggio di ritorno è diventata la base per il tracciato ufficiale della attuale Via Francigena.
Arriviamo al periodo della dominazione normanna, quando nel 1066 il re Guglielmo chiama come vescovo di Canterbury Lanfranco di Pavia, un maestro ed eminente figura nel campo teologico.
A lui segue chiamato da Guglielmo II il Rosso nel 1093, Anselmo ( Sant’Anselmo di Aosta 1033 – 1109) che era stato discepolo di Lanfranco. E’ il famoso Anselmo d’Aosta, uno dei padri della Scolastica, eminente figura di studioso che si trova anche a dover affrontare i problemi fra il papato ed i re Guglielmo II e poi Enrico I. Infatti papa Gregorio era morto in esilio a Salerno nel 1085 , e l’antipapa Clemente III era nelle simpatie del re Guglielmo. Anselmo è così costretto ad andare in esilio più volte perché il re voleva esercitare direttamente il suo potere sulla chiesa. E’ un lungo conflitto che dura anche con la salita al trono di Enrico I nel 1100 ma che al tempo stesso non gli impedisce di onorare la sua grande opera: la prima sintesi efficace dei procedimenti filosofici con quelli puramente teologici.
Quando ad Anselmo succede Tommaso ( San Tommaso Becket 1118 – 1170 ) i rapporti fra il potere e la chiesa sembrano migliorare. Il nuovo vescovo è un personaggio del luogo in grande amicizia con il re con il quale condivide una vita piena di agi; in seguito, dopo la scelta di una vita religiosa più rigorosa, nasce un nuovo grande contrasto. Anche lui si allontana più volte in esilio e proprio al ritorno di un lungo periodo di sette anni , viene assassinato proprio dai sicari del re nella cattedrale durante il rito religioso. Il fatto lascia un segno così profondo nella popolazione che il papa Alessandro III solo tre anni dopo nel 1173 proclama Tommaso Becket santo e martire della chiesa.
La devozione a questa figura si diffonde in tutta l’Inghilterra nonostante la proibizione del re Enrico II di celebrarne la festa del 29 dicembre. Nascono pellegrinaggi verso Canterbury che provengono da tutte le direzioni; uno di questi è raccontato da G. Chaucer nel 1388: ‘ I racconti di Canterbury’.
Da parte di un semplice cittadino Edward Fitz Odbold l’iniziativa di creare un edificio per ospitare i pellegrini e nel 1175 inizia la costruzione dell’ospedale S. Thomas. L’ospedale si trova tuttora all’interno della città sul fiume Stour infatti viene anche chiamato East- Bridge Hospital. Gli elementi costruttivi del 12° secolo che si sono conservati sono al piano terreno dove si può apprezzare un ambiente con soffitto a volte sorrette da pilastri, e al piano superiore in una sala a due navate con una cappella in fondo posizionata ad angolo retto. La parte dell’ospedale rivolta verso il fiume è mostra l’aspetto del secolo XVI. L’ospedale ha accolto i pellegrini per molti anni con lo spirito della sola accoglienza e senza particolari leggi; ma nel XIV secolo, durante il regno di Edoardo III è stato creato dall’arcivescovo John Stratford un codice di regole. Ogni pellegrino poteva essere accolto nell’alloggio per una notte al costa di quattro pence , il pellegrino bisognoso di cure aveva la precedenza. L’ospedale continuò nella sua attività anche quando nel regno di Enrico VIII ed Edoardo IV vennero chiusi tutti i monasteri nonostante i pellegrinaggi alla tomba di San Tommaso Becket fossero ormai rari, l’arcivescovo Matthew Parker nel 1569 con nuove regole mantenne dodici posti letto per il povero viandante e creò una scola per ragazzi non abbienti. La scuola è rimasta attiva fino al 1879.
Un altro ospedale, il San John, era stato fondato dall’arcivescovo Lanfranc nel 1084 ma con la sola destinazione per le persone indigenti e per i malati. Oggi si chiama Almshouse , si trova sulla Noorthgate Street. Ha un portale in stile Tudor , ma nel cortile si possono individuare le rovine dell’impianto medievale che dimostrano anch’esse lo stile della sala allungata con la cappella a due navate inserita ad angolo retto.
Thomas Stearn Eliot (St. Louis, Missuri 1888 – Londra 1965 ) nell’onorare la sua conversione alla fede cristiana, nel 1935 scrive un dramma teatrale ‘Assassinio nella Cattedrale’ nel quale racconta la vicenda offrendo momenti di elevata espressione drammatica. Il dramma viene rappresentato per la prima volta nel giugno dello stesso anno proprio nella sala capitolare della Cattedrale di Canterbury.
Ildebrando Pizzetti usa il testo di Eliot per la sua opera lirica rappresentata al Teatro alla Scala di Milano nel 1954 con la direzione di Gianandrea Gavazzeni. E’ anche questa un’opera di grande poesia dove lo stile vocale raggiunge in più punti un alto grado di purezza. Un prezioso accostamento fra arte e religione oltre ad una delicata citazione dello spirito del teatro greco già presente in Eliot.
Un Film di Peter Glenville con il titolo Becket è stato interpretato da Richard Burton e Peter O’Toole.
Girolamo da Treviso (1497 – 1544 ) ci mostra Tommaso Becket in un dipinto che si trova nella chiesa dei S.S. Salvatore a Bologna.
Nella chiesa di S. Francesco a San Miniato al Tedesco un affresco del XIV secolo rappresenta San Anselmo di Aosta
Bibliografia
G.M. Trevelyan: Storia d’Inghilterra
Norman Davies: Storia d’Inghilterra
Severino: Storia della filosofia medioevale
Gelli: Dizionario dell’opera
Dankwart Leistikow: Storia dell’Architettura ospedaliera