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Cronache di Cammini - Anno 1° - Numero 0 - Ottobre 2011

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     in questo numero
:
     Editoriale della redazione
    Cronaca di una ricerca di Alcina Masetti
    Peretola e la Chiesa di Santa Maria di Carlo Barducci
    L'Ospedale di Santa Cristina a Somport di Niccolò Mazzucco
    Il ginocchio del pellegrino di Luciano Mazzucco
    Deviazione a Montalcino di L.Mazzucco
    Da Firenze a LaVerna di Niccolò Mazzucco
    Storia di una freccia di Luciano Mazzucco
     Di seguito puoi vedere il giornale in formato sfogliabile, scaricare in formato .pdf   il NUMERO COMPLETO o gli ARTICOLI SINGOLI del numero zero

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Cronache di Cammini n°0 ottobre 2011

Ci aspettano tanti sentieri

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  Dopo qualche esperienza di lunghi pellegrinaggi, non lasciamo il nostro bastone a riposo. Oggi possiamo utilizzare abbigliamenti di tessuto tecnico, camminare con scarpe specializzate, utilizzare supporti tecnologi, tanto che i sentieri sembrano venirci incontro quasi più belli, certamente più facili.

Andremo a trovare vecchie strade, e cercheremo di studiare nuove soluzioni per far rivivere gli antichi percorsi, quelli che sono stati cancellati dalle superstrade, dall’ appropriazione di privati e a volte anche soffocati dalla natura stessa.

   Nelle soste non saranno solo i panorami alla vista del nostro riposo, ma guardando i vecchi edifici, scopriremo i lasciti dell’antichità, cercheremo le storie dei nomi e gli echi delle tradizioni.

   Le antiche prove dei pellegrini e dei viandanti che hanno portato assieme alla loro fatica le notizie di luoghi lontani, di pensieri diversi, possono ancora essere una fonte di esperienza.

   Sono esperienze della cui importanza è ben consapevole chi ha potuto conoscere e condividere i valori che si vivono sui ‘cammini’ .

   Quindi ci occuperemo di itinerari, di soste, di indagini e ricerche, approfondimenti e riflessioni, ma anche di informazioni tecniche e specifiche di sostegno all’azione del camminare ed alla attività fisica che deve essere vissuta con l’attenzione necessaria al miglioramento della propria salute.

 Tutto ciò per essere scritto, poi letto e ancora di nuovo riportato a camminare.

                                                                                                                          La Redazione


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Cronaca di una ricerca

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  Avendo avuto il privilegio di riscoprire, come pellegrina, la Via degli Abati, quella strada che dal monastero di Bobbio fondato da San Colombano nel 614, consentiva ai monaci di mantenere i contatti con Roma,  non potevo, nel mio viaggio in Irlanda, trascurare l’opportunità di dedicare un po’ di tempo del mio soggiorno alla ricerca di qualche testimonianza del santo nella sua patria.
Avevo a questo proposito portato con me una annotazione tratta da un testo sul monachesimo, e quindi sarei andata alla ricerca di un libro ‘ il Cathach ‘ , un manoscritto di salmi in latino attribuito proprio a San Colombano ed un particolare fregio, incipit della frase di un salmo.
Alla prima ricerca le informazioni che riesco a raccogliere sono poco confortanti. Infatti mi viene suggerito di correggere la mia richiesta, indicandomi che si chiama ‘The Book of Kell ‘ il preziosissimo testo per il quale ogni giorno si forma una lunga fila di visitatori presso il Trinity College a Dublino, libro di provenienza dallo scriptorium del monastero fondato a Iona nel 561 da San Colomba.
Il nome del monaco e le date sono compatibili, ma quello del testo sembra troppo diverso!

   E infatti alla visita al Museo ho la conferma perché quel volume è una copia dei quattro vangeli basata sulla edizione “ Vulgata“ completata da San Girolamo nel 384 e non quella raccolta di salmi che cercavo. 
   La mostra dedicata al libro è interessante e molto curata con grandi pannelli divulgativi; una fila di turisti può sostare qualche minuto di fronte alla bacheca di vetro dove il libro è conservato e aperto su due pagine che mostrano le ricche le decorazioni e i disegni interlineari, ma certamente quello non è il Cathach. Inoltre sulla data e sulla attribuzione ci sono alcune citazioni discordanti.
   Inutile proseguire la ricerca alla National Library; in quel momento si svolge una mostra sul poeta Yeath che prende tutta l’attenzione della persona che ero riuscita a contattare per una piccola collaborazione.
    E da sola, con la mia limitata conoscenza della lingua, non era il caso di dimostrare ambizioni.
    E poi il mio riferimento parlava di una biblioteca, della Accademia Reale di Dublino che nessuno sapeva indicarmi. Pensavo già di avere preso quell’ abbaglio che a volte, per il troppo entusiasmo, mi fa vedere nelle mie ricerche quello che non c’è.
    Ma la biblioteca della Accademia Reale di Dublino esiste, si trova in Dawson street al n. 19. Era necessario farla precedere dalla parola Irish, pronunciarla in modo corretto, e mi sarebbe stata indicata da tutti senza dover ricorrere all’aiuto di una assistente turistica italiana ( gentilissima! ).
    Eccomi quindi al n. 19 di Dawson street; ma proprio nel momento in cui si apre la strada alla mia ricerca vengo presa da una certo imbarazzo. L’entrata dell’edificio è elegante e mostra tutto il suo prestigio e all’ingresso vengo investita dallo sguardo rispettoso di impiegati in abito scuro. Io sono vestita da trekking e mi servo di uno zaino ( nel pomeriggio è in programma una escursione al paese di Kildare per visitare la cattedrale dedicata a Santa Brigida), ma appena ho pronunciato la parola ’Cathach’ il disagio si è dissolto.
In realtà non ho pronunciato il nome del libro; di fronte all’impiegato ho aperto lo zaino, ho tolto l’agenda e ho scritto a grandi lettere il nome: non volevo rischiare tutto con una cattiva pronuncia!
Da quel momento sono stata considerata come un’ospite, una amica che era presentata da amici in comune. Passata dalla guida di una persona ad un altra, sempre non capendo una parola, sono stata condotta di fronte ad una bacheca di vetro nascosta da un panno di pelle. Posso ammirare un antico e prezioso libro, ma non ne comprendo il motivo perchè non è quello; è datato VIII secolo e San Colombano è morto nel 615.
Forse sono stata sottoposta come a un test di controllo, o forse più semplicemente mi è stato presentato un altro dei loro tesori, comunque sono subito invitata nella stanza successiva dove mi aspettava la vera bacheca con il vero libro.
 Intorno c’erano dei grandi pannelli di presentazione, forse preparati per una conferenza, da quali ho poi copiato qualche notizia, e nel mezzo dentro la sua bacheca, difeso dal vetro, il libro, il CATHACH, aperto proprio sul disegno che conoscevo e che volevo trovare.
Mi hanno lasciata sola nel rispetto della mia ricerca. Ero molto emozionata e ho dovuto fare un certo sforzo per mantenere la concentrazione. Mi sono ricordata che quel piccolo disegno ha anche il merito di essere uno dei primi esempi di quelle decorazioni che si sono poi sviluppate nel preziosismo dei “Codici Miniati”.
Intanto mi viene indicato che nell’altra sala mi aspettava un testo, una pubblicazione della stessa Accademia, già aperto sulla presentazione di questo loro prezioso tesoro.
La poltroncina di velluto rosso che mi attendeva non aveva il cuscino, ma un cuscino di lino bianco era sul tavolo dove era stato appoggiato il libro.
Perché lì, in quella biblioteca i libri importanti si posano su un cuscino, da noi, anche nelle migliori biblioteche, al massimo troviamo un leggio! 
Lettura interessante, situazione emozionante, e le mie annotazioni trovavano conferma! 
   Inoltre in presenza di tanta grazia avveniva anche un miracolo: delle quattro pagine lette, ancora ne sono sorpresa, comprendevo tutto! Ho capito tutto! infatti nonostante il mio compiacimento, l’emozione e la soddisfazione di essere arrivata a quel punto, non ho potuto evitare di constatare, accettare ed ammettere che l’autore del Cathach non è il nostro San Colombano. 
    E’ invece San Columba di Iona, chiamato anche Colum Cille, nato a Gartan il 7 dicembre 521 , morto a Iona il 9 Giugno 597 mentre il nostro San Colombano nacque intorno al 543 a Natan nella provincia di Leinster e concluse la sua vita a Bobbio nel 615.
    Stessi nomi, stessa epoca, forse il primo è stato maestro del secondo, stesso spessore e intorno alla loro storia è presente anche il nome di Iona, per uno un’isola dove fondò un monastero, per l’altro Giona, il suo biografo.
Ma nessuna ricerca è vana, qualsiasi risultato è come una vittoria, qui due santi si sono confusi insieme per regalarmi una bella emozione.
Lucia Mazzucco

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Peretola e la chiesa di Santa Maria

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  Peretola è un sobborgo alla periferia occidentale di Firenze, risalente all’alto medioevo, ubicato al bivio tra due importanti antiche strade che collegavano Firenze con Lucca e la costa. Tutta la zona fu caratterizzata dalla centuriazione romana, ovvero, una specie di piano regolatore del territorio. La rete viaria che ne derivò mantiene ancora oggi i segni della matrice romana. Sulla viabilità maggiore furono edificate chiese che davano assistenza materiale e spirituale ai viandanti. Al centro del borgo sorse la chiesa di S. Maria. Le due strade quindi, e la presenza della chiesa, stanno a documentare l’importanza di Peretola nella viabilità regionale altomedievale. Nel suo noto dizionario Repetti scrive: “Via Regia Postale lucchese. Codesta strada sostituita ad un tronco della Via Francesca, e secondo alcuni itinerari antichi alla continuazione della Via Clodia diretta fra Lucca e Firenze. Esce da questa ultima città, passa pel borgo di Peretola dal Pian di S.Mammoro a Campi…..”.
La zona antica di Peretola è composta da una stretta strada principale dove si aprono numerose corti e cortili attorno ai quali si dispongono le case secondo l’uso dell’edilizia contadina. La chiesa si trova sulla piazza. Evidenti tracce strutturali sopravvissute alle varie trasformazioni, fanno risalire la chiesa di S.Maria a Peretola intorno al X secolo. La prima notizia scritta riguardante la chiesa ed il Borgo risale al 1178. Altre notizie sono datate 1265 e 1273 e riguardano Cambio da Peretola, priore della chiesa di S. Maria. Peretola fu teatro di continue invasioni degli eserciti in guerra con Firenze e la chiesa costituiva l’unico riparo per la popolazione. Un’alluvione nel 1333 devastò l’abitato e la chiesa. Importanti lavori di recupero e aggiornamento risalgono al XIV secolo. Nonostante le modificazioni eseguite nel corso dei secoli, la chiesa conserva parte delle strutture romaniche. Dal 1449 al 1787 la parrocchia fu amministrata dallo Spedale di Santa Maria Nuova.
Oggi la facciata della chiesa è preceduta da un porticato a colonne toscane, l’interno è ad una sola navata con soffitto a capriate. Dal presbiterio si passa alla sacrestia e da qui ad un cortile quattrocentesco con colonnette ioniche e pozzo centrale. Alla sinistra del complesso c’è la cappella di S. Antonio alla quale si può accedere sia dall’esterno che all’interno. Alla destra del porticato si trova la canonica. La chiesa fu arricchita di molte opere d’arte. Alcune fra le più importanti: ciborio in marmo, bronzo e terracotta invetriata di Luca della Robbia, 1443, proveniente dalla chiesa di S. Egidio in S. Maria Nuova; Fonte battesimale di Simone Ferrucci, 1446; piccolo ciborio del ‘400; affresco di Giusto d’Andrea, 1466, raffigurante S. Antonio Abate tra i Santi Jacopo ed Egidio, 
originariamente in facciata insieme ad altre decorazioni andate perdute; sulla parete destra, nella piccola rientranza dedicata a S.Leonardo, affresco di Domenico di Michelino del 1449.
Poco distante dal Borgo nel 1510 fu edificato l’Oratorio di Maria Vergine della Pietà detto “la Cupolina”, a forma ottagonale sormontato da una cupoletta. Già da un paio di secoli prima sull’antica strada a circa 2 miglia dal borgo, era sorto uno spedale per dare assistenza ai poveri e ai pellegrini, che divenne punto di riferimento per tutti i viandanti di passaggio. All’Archivio di Stato di Firenze è conservata una sbiadita mappa di autore ignoto che traccia la Strada regia che va da Firenze per Prato, Pistoia e Pescia fino al confine di Stato Lucchese. E’ significativo il fatto che nel primo tratto di questa cartina si legga” Cammino del pellegrino”. 
 A proposito dello spedale dello Smannoro Italo Tempestini, autore ottocentesco, in un suo opuscolo intitolato “Campi - Bisenzio, Documenti, Note, Ricordi, e Appunti storici”, scrive che nel 1250 Cenni, figlio di Naddo Rucellai, nella squallida pianura dello Smannoro fondò un piccolo spizio per accogliere i poveri e i pellegrini, che intitolò a S. Bernardo. Poco tempo dopo gli Agostiniani convertirono lo spedale in un piccolo monastero con annessa chiesetta che fu chiamata, e si chiama tuttora, S.Croce allo Smannoro. Gli Agostiniani continuarono l’opera di assistenza ai bisognosi e ai viandanti. 
    La famiglia degli Spini, maggiori proprietari terrieri della zona, aveva il patronato del monastero che fu soppresso secoli or sono. Oggi il complesso è occupato da una casa colonica, da un’officina e rivendita di automobili.
    Ai nostri giorni, transitando sulla Via Pratese in direzione Prato, poco dopo il borgo di Peretola, sulla sinistra, troviamo l’Oratorio di Santa Maria Vergine della Pietà, “la Cupolina, un tempo in aperta campagna e ora in mezzo a due strade di grande scorrimento, quasi a fare da spartitraffico. L’automobilista che prosegue veloce, nemmeno si accorge che a meno di 3 Km. più avanti, alla sua destra si trova il complesso di Santa Croce allo Smannoro. Forse solo qualcuno ne conosce la storia e passando andrà con la mente a quei viandanti e pellegrini stanchi che 700 anni fa, proprio lì, ricevevano cure e ospitalità. E qualche altro passante, dando un’occhiata al piccolo campanile, forse si chiederà: “Chissà questo luogo quante storie avrebbe da raccontarci”.
Carlo Barducci
                                         

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L'Ospedale di Santa Cristina a Somport

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  Il passo di Somport, da summus portus, segna la frontiera tra Francia e Spagna, dando vita alla prima tappa del Camino Aragonés. Qui si trovano i resti di una delle strutture di accoglienza più importanti nella storia del mondo cristiano medievale. Si legge, infatti, nel Liber Sancti Iacobi, (XII secolo) che l’Ospedale di Somport fosse, assieme all’ospedale di Gerusalemme e del Gran San Barnardo, una delle tre principali strutture al mondo per l’accoglienza dei pellegrini.

Secondo la leggenda l’ospitale fu fondato durante il regno di Wamba, sovrano visigoto vissuto tra il 600 e il 688, per opera di un gruppo di monaci benedettini. Si racconta che il luogo ove costruire l’ospitale fu indicato ai religiosi dall’apparizione di una colomba dal cui becco pendeva una croce dorata. Al di là dalle tradizioni folkloriche – la presenza di una colomba a indicare il luogo di fondazione è una leggenda ricorrente anche tra le abbazie e i monasteri della penisola –pare che dietro la fondazione dell’ospedale vi fu la figura del visconte Gaston IV di Bearn e della sua consorte Talesa, figlia del conte Sancho Galindez, fratello del sovrano d’Aragona.

L’edificazione, mossa direttamente dalle volontà dei più grandi poteri della regione, ci indica probabilmente l’esistenza – già ben prima dell’anno mille – di un notevole flusso di viaggiatori e pellegrini attraverso il passo di Somport, luogo tutt’altro che ospitale, soprattutto d’inverno, per via delle pesanti e continue nevicate. Attraversare i Pirenei in quel periodo significava esporsi a settimane e settimane di intemperie, richiedendo necessariamente l’esistenza di strutture di accoglienza per facilitare il traffico umano.

Questa tipologia di strutture tuttavia iniziò a diffondersi solo dalla fine del IX secolo. In Spagna, ad esempio, la più antica è l’ospedale di Orense, nei pressi di Compostela. Prima dell’anno mille, in assenza di specifici ricoveri, chi si occupò di offrire le basilari funzioni di accoglienza furono monasteri e chiese.

La costruzione di Santa Cristina di Somport si inserisce probabilmente all’interno di questo piano di accoglienza che tanto i pellegrini quanto istituzioni laiche ed ecclesiastiche, favorirono e fomentarono, non solo con la costruzione di ospitali, ma anche con la creazione di strade, pozzi, ponti, locande, chiese, oratori, santuari, etc.

Bisogna pensare che il pellegrinaggio fosse già al tempo – come lo è adesso – un movimento non solo a carattere religioso, ma anche economico. In tal senso, è rilevante ricordare che a fine ‘200, quando i flussi di pellegrini cessarono di fare scalo a Marsiglia nel loro viaggio verso la Terra Santa, per via della minaccia turca, il porto francese subì uno dei più violenti momenti di crisi della sua storia. Il pellegrinaggio, poiché capace di muovere migliaia di persone, assunse presto una rilevanza strategica anche a livello economico.

Non deve stupire che nella fondazione dell’ospedale di Somport siano coinvolte figure del calibro di conti e sovrani, rappresentando il pellegrinaggio un importante impulso allo sviluppo economico e demografico per le regioni attraversate. I numeri legati al pellegrinare, già ai suoi albori, erano tutt’altro che insignificanti: si parla di un movimento di migliaia di persone l’anno e non solo per i centri maggiori, come Roma o Gerusalemme. Per Santiago di Compostela, in periodo medievale, si parla addirittura tra i 500.000 e i un milioni di pellegrini l’anno.

Alcuni studiosi affermano che la stessa diffusione dello stile romanico nell’architettura e nell’arte, abbia avuto un importante significato politico. L’assunzione a macchia d’olio in tutta Europa dello stile e l’iconografia dei grandi ordini religiosi francesi – vedi i monaci cluniacensi e lo sviluppo del romanico e successivamente la relazione tra ordine cistercense e gotico – non fu un processo vivo unicamente a livello artistico, come espressione di un nuovo gusto figurativo e una precisa concezione religiosa, ma ebbe sicuramente un preciso significato a livello economico. Nel nord della Spagna (Aragona, Catalogna, Paesi Baschi) l’adozione del romanico come canone artistico e costruttivo assunse un importante valore a livello politico, come atto diplomatico, nel tentativo di agevolare e promuovere eventuali investimenti per opera degli ordini francesi nel territorio spagnolo.

L’ Ospedale di Somport, pur nel suo piccolo, rientra all’interno di questo quadro storico, culturale ed economico. A riprova di ciò, si può evidenziare l’impegno e il coinvolgimento personale del sovrano di Aragona nel mantenimento e nella protezione di questa struttura. Esiste un documento, il Cartulario, rinvenuto negli archivi di Huesca, che dichiara che tutti gli ospedalieri e gli occupanti della struttura godessero della protezione diretta della corona e che chiunque si fosse messo contro di loro, o avesse provato a recar loro danno, si sarebbe messo contro il Re.

Alcune recenti campagne archeologiche hanno messo in luce i resti dell’ospedale e della chiesa di Santa Cristina, già superficialmente scoperti nei primi del secolo. Oggi è possibile osservare quelli che sono i resti dell’antica pieve romanica, di cui si nota la struttura semicircolare dell’abside, i resti del monastero (addossato alla chiesa) e del palazzo del priore. Sul lato opposto si trova invece il vero e proprio ospitale (caduto in disuso attorno al XIV secolo) mentre al di fuori del recinto esteriore si trova un piccolo cimitero.

Per quanto i resti siano tutt’altro che monumentali, è possibile apprezzarne a pieno la bellezza immaginando la complessità di quei processi che portarono alla costruzione di un luogo sacro di tale importanza a 1600 metri di quota; tali indecifrabili e lontani processi, in bilico tra sacro e profano, vollero che Somport entrasse a far parte della storia del pellegrinaggio come Unum Tribus Mundi: uno dei tre pilastri della carità cristiana medievale.

Bibliografia essenziale

Durán-Gudiol A., 1986, El hospital de Somport entre Aragón y Bearn (siglos XII y XIII), Colección básica aragones 50, Guara Editorial

Stanford J., 1994, Some Approaches to the Archaeology of Christian Pilgrimage, World Archaeology, Vol. 26, No. 1: 57-72

Niccolò Mazzucco


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Il ginocchio del pellegrino

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  Spesso durante il Cammino mi è stato chiesto il perché del dolore alle ginocchia, soprattutto durante la discesa dei sentieri, specie se acciottolati ed insicuri. E’ un situazione che un po’ tutti hanno provato, soprattutto se il cammino è molto prolungato. Questo fatto può essere spiegato ma, per rispondere a questa domanda, occorre fornire qualche dettaglio sul funzionamento del ginocchio, anche se con la massima semplicità.

Il ginocchio è una articolazione fra due segmenti dell’arto inferiore, la coscia e la gamba, o più precisamente fra il femore e la tibia, che sono le ossa che costituiscono questi tratti.

Le articolazioni, in generale, sono costituite da due ossa (o più) che sono in rapporto per potersi muovere nello spazio. Per fare questo le ossa hanno bisogno di strutture di sostegno (capsula articolare, ligamenti, altri elementi di stabilizzazione, ecc.) che pur permettendo il movimento previsto [ed impedendo i movimenti anomali] garantiscono la stabilità dell’articolazione e di strutture di movimento quali i muscoli. Inoltre le superfici articolari sono completamente rivestite di cartilagine, un tessuto biancastro, lucido, elastico che permette il contatto e lo scivolamento delle superfici articolari.

I gruppi muscolari più importanti in gioco nell’arto inferiore sono il quadricipite per la coscia (in pratica 4 muscoli che si riuniscono in uno) ed il polpaccio per la gamba: questi due gruppi con due azioni opposte ma contemporanee permettono la stazione eretta, il quadricipite mantenendo estesa la gamba sul ginocchio ed il polpaccio mantenendo flesso il piede, opponendosi al peso e alla forza di gravità e quindi garantendo la postura (sono anche detti muscoli posturali). Entrano anche in gioco gruppi muscolari di azione opposta: i muscoli posteriori della coscia (che flettono la gamba sulla coscia) ed i muscoli anteriori della gamba (che estendono il piede). Questi muscoli “opposti” [detti anche antagonisti] entrano più che altro in gioco nella funzione del cammino, dove è necessaria sia la postura eretta, sia il gioco del passo con l’alternanza tipica dell’andatura bipede.

    Per un miglior svolgimento del passo entra molto in gioco la funzione della rotula, un piccolo osso, piatto che permette di far funzionare in modo più vantaggioso la leva [di terzo genere, quindi di norma svantaggiosa] del ginocchio: spostando in avanti il tendine rotuleo rispetto alla tibia permette una miglior efficienza (= minor fatica) del movimento di estensione della gamba rispetto alla coscia (vedi figura). In questo movimento la rotula viene compressa contro i condili femorali creando attrito fra le due superfici articolari, rotulea e femorale.

     Nella discesa (più che nella salita) il ginocchio deve opporsi al peso del corpo ( pensate anche allo zaino !) che tenderebbe a far flettere il ginocchio e provocare la caduta dell’individuo; inoltre nel cammino in discesa aumenta la forza peso per effetto anche della gravità (che tenderebbe ad aumentare la velocità) rendendo necessaria una maggior azione frenante del ginocchio. Importante è l’uso del bastone, che aumenta la stabilità dell’appoggio (riducendo il rischio di cadute) e distribuisce lo sforzo del cammino anche agli arti superiori.

Il dolore “rotuleo” nella discesa può essere spiegato con una debolezza dei muscoli che mantengono ben centrata ed in asse la rotula rispetto al femore. La “centratura” della rotula avviene grazie all’equilibrio di fasci muscolari del muscolo della coscia; spesso per motivi di non allenamento, prevalgono i fasci esterni del quadricipite, trascinando un po’ più verso l’esterno la rotula, e determinando uno scorrimento decentrato della rotula e quindi una maggior usura della cartilagine.

Un utile rimedio ma soprattutto prevenzione per chi si appresti a cammini impegnativi, può essere il rinforzo dei muscoli interni della coscia, tramite l’uso della “molla a farfalla”, [detto body power, acquistabile per pochi Euro nei negozi di sport] anche per pochi minuti, più volte al giorno al giorno. Utile anche l’uso della cyclette. Valido ausilio sono gli integratori della cartilagine a base di componenti solforati (metilsulfonilmetano), da assumere per periodi di 30-40 gg. Nei casi importanti si può far ricorso alla fisioterapia, con elettrostimolazioni mirate sui fasci muscolari interni della coscia. Talvolta si può ricorrere ad una ginocchiera in neoprene con foro rotuleo.  Di rado si ricorre ad interventi chirurgici di sbrigliamento delle aderenze dei ligamenti rotulei. Per la diagnosi è sufficiente l’esame clinico coadiuvato da una radiografia del ginocchio in assiale a 45° (proiezione detta a “volo d’uccello”) per studiare la posizione della rotula nella “gola intercondiloidea” del femore.
Luciano Mazzucco

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Da Firenze a La Verna

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  Tappa da Vallombrosa a Cetica.   

In un precedente articolo è stato trattato il percorso da Firenze a Vallombrosa (vedi www.francigenaintoscana.org: Cronaca Francigena n° 8). Vi si descrive il cammino che in pratica inizia a Bagno a Ripoli (Fi), all’arco del Camicia, prosegue per la Chiesa di S. Stefano a Paterno, Via della Bascula e quindi il percorso segnato bianco/rosso, di raccordo con l’Anello del Rinascimento, che porta a Montecucco e alla Croce ai Frati, proseguendo per Moriano, il Bombone e Rignano sull’Arno (Km 21,00. alt. 129 mt). Da qui, per la Via della Marna si giunge alla Pieve di Pitiana, poi proseguendo per strade interne e per il tracciato della vecchia cremagliera si giunge al Saltino e quindi a Vallombrosa (Km 16,2, alt. 959 mt.).

Continuamo la descrizione del cammino da Vallombrosa alla volta di La Verna, passando per Cetica e Bibbiena, considerando la via percorribile a piedi più sicura e più breve, scegliendo fra numerose possibilità.

    Usciti dall’Abbazia si prende, dallo spiazzo accanto alla grande vasca, il percorso CAI n° 9, attrezzato con gradoni in pietra, ringhiere, lungo il cosiddetto “Circuito delle Cappelle”. Dopo circa 500 mt di discreta salita si giunge al “Paradisino” [ex luogo di clausura dei monaci], si attraversa la strada asfaltata [che porta alla Croce Vecchia e in Secchieta] e si prosegue salendo per il sentiero nella foresta di abeti, molto fitta.

    Il sentiero è abbastanza ripido perché in poco più di 3 Km fa superare un dislivello di ben 500 mt., in circa 1 ora e mezza. Abbastanza lineare, con due svolte a sinistra ben segnalate, nei due sensi. All’arrivo alla sommità, troviamo il punto di ristoro del Bar Giuntini all’ inizio della strada panoramica che dalla Secchieta prosegue parallelo al crinale del Pratomagno.

    Si prosegue sull’ampia strada panoramica, sterrata, carrozzabile, che in circa 3,6 Km si tratto pianeggiante o lieve discesa ci porta alla Croce di Cardeto (alt. mt. 1349), proprio sotto il parco eolico; qui si incontra il sentiero di crinale 00, il percorso didattico della foresta di S Antonio, nonchè il sentiero n° 15 che scende a Reggello. Continuiamo per la panoramica e dopo ulteriori 2 Km si giunge al Varco di Reggello (alt. mt. 1354), punto di arrivo del sentiero CAI 16 da Reggello, antico percorso di collegamento fra il Valdarno ed il Casentino.

Qui potremmo prendere il sentiero CAI n°29A per Cetica, ma, essendo questo ormai inagibile per infrascamento, proseguiamo per la panoramica per Km 2,8 fino al bivio a sn per Cetica (alt. mt 1224; Km 11,75, tempo dalla partenza circa 4,5 ore).

Dal bivio la strada, sempre ampia e sterrata,  ci porta con alcuni tornanti a Bagni di Cetica (alt. mt. 1150), dove troviamo la Locanda San Romolo, con annesso un piccolo stabilimento balneare, famoso per le acque gelate curative fin dall’antichità.

La strada prosegue in discesa e dopo un po’ diventa asfaltata, incrociata più volte dal percorso CAI 29 che in sostanza segue la strada, per distanziarsene talvolta in occasione di qualche tornante. In circa 5 Km si arriva a Cetica, dove si può pernottare, per un percorso totale di 18 Km, fattibile in 6 ore, soste escluse.

Cetica, costituita inizialmente da 3 nuclei storici, ha avuto nel tempo l’ aggiunta di numerosi piccoli borghi, disseminati nella valle; località famosa per le castagne, i marroni, i fagioli oltre alla coltivazione delle patate e la raccolta dei funghi. Da visitare la Chiesa romanica di Sant’Angelo, vallombrosana, e l’Eco-Museo del Carbonaio.

    E’ stato recentemente ristrutturato il ponte medioevale sul fiume Solano, in località Casenzi, che anticamente collegava ad un castello, ormai scomparso. Passando su questo ponte, attualmente, si può proseguire il cammino verso Bibbiena, con il sentiero CAI 29 che porta a Quorle, Larniano e Poppi. Nel prossimo numero descriveremo il percorso che ci porterà a raggiungere La Verna, inizio del cammino di Francesco, verso Rieti e Roma.

Accoglienze e Ristori:

Bar Giuntini. Loc. Secchieta. Tel. 055-862042

Bagni di Cetica. Albergo San Romolo. Tel. 0575-555325

Cetica. Affittacamere: Sig.ra Ada Mugnai Maggi. Fraz. La Porta, n° 44. Cetica. Castel S.Niccolò (Ar). 8 Camere, Euro 15 a testa con colazione. Tel.0575-555061.
Niccolò Mazzucco

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Storia di una freccia

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  L’anno 2005 è segnato dal mio incontro con il simbolo di una freccia.

    Sul cammino di Santiago una freccia gialla era il segnale più diffuso ad indicarmi il percorso, una freccia che tanti anni fa, come si racconta, Don Elias Valina, parroco di O Cebreiro cominciò a dipingere intorno al suo ospitale, nelle vicinanze e sempre più in là affinché i pellegrini non perdessero la strada.

   Per la Via Francigena una freccia bianca segnalava la strada verso a Roma, per convenzione, prima che fosse ufficializzato un proprio simbolo. Anch’io, come il prete di O Cebreiro, ho sentito il bisogno di segnare con una freccia bianca quei punti nei quali mi sono trovato in difficoltà quando ho fatto il pellegrinaggio verso Roma.

Così sono tornato nel tratto toscano con un barattolo di vernice bianca ed un pennello, e dove non era possibile lasciare il segno ho disposto a forma di freccia delle  pietre. Ma mi è sembrato necessario lasciare un segno più importante in alcuni luoghi , come un tabernacolo, un antico pilastro , una chiesa abbandonata e così ho preparato delle piastrelle in cemento, a rilievo, con la freccia in campo giallo.

La descrizione di queste piastrelle e le loro foto sono arrivate sul Web, così da poter essere apprezzate anche da chi le ha utilizzate come copertina di un suo libro.  Auguro a quel libro molto successo e che la mia freccia possa indicare in tante case un bellissimo percorso verso una grande meta.

Luciano Mazzucco

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