Peregrinum atque hospitem in agendo esse debere
Cicero De Oratore 1 218
Callimaco
AITIA LIBRO 1
[Ed inoltre] anche questo [ti] ordino: dove non passano i carri pesanti
là cammina. Che non dietro le impronte degli altri
[tu spinga il tuo cocchio,] né per via larga, ma per sentieri
[non calpestat]i, pur se guiderai per strada più angusta”.
[A lui ho ubbidito]: tra quelli cantiamo che il suono acuto
[della cicala] amano e non degli asini il grido.
AITIA LIBRO 1
[Ed inoltre] anche questo [ti] ordino: dove non passano i carri pesanti
là cammina. Che non dietro le impronte degli altri
[tu spinga il tuo cocchio,] né per via larga, ma per sentieri
[non calpestat]i, pur se guiderai per strada più angusta”.
[A lui ho ubbidito]: tra quelli cantiamo che il suono acuto
[della cicala] amano e non degli asini il grido.
Ovidio Metamorfosi, VIII
Filemone e Bauci
Testo tradotto in italiano
Il fiume tacque dopo queste parole. Il fatto prodigioso aveva colpito tutti. Il figlio di Issione deride chi ci crede e, sprezzante com'era nei confronti degli dei e d'animo orgoglioso, disse: "Racconti cose inventate, e credi, Acheloo, che gli dei siano troppo potenti, se danno e tolgono le sembianze".
Rimasero tutti allibiti, e non credettero a tali parole; e prima di tutti Lelege, maturo per animo ed età, così disse: "E' immensa la potenza del cielo e non ha limite, e tutto quello che gli dei superni vogliono è fatto. E perché tu dubiti di meno, c'è nei colli frigi una quercia vicino ad un tiglio, circondata da un piccolo muro. Io stesso vidi il posto; infatti Pitteo mi mandò nella terra di Pelope, una volta governata da suo padre. Non lontano da lì c'è uno stagno, terra un tempo abitabile, ora paludi abitate da smerghi e folaghe palustri. In questo luogo giove sotto spoglie mortali venne e con il padre venne il nipote di Atlante, portatore del caduceo, deposte le ali. In mille case si accostarono, con la richiesta di un luogo per riposare, mille catenacci chiusero le case. Tuttavia una li accolse, seppur piccola e ricoperta da stoppie e canne palustri. Ma la pia vecchia Bauci e Filemone di pari età si erano uniti negli anni giovanili ed erano invecchiati insieme in quella casa; non cercando di nascondere la povertà e sopportandola serenamente la resero accettabile. E non importa che tu cerchi dove siano i servi o i padroni in quella dimora: tutta la casa sono loro due, sono loro stessi ad obbedire e comandare.
27 Dunque, quand'ebbero toccato gli dei la piccola casa e, chinato il capo, passarono per la piccola porta, il vecchio li invitò a riposare le membra, dopo aver porto una panca, sopra la quale la premurosa Bauci gettò un rozzo tessuto. Poi smosse la cenere tiepida sul focolare e ravviva il fuoco del giorno prima, lo alimenta con foglie e corteccia secca e lo fa fiammeggiare col suo fiato di vecchia; portò giù dalla soffitta rami di pino fatti a pezzi e ramaglie secche, li spezzò e li pose sotto un piccolo recipiente di bronzo. E libera dalle foglie un cavolo che suo marito aveva raccolto nell'orto irrigato. Con una forca a due punte stacca una spalla di porco affumicata, che pendeva da una trave annerita, e taglia dalla spalla un tempo messa da parte una fettina, e dopo averla tagliata la mette a cuocere nell'acqua bollente. Intanto ingannano il tempo dell'attesa con discorsi, e impediscono che l'attesa sia avvertita. C'era lì una tinozza di faggio, appesa ad un chiodo per il manico ricurvo: è riempita d'acqua tiepida ed accoglie le membra ( degli dei ) per ristorarle. In mezzo c'è un materasso di morbida ulva, posto su un letto con sponda e piedi di salice. Lo coprono con una coperta, che erano soliti stendere solo nei giorni di festa; ma anche questa coperta era rozza e vecchia, ben adatta al letto di salice. Gli dei vi si accomodarono.
La vecchia prepara la tavola con la veste tirata in su e un po' tremolando. Ma il terzo piede della tavola era diseguale: un coccio lo livellò. E dopo che quello posto sotto il piede eliminò la pendenza pulì la tavola pareggiata la menta fresca.
54 Qui viene posta la bacca bicolore della vergine Minerva ( olive ), corniole autunnali conservate nell'aceto, e cicoria, e un ravanello, una forma di cacio, uova cotte a fuoco lento nella tiepida cenere: tutte queste cose in vasi di terracotta. Dopo questi viene disposto un cratere cesellato del medesimo argento, e coppe fatte di faggio, spalmate di cere bionde dove sono cave. C'è una piccola pausa, ed i focolari mandarono pietanze calde e di nuovo vengono riportati vini di non eccessiva stagionatura, e danno posto alle seconde mense, lasciati per un po' da parte. Ed ecco le noci, ecco i fichi secchi mescolati ai datteri rugosi, le prugne e le mele profumate nei grandi canestri, e le uve raccolte da viti rosseggianti. Nel mezzo c'è un favo candido. Su ogni cosa si aggiunsero i volti sorridenti ed una disponibilità né svogliata né limitata. Nel frattempo vedono che il cratere, ogni volta che è stato svuotato si riempie ed il vino ripullula da sé. Stupiti dalla novità hanno paura, e con le palme rivolte in alto si mettono a pregare Bauci ed il timido Filemone, e chiedono perdono per lo scarso cibo e per non aver preparato nulla. C'era un'unica oca, custode della piccola capanna, che i padroni si preparavano a sacrificare agli dei ospiti. Quella li mette a dura prova, perché è veloce d'ali e loro sono lenti per l'età, e li elude a lungo, ed infine sembrò che si fosse rifugiata proprio dagli dei. Gli dei vietarono che fosse uccisa, e dissero : "Siamo dei, e l'empio vicinato pagherà la giusta punizione. Vi sarà concesso di essere immuni a questo male. Frattanto lasciate la vostra casa, seguite i nostri passi ed andate insieme sulla cima del monte".
Entrambi obbedirono e, appoggiati ai bastoni, si sforzano a procedere per la lunga salita.
85 Erano ormai tanto lontani dalla cima quanto un tiro di freccia: si volsero a guardare e videro tutte le altre case sommerse dalla palude, solo la loro rimase in piedi. E mentre le guardano, mentre compiangono i destini dei loro vicini, quella vecchia casetta, piccola persino per i due padroni, si trasforma in tempio: colonne subentrano ai pali biforcuti, la stoppia del tetto prende riflessi d'oro, e si vede che il tetto è d'oro, le porte cesellate ed il pavimento ricoperto di marmo.
Allora con placido volto il figlio di Saturno proferì queste parole: "Dite quello che desiderate, vecchio onesto e tu, donna degna dell'onesto marito". Dopo aver confabulato poco con Bauci, Filemone rivela agli dei la risposta presa in comune: "Chiediamo di essere sacerdoti e di custodire il vostro tempio e, poiché siamo vissuti in concordia, il medesimo momento ci porti via entrambi, possa non vedere mai il sepolcro di mia moglie, né io debba essere seppellito dopo di lei". Il compimento segue i voti: furono i custodi del tempio, fino a quando fu data loro la vita. Ormai indeboliti dagli anni e dall'età, mentre per caso si trovavano davanti ai sacri giardini e narravano la storia del luogo, Bauci vide che a Filemone spuntavano delle foglie, ed il più anziano Filemone vide che a Bauci spuntavano foglie. E mentre ormai la cima di un albero avviluppava i volti di entrambi, finchè fu possibile si indirizzavano a vicenda parole: "Addio, coniuge" - dissero insieme, e contemporaneamente il fogliame ricoprì le bocche nascoste.
Ancora oggi in quel luogo la gente frigia mostra due tronchi vicini nati dai due corpi. Dei vecchi sinceri mi narrarono queste cose e non c'era motivo per cui volessero ingannarmi. Per parte mia vidi coroncine di fiori che erano appese sui rami, e ponendone di fresche dissi: "Gli uomini pii sono cari agli dei e coloro che li hanno onorati sono da essi onorati".
Testo latino originale
Filemone e Bauci
Testo tradotto in italiano
Il fiume tacque dopo queste parole. Il fatto prodigioso aveva colpito tutti. Il figlio di Issione deride chi ci crede e, sprezzante com'era nei confronti degli dei e d'animo orgoglioso, disse: "Racconti cose inventate, e credi, Acheloo, che gli dei siano troppo potenti, se danno e tolgono le sembianze".
Rimasero tutti allibiti, e non credettero a tali parole; e prima di tutti Lelege, maturo per animo ed età, così disse: "E' immensa la potenza del cielo e non ha limite, e tutto quello che gli dei superni vogliono è fatto. E perché tu dubiti di meno, c'è nei colli frigi una quercia vicino ad un tiglio, circondata da un piccolo muro. Io stesso vidi il posto; infatti Pitteo mi mandò nella terra di Pelope, una volta governata da suo padre. Non lontano da lì c'è uno stagno, terra un tempo abitabile, ora paludi abitate da smerghi e folaghe palustri. In questo luogo giove sotto spoglie mortali venne e con il padre venne il nipote di Atlante, portatore del caduceo, deposte le ali. In mille case si accostarono, con la richiesta di un luogo per riposare, mille catenacci chiusero le case. Tuttavia una li accolse, seppur piccola e ricoperta da stoppie e canne palustri. Ma la pia vecchia Bauci e Filemone di pari età si erano uniti negli anni giovanili ed erano invecchiati insieme in quella casa; non cercando di nascondere la povertà e sopportandola serenamente la resero accettabile. E non importa che tu cerchi dove siano i servi o i padroni in quella dimora: tutta la casa sono loro due, sono loro stessi ad obbedire e comandare.
27 Dunque, quand'ebbero toccato gli dei la piccola casa e, chinato il capo, passarono per la piccola porta, il vecchio li invitò a riposare le membra, dopo aver porto una panca, sopra la quale la premurosa Bauci gettò un rozzo tessuto. Poi smosse la cenere tiepida sul focolare e ravviva il fuoco del giorno prima, lo alimenta con foglie e corteccia secca e lo fa fiammeggiare col suo fiato di vecchia; portò giù dalla soffitta rami di pino fatti a pezzi e ramaglie secche, li spezzò e li pose sotto un piccolo recipiente di bronzo. E libera dalle foglie un cavolo che suo marito aveva raccolto nell'orto irrigato. Con una forca a due punte stacca una spalla di porco affumicata, che pendeva da una trave annerita, e taglia dalla spalla un tempo messa da parte una fettina, e dopo averla tagliata la mette a cuocere nell'acqua bollente. Intanto ingannano il tempo dell'attesa con discorsi, e impediscono che l'attesa sia avvertita. C'era lì una tinozza di faggio, appesa ad un chiodo per il manico ricurvo: è riempita d'acqua tiepida ed accoglie le membra ( degli dei ) per ristorarle. In mezzo c'è un materasso di morbida ulva, posto su un letto con sponda e piedi di salice. Lo coprono con una coperta, che erano soliti stendere solo nei giorni di festa; ma anche questa coperta era rozza e vecchia, ben adatta al letto di salice. Gli dei vi si accomodarono.
La vecchia prepara la tavola con la veste tirata in su e un po' tremolando. Ma il terzo piede della tavola era diseguale: un coccio lo livellò. E dopo che quello posto sotto il piede eliminò la pendenza pulì la tavola pareggiata la menta fresca.
54 Qui viene posta la bacca bicolore della vergine Minerva ( olive ), corniole autunnali conservate nell'aceto, e cicoria, e un ravanello, una forma di cacio, uova cotte a fuoco lento nella tiepida cenere: tutte queste cose in vasi di terracotta. Dopo questi viene disposto un cratere cesellato del medesimo argento, e coppe fatte di faggio, spalmate di cere bionde dove sono cave. C'è una piccola pausa, ed i focolari mandarono pietanze calde e di nuovo vengono riportati vini di non eccessiva stagionatura, e danno posto alle seconde mense, lasciati per un po' da parte. Ed ecco le noci, ecco i fichi secchi mescolati ai datteri rugosi, le prugne e le mele profumate nei grandi canestri, e le uve raccolte da viti rosseggianti. Nel mezzo c'è un favo candido. Su ogni cosa si aggiunsero i volti sorridenti ed una disponibilità né svogliata né limitata. Nel frattempo vedono che il cratere, ogni volta che è stato svuotato si riempie ed il vino ripullula da sé. Stupiti dalla novità hanno paura, e con le palme rivolte in alto si mettono a pregare Bauci ed il timido Filemone, e chiedono perdono per lo scarso cibo e per non aver preparato nulla. C'era un'unica oca, custode della piccola capanna, che i padroni si preparavano a sacrificare agli dei ospiti. Quella li mette a dura prova, perché è veloce d'ali e loro sono lenti per l'età, e li elude a lungo, ed infine sembrò che si fosse rifugiata proprio dagli dei. Gli dei vietarono che fosse uccisa, e dissero : "Siamo dei, e l'empio vicinato pagherà la giusta punizione. Vi sarà concesso di essere immuni a questo male. Frattanto lasciate la vostra casa, seguite i nostri passi ed andate insieme sulla cima del monte".
Entrambi obbedirono e, appoggiati ai bastoni, si sforzano a procedere per la lunga salita.
85 Erano ormai tanto lontani dalla cima quanto un tiro di freccia: si volsero a guardare e videro tutte le altre case sommerse dalla palude, solo la loro rimase in piedi. E mentre le guardano, mentre compiangono i destini dei loro vicini, quella vecchia casetta, piccola persino per i due padroni, si trasforma in tempio: colonne subentrano ai pali biforcuti, la stoppia del tetto prende riflessi d'oro, e si vede che il tetto è d'oro, le porte cesellate ed il pavimento ricoperto di marmo.
Allora con placido volto il figlio di Saturno proferì queste parole: "Dite quello che desiderate, vecchio onesto e tu, donna degna dell'onesto marito". Dopo aver confabulato poco con Bauci, Filemone rivela agli dei la risposta presa in comune: "Chiediamo di essere sacerdoti e di custodire il vostro tempio e, poiché siamo vissuti in concordia, il medesimo momento ci porti via entrambi, possa non vedere mai il sepolcro di mia moglie, né io debba essere seppellito dopo di lei". Il compimento segue i voti: furono i custodi del tempio, fino a quando fu data loro la vita. Ormai indeboliti dagli anni e dall'età, mentre per caso si trovavano davanti ai sacri giardini e narravano la storia del luogo, Bauci vide che a Filemone spuntavano delle foglie, ed il più anziano Filemone vide che a Bauci spuntavano foglie. E mentre ormai la cima di un albero avviluppava i volti di entrambi, finchè fu possibile si indirizzavano a vicenda parole: "Addio, coniuge" - dissero insieme, e contemporaneamente il fogliame ricoprì le bocche nascoste.
Ancora oggi in quel luogo la gente frigia mostra due tronchi vicini nati dai due corpi. Dei vecchi sinceri mi narrarono queste cose e non c'era motivo per cui volessero ingannarmi. Per parte mia vidi coroncine di fiori che erano appese sui rami, e ponendone di fresche dissi: "Gli uomini pii sono cari agli dei e coloro che li hanno onorati sono da essi onorati".
Testo latino originale
Amnis ab his tacuit. factum mirabile cunctos
mouerat; irridet credentes, utque deorum spretor erat mentisque ferox Ixione natus: "ficta refers nimiumque putas, Acheloe, potentes esse deos", dixit "si dant adimuntque figuras". obstipuere omnes, nec talia dicta probarunt; ante omnesque Lelex, animo maturus et aeuo, sic ait: "inmensa est finemque potentia caeli non habet et quicquid superi uoluere peractum est. quoque minus dubites, tiliae contermina quercus collibus est Phrygiis, modico circumdata muro; ipse locum uidi; nam me Pelopeia Pittheus misit in arua, suo quondam regnata parenti. haud procul hinc stagnum est, tellus habitabilis olim, nunc celebres mergis fulicisque palustribus undae. Iuppiter huc specie mortali cumque parente uenit Atlantiades positis caducifer alis. mille domos adiere locum requiemque petentes, mille domos clausere serae. tamen una recepit, parua quidem, stipulis et canna tecta palustri; sed pia Baucis anus parilique aetate Philemon illa sunt annis iuncti iuuenalibus, illa consenuere casa paupertatemque fatendo effecere leuem nec iniqua mente ferendo. nec refert dominos illic famulosne requiras; tota domus duo sunt, idem parentque iubentque. ergo ubi caelicolae paruos tetigere penates summissoque humiles intrarunt uertice postes, membra senex posito iussit releuare sedili. quo super iniecit textum rude sedula Baucis inque foco tepidum cinerem dimouit et ignes suscitat hesternos foliisque et cortice sicco: nutrit et ad flammas anima producit anili multifidasque faces ramaliaque arida tecto detulit et minuit paruoque admouit aeno. quodque suus coniunx riguo collegerat horto, truncat holus foliis; furca leuat illa bicorni sordida terga suis nigro pendentia tigno seruatoque diu resecat de tergore partem exiguam sectamque domat feruentibus undis. interea medias fallunt sermonibus horas [sentirique moram prohibent. erat alueus illic fagineus curua clauo suspensus ab ansa.is tepidis impletur aquis artiusque fouendos accipit; in medio torus est de mollibus uluis impositus lecto, sponda pedibusque salignis.] concutiuntque torum de molli fluminis ulua impositum lecto sponda pedibusque salignis; uestibus hunc uelant, quas non nisi tempore festo sternere consuerant; sed et haec uilisque uetusque uestis erat, lecto non indignanda saligno.accubuere dei. mensam succincta tremensque ponit anus; mensae sed erat pes tertius impar; testa parem fecit; quae postquam subdita cliuum sustulit, aequatam mentae tersere uirentes. ponitur hic bicolor sincerae baca Mineruae conditaque in liquida corna autumnalia faece intibaque et radix et lactis massa coacti ouaque non acri leuiter uersata fauilla, omnia fictilibus. post haec caelatus eodem |
sistitur argento crater fabricataque fago
pocula, qua caua sunt, flauentibus illita ceris. parua mora est epulasque foci misere calentes, nec longae rursus referuntur uina senectae dantque locum mensis paulum seducta secundis. hic nux, hic mixta est rugosis carica palmis prunaque et in patulis redolentia mala canistris et de purpureis collectae uitibus uuae. candidus in medio fauus est; super omnia uultus accessere boni nec iners pauperque uoluntas. interea totiens haustum cratera repleri sponte sua per seque uident succrescere uina; attoniti nouitate pauent manibusque supinis concipiunt Baucisque preces timidusque Philemon et ueniam dapibus nullisque paratibus orant. unicus anser erat, minimae custodia uillae, quem dis hospitibus domini mactare parabant; ille celer penna tardos aetate fatigat eluditque diu tandemque est uisus ad ipsos confugisse deos. superi uetuere necari; "di" que "sumus meritasque luet uicinia poenas impia"; dixerunt "uobis inmunibus huius hsse mali dabitur; modo uistra relinquite tecta ac nostros comitate gradus et in ardua montis ite simul". parent ambo baculisque leuati [ite simul". parent et dis praeeuntibus ambo membra leuant baculis, tardique senilibus,annis] nituntur longo uestigia ponere cliuo. tantum aberant summo quantum semel ire sagitta missa potest; flexere oculos et mersa palude cetera prospiciunt, tantum sua tecta manere; dumque ea mirantur. dum deflent fata suorum, [mersa uident quaeruntque suae pia culmina uillae; sola loco stabant. dum deflent fata suorum,] illa uetus dominis euam casa parua duobus uertitur in templum; furcas subiere columnae; stramina flauescunt aurataque tecta uidentur caelataeque fores adopertaque marmore tellus. talia tum placido Saturnius edidit ore: "dicite, iuste senex et femina coniuge iusto digna quid optetis". cum Baucide pauca locutus, iudiclum superis aperit commune Philemon "esse sacerdotes delubraque uestra tueri poscimus et, quoniam concordes egimus annos, auferat hora duos eadem ne coniugis; umquam busta meae uideam, neu sim tumulandus ab illa. uota fides sequitur; templi tutela fuere, donec uita data est. Annis aeuoque soluti ante gradus sacros cum starent forte locique narrarent casus, frondere Philemona Baucis, Baucida conspexit senior frondere Philemon. iamque super geminos crescente cacumine uultus mutua, dum licuit, reddebant dicta; "uale" que, "o coniunx" dixere simul, simul abdita texit ora frutex. ostendit adhuc Thyneius illic incola de gemino uicinos corpore truncos. haec mihi non uani, neque erat cur fallere uellent, narrauere senes. equidem pendentia uidi serta super ramos ponensque recentia dixi: "cura deum di sint et qui coluere colantur". |
A mille porte bussarono
racconto per i pellegrini
Simbolo di potenza una quercia e fiero del suo profumo un tiglio, circondati da un basso muro, si trovavano sulle colline di Frigia, non lontano da uno stagno che un tempo era una zona abitata.
E’ l’inizio di una delle storie raccontate da Ovidio nelle sue Metamorfosi, il capolavoro latino che tratta della storia del mondo dalle origini fino all’epoca del poeta, tutta incentrata su vicende mitologiche e simboliche. Il tema comune che conclude tutte le storie è il mito della metamorfosi, un mito che risente delle influenze filosofiche del tempo con il merito di offrire anche una lettura di alcuni aspetti della natura umana.
In questo racconto, due vecchi coniugi, Filemone e Bauci vengono trasformati da Giove in due alberi. Loro avevano chiesto il dono di poter morire nello stesso momento, ma il dio volle fare di più, e renderli in qualche modo anche immortali a ricordo e testimonianza di quello che aveva avuto da loro. Il grande poeta latino infatti qui non vuole mettere in rilievo la presenza di un grande amore coniugale, lui che aveva dedicato tanti versi all’amore libero, porta avanti un'altra espressione di amore, quella che forse supera tutte.
Giove e Mercurio un giorno erano venuti sulla terra per conoscere il comportamento degli uomini.Travestiti da pellegrini erano arrivati in Frigia senza essere riconosciuti e quando cercarono un rifugio per riposare,
E’ l’inizio di una delle storie raccontate da Ovidio nelle sue Metamorfosi, il capolavoro latino che tratta della storia del mondo dalle origini fino all’epoca del poeta, tutta incentrata su vicende mitologiche e simboliche. Il tema comune che conclude tutte le storie è il mito della metamorfosi, un mito che risente delle influenze filosofiche del tempo con il merito di offrire anche una lettura di alcuni aspetti della natura umana.
In questo racconto, due vecchi coniugi, Filemone e Bauci vengono trasformati da Giove in due alberi. Loro avevano chiesto il dono di poter morire nello stesso momento, ma il dio volle fare di più, e renderli in qualche modo anche immortali a ricordo e testimonianza di quello che aveva avuto da loro. Il grande poeta latino infatti qui non vuole mettere in rilievo la presenza di un grande amore coniugale, lui che aveva dedicato tanti versi all’amore libero, porta avanti un'altra espressione di amore, quella che forse supera tutte.
Giove e Mercurio un giorno erano venuti sulla terra per conoscere il comportamento degli uomini.Travestiti da pellegrini erano arrivati in Frigia senza essere riconosciuti e quando cercarono un rifugio per riposare,
picchiarono a mille porte chiedendo ospitalità ma trovarono tutte le porte serrate a catenaccio
Solo una li accolse, per quanto piccola e coperta da stoppie e canne palustri |
mille domos adiere locum requiemque petentes,
mille domos clausere serae. tamen una recepit, parua quidem, stipulis et canna tecta palustri |
Era la capanna dove vivevano Filemone e Bauci, una coppia di sposi uniti da una lunga vita, molto poveri ma sereni nonostante la loro indigenza.
I due coniugi aprono la loro casa, accolgono i due ospiti e mettono a loro disposizione tutto quello che possiedono cercando anche di renderlo il meno modesto possibile. Puliscono le panca, il tavolo, attizzano il fuoco, rinfrescano il letto e imbandiscono la tavola con tutte le loro riserve.Nella descrizione del loro affaccendarsi si legge l’intenzione dell’autore nel volere far emergere tutto il valore della accoglienza e della ospitalità .
Fra questi gesti uno, anch’esso narrato con precisione, riveste una rilevanza speciale:
I due coniugi aprono la loro casa, accolgono i due ospiti e mettono a loro disposizione tutto quello che possiedono cercando anche di renderlo il meno modesto possibile. Puliscono le panca, il tavolo, attizzano il fuoco, rinfrescano il letto e imbandiscono la tavola con tutte le loro riserve.Nella descrizione del loro affaccendarsi si legge l’intenzione dell’autore nel volere far emergere tutto il valore della accoglienza e della ospitalità .
Fra questi gesti uno, anch’esso narrato con precisione, riveste una rilevanza speciale:
c’era un catino di faggio appeso a un chiodo per il manico curvo, venne riempito d’acqua tiepida e offerto agli ospiti per il ristoro dei piedi.
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erat alveus illo fagineus, dura claua suspensus ab ansa.
is tepidis impletur aquis artusque fovendos accipit; |
La lavanda dei piedi a quel tempo doveva certamente essere una pratica di accoglienza quasi essenziale sia per la natura delle strade che per la precarietà dei calzari, come possiamo riscontrare in altre citazioni storiche.
L’antropologa Ida Magli nel suo libro Gesù di Nazareth presenta il racconto della lavanda dei piedi ( Vangelo secondo S. Giovanni 13, 1-15 ) come il messaggio fondamentale che Gesù voleva lasciare ai suoi discepoli, il momento di dedizione verso coloro che lo chiamavano maestro diventa l’esempio primo di amore verso il prossimo.
La chiesa cattolica ripete questo gesto durante la liturgia del giovedì santo. Oggi a questa procedura non più così essenziale manteniamo il riconoscimento della dedizione all’altro.
Anche sulle vie di pellegrinaggio dei nostri giorni, sul Cammino di Santiago, sulla Via Francigena ci sono ospitali che accolgono i pellegrini ripetendo la lavanda dei piedi.
Filemone e Bauci, coppia simbolo di un amore coniugale che non si chiude su se stesso e diventa artefice dell’apertura agli altri, furono premiati da Giove che trasformò la loro casa in un tempio. Chiesero di poter diventare i custodi di quel tempio e così
L’antropologa Ida Magli nel suo libro Gesù di Nazareth presenta il racconto della lavanda dei piedi ( Vangelo secondo S. Giovanni 13, 1-15 ) come il messaggio fondamentale che Gesù voleva lasciare ai suoi discepoli, il momento di dedizione verso coloro che lo chiamavano maestro diventa l’esempio primo di amore verso il prossimo.
La chiesa cattolica ripete questo gesto durante la liturgia del giovedì santo. Oggi a questa procedura non più così essenziale manteniamo il riconoscimento della dedizione all’altro.
Anche sulle vie di pellegrinaggio dei nostri giorni, sul Cammino di Santiago, sulla Via Francigena ci sono ospitali che accolgono i pellegrini ripetendo la lavanda dei piedi.
Filemone e Bauci, coppia simbolo di un amore coniugale che non si chiude su se stesso e diventa artefice dell’apertura agli altri, furono premiati da Giove che trasformò la loro casa in un tempio. Chiesero di poter diventare i custodi di quel tempio e così
consunti dagli anni e dall’età, mentre stavano davanti alla sacra gradinata, narrando la storia del luogo, Bauci vide Filemone coprirsi di fronde, e il vecchio Filemone vide Bauci fare la stessa cosa. E mentre sui due volti cresceva la cima, si rivolgevano scambievoli parole, finché fu loro possibile: “Addio amore mio” dissero insieme e insieme la corteccia come un velo coprì i loro volti facendoli scomparire.
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Annis aeuoque soluti ante gradus sacros cum starent forte locique
narrarent casus, frondere Philemona Baucis,Baucida conspexit senior frondere Philemon. iamque super geminos crescente cacumine uultusmutua, dum licuit, reddebant dicta; "uale" que,"o coniunx" dixere simul, simul abdita texit ora frutex. |
Virgilio Eneide
Ottaviano Augusto nel 29 a. C. chiese a Virgilio un poema che glorificasse l’origine di Roma. Nasce l’Eneide, sulla base dei grandi racconti omerici l’Iliade e l’Odissea, che racconta la storia del viaggio di Enea, l’unico figlio del re di Troia Priamo scampato dalla distruzione della città, verso una nuova terra per dare origine ad una nuova e gloriosa stirpe, la stirpe Giulia.
L'Eneide ha nella prima parte che viene definita 'odissiaca' come tema principale il viaggio mentre nella seconda, detta "iliadica", tratta il tema della guerra. Nel VI sesto libro, alla metà dell'opera, però il poema si distacca dalle due forme per narrare l'episodio della discesa di Enea agli inferi. In questo capitolo l’eroe assume una espressione diversa dal resto del poema, non è l'uomo guidato e obbediente a seguire il suo destino secondo il volere degli dei, ma diventa un pellegrino che intraprende un viaggio particolare per poter di nuovo incontrare il vecchio padre. Virgilio trova questa formula proprio per poter, attraverso le parole del padre di Enea ed il suo viaggio nel mondo ultraterreno ,presentare le future glorie di Roma.
Il pellegrinaggio di Enea
Enea chiede alla Sibilla di visitare il regno dei morti. La profetessa gli dice che deve procurarsi un ramo d'oro che dovrà offrire a Proserpina affinché gli consenta la discesa nell’Ade. Enea, con l'aiuto di Venere, riesce a trovare il ramo, poi dopo aver compiuto con la Sibilla i riti propiziatori, guidato da lei inizia il viaggio. Giungono al vestibolo dell'Inferno, dove appaiono il pianto, i rimorsi, le malattie, le personificazioni dei mali dell'umanità, e poi figure mostruose tra cui i Centauri, la chimera, le gorgoni, le arpie. Alle rive del fiume Acheronte trovano fra le anime degli insepolti Palinuro, il suo nocchiero caduto in mare durante la navigazione verso l'Italia, che prega Enea di dargli una sepoltura. Caronte, il demonio a guardia dell'inferno vorrebbe impedire il passaggio ma la Sibilla lo obbliga mostrandogli il ramo d'oro. Così Enea e la Sibilla giungono all’Antinferno e incontrano l'altro demonio, il Cerbero, un mostro con tre teste le cui criniere sono costituite da serpenti, e Minosse, il famoso re di Creta che, secondo il mito, è stato nominato giudice infernale come premio per il suo profondo senso di giustizia. Giunti nella pianura de Campi del Pianto, tra le anime di coloro che si sono uccisi per amore, Enea incontra Didone che si allontana da lui verso la Selva dei Morti, dove Sicheo (il suo primo sposo) la attende. Incontrano poi Déifobo, figlio di Priamo fra le ombre dei guerrieri famosi. Nella parte dell’inferno con i colpevoli dei peccati più gravi, al Tartaro, la Sibilla fa affiggere a Enea il ramoscello d'oro. Infine ecco i Campi Elisi, dove risiedono le anime dei pii e dei giusti, e l’incontro con il padre Anchise.
'venisti tandem, tuaque exspectata parenti vicit iter durum pietas?
giungesti finalmente e la tua pietà attesa dal padre ha vinto il duro cammino?
La commozione dell’incontro lascia il posto al racconto sulle anime dei futuri grandi romani che attendono di salire sulla terra, descrivendoli nella loro progressione cronologica, tra essi i re Albani, Romolo e Augusto. Oltre ai re di Roma, vede anche Cesare, Pompeo, Catone, Emilio Gracco, gli Scipioni e i Fabi. Al termine della presentazione dei futuri discendenti, Anchise esprime in pochi versi il senso di civiltà di Roma, che si configura come la missione tra i popoli: dominare il mondo e governarlo secondo giustizia. Dopo aver rivelato al figlio ciò che lo attende nel Lazio, Anchise accompagna la Sibilla ed Enea all'uscita dell'Ade.
L'Eneide ha nella prima parte che viene definita 'odissiaca' come tema principale il viaggio mentre nella seconda, detta "iliadica", tratta il tema della guerra. Nel VI sesto libro, alla metà dell'opera, però il poema si distacca dalle due forme per narrare l'episodio della discesa di Enea agli inferi. In questo capitolo l’eroe assume una espressione diversa dal resto del poema, non è l'uomo guidato e obbediente a seguire il suo destino secondo il volere degli dei, ma diventa un pellegrino che intraprende un viaggio particolare per poter di nuovo incontrare il vecchio padre. Virgilio trova questa formula proprio per poter, attraverso le parole del padre di Enea ed il suo viaggio nel mondo ultraterreno ,presentare le future glorie di Roma.
Il pellegrinaggio di Enea
Enea chiede alla Sibilla di visitare il regno dei morti. La profetessa gli dice che deve procurarsi un ramo d'oro che dovrà offrire a Proserpina affinché gli consenta la discesa nell’Ade. Enea, con l'aiuto di Venere, riesce a trovare il ramo, poi dopo aver compiuto con la Sibilla i riti propiziatori, guidato da lei inizia il viaggio. Giungono al vestibolo dell'Inferno, dove appaiono il pianto, i rimorsi, le malattie, le personificazioni dei mali dell'umanità, e poi figure mostruose tra cui i Centauri, la chimera, le gorgoni, le arpie. Alle rive del fiume Acheronte trovano fra le anime degli insepolti Palinuro, il suo nocchiero caduto in mare durante la navigazione verso l'Italia, che prega Enea di dargli una sepoltura. Caronte, il demonio a guardia dell'inferno vorrebbe impedire il passaggio ma la Sibilla lo obbliga mostrandogli il ramo d'oro. Così Enea e la Sibilla giungono all’Antinferno e incontrano l'altro demonio, il Cerbero, un mostro con tre teste le cui criniere sono costituite da serpenti, e Minosse, il famoso re di Creta che, secondo il mito, è stato nominato giudice infernale come premio per il suo profondo senso di giustizia. Giunti nella pianura de Campi del Pianto, tra le anime di coloro che si sono uccisi per amore, Enea incontra Didone che si allontana da lui verso la Selva dei Morti, dove Sicheo (il suo primo sposo) la attende. Incontrano poi Déifobo, figlio di Priamo fra le ombre dei guerrieri famosi. Nella parte dell’inferno con i colpevoli dei peccati più gravi, al Tartaro, la Sibilla fa affiggere a Enea il ramoscello d'oro. Infine ecco i Campi Elisi, dove risiedono le anime dei pii e dei giusti, e l’incontro con il padre Anchise.
'venisti tandem, tuaque exspectata parenti vicit iter durum pietas?
giungesti finalmente e la tua pietà attesa dal padre ha vinto il duro cammino?
La commozione dell’incontro lascia il posto al racconto sulle anime dei futuri grandi romani che attendono di salire sulla terra, descrivendoli nella loro progressione cronologica, tra essi i re Albani, Romolo e Augusto. Oltre ai re di Roma, vede anche Cesare, Pompeo, Catone, Emilio Gracco, gli Scipioni e i Fabi. Al termine della presentazione dei futuri discendenti, Anchise esprime in pochi versi il senso di civiltà di Roma, che si configura come la missione tra i popoli: dominare il mondo e governarlo secondo giustizia. Dopo aver rivelato al figlio ciò che lo attende nel Lazio, Anchise accompagna la Sibilla ed Enea all'uscita dell'Ade.
Amore e Psiche - Apuleio Metamorfosi
Antonio Canova alla fine del XVIII secolo realizzò il gruppo scultoreo ‘Amore e Psiche ‘che è conservato al Museo del Louvre a Parigi. Molto conosciuto perché divulgato in manifesti e cartoline l’opera viene ammirata nella perfezione delle forme, nella levigatura del marmo nonché nell’intreccio del gesto. La volontà dell’autore di esprimere l’idea del ‘bello’ si manifesta ancor più nelle forza e nella magia dei simboli rappresentati, quello di Amore e di Psiche. Simboli perfettamente delineati e raccontati da Platone nel Simposio, sotto la loro accezione filosofica, sono con altrettanta fortuna presentati in una storia che si trova dentro il romanzo di Apuleio ‘ Metamorfosi ‘, conosciuto anche come l’Asino d’oro.
Sia il tema della narrazione che quello della storia raccontano un viaggio, quella forma di viaggio che è un cammino verso la propria evoluzione e la successiva conquista di una realizzazione.
Infatti Lucio il protagonista del romanzo riuscirà a riconquistare e a comprendere il valore la sua umanità che aveva perduto, mentre per la bella fanciulla Psiche della favola il lungo cammino sarà per ritrovare Amore che aveva conosciuto e poi perduto.
Le tappe di questi cammini sono altrettanti simboli dei passaggi necessari e delle prove da sostenere e superare per il raggiungimento di un fine.
Psiche dovrà accettare di staccarsi dal mondo delle sicurezze, quello familiare selezionare e mettere ordine , dovrà affrontare la fatica , e successivamente combattere la paura, accettare l’aiuto. Il tipo di narrazione diventa un racconto ‘esemplare’ quel patrimonio di regole e di antichi riti di iniziazione, ma a tempo stesso se il romanzo si presenta avvincente per la sua fantasia, il fascino della favola è insuperabile.
I due grandi artisti, secondi solo al padre Platone, ma continuando la sua opera, hanno lasciato due capolavori che hanno il dono di confortare per la loro bellezza e di tramandare le antiche ed eterne saggezze.
Le due figure sono rappresentate in un abbraccio nell'attimo precedente al bacio, un momento che mantiene viva la tensione che precede una realizzazione, un gesto che si ferma nella scultura per diventare ferma nello spazio ed eterno nell’idea. L’autore concepì la presentazione della scultura su di una pedana rotante che permettesse di percepire il senso e il simbolo della bellezza nelle due figure rappresentate nello spazio libero.
Cap XIV
"E Psiche a rapidi passi e tutta in ansia si diresse alla cima del monte sicura che lassù almeno avesse termine la sua infelicissima vita. Ma appena giunse nei pressi della vetta indicatale, ella si rese conto del rischio mortale che comportava quell’impresa smisurata. Quella cima, infatti, enorme e altissima, liscia e a strapiombo, inaccessibile, vomitava dalle sue viscere un orrido fiotto che irrompendo dai crepacci e scorrendo poi giù per il pendio, s’ingolfava in un angusto canale sotterraneo per poi scrosciare invisibile nella valle sotto stante. "A destra e a sinistra, tra gli anfratti rocciosi, orribili draghi strisciavano e rizzavano i lunghi colli, sentinelle vigilanti dagli occhi sempre aperti, dalle pupille eternamente spalancate alla luce. "Del resto quelle acque che erano parlanti, da se stesse provvedevano alla loro difesa: ‘Vattene!’ gridavano incessantemente. ‘Che fai qui? Bada a te! Che vuoi? Guardati! Fuggi via! Sei perduta!’ "Così Psiche rimase come impietrita nella sua impotenza, presente col corpo ma lontana coi sensi, schiacciata dall’enormità di un pericolo senza via d’uscita; e non le restava nemmeno l’estremo conforto del pianto.
Ma le tribolazioni di quell’anima innocente non sfuggirono all’occhio attento della buona provvidenza. E così l’uccello regale del sommo Giove, l’aquila rapace, spiegò le ali e in un attimo le venne in soccorso, memore dell’antica obbedienza, quando sotto la guida di Amore, rapì per Giove il coppiere frigio *. Ora, volendo ancora una volta offrire i suoi servigi a questo potente dio e cattivarsene il favore col soccorrere la sua sposa in pericolo, lasciò le eteree cime dell’eccelso Olimpo e cominciò a ruotare intorno alla fanciulla: ‘O tu, ingenua e inesperta come sei di tali cose,’ intanto le diceva, ‘speri, proprio tu, di poter portar via o soltanto toccare una sola goccia di quest’acqua sacra e tremenda insieme? Non sai, almeno per sentito dire, che queste acque infernali fanno paura anche agli dei, perfino allo stesso Giove, e che se voi di solito giurate sulla potenza degli dei questi sogliono giurare sulla maestà dello Stige? Ma dammi quest’anforetta’ e là per là gliela prese e tenendola stretta si librò sulle grandi ali remiganti e volteggiò a destra e a sinistra fra le mascelle irte di denti aguzzi e le lingue triforcute dei draghi riuscendo ad attingere di quell’acqua riluttante che gridava anche a lei di fuggir via finché era incolume e alla quale però ella rispondeva che per ordine di Venere sua padrona era venuta ad attingere; per questo le fu più facile avvicinarsi.
Sia il tema della narrazione che quello della storia raccontano un viaggio, quella forma di viaggio che è un cammino verso la propria evoluzione e la successiva conquista di una realizzazione.
Infatti Lucio il protagonista del romanzo riuscirà a riconquistare e a comprendere il valore la sua umanità che aveva perduto, mentre per la bella fanciulla Psiche della favola il lungo cammino sarà per ritrovare Amore che aveva conosciuto e poi perduto.
Le tappe di questi cammini sono altrettanti simboli dei passaggi necessari e delle prove da sostenere e superare per il raggiungimento di un fine.
Psiche dovrà accettare di staccarsi dal mondo delle sicurezze, quello familiare selezionare e mettere ordine , dovrà affrontare la fatica , e successivamente combattere la paura, accettare l’aiuto. Il tipo di narrazione diventa un racconto ‘esemplare’ quel patrimonio di regole e di antichi riti di iniziazione, ma a tempo stesso se il romanzo si presenta avvincente per la sua fantasia, il fascino della favola è insuperabile.
I due grandi artisti, secondi solo al padre Platone, ma continuando la sua opera, hanno lasciato due capolavori che hanno il dono di confortare per la loro bellezza e di tramandare le antiche ed eterne saggezze.
Le due figure sono rappresentate in un abbraccio nell'attimo precedente al bacio, un momento che mantiene viva la tensione che precede una realizzazione, un gesto che si ferma nella scultura per diventare ferma nello spazio ed eterno nell’idea. L’autore concepì la presentazione della scultura su di una pedana rotante che permettesse di percepire il senso e il simbolo della bellezza nelle due figure rappresentate nello spazio libero.
Cap XIV
"E Psiche a rapidi passi e tutta in ansia si diresse alla cima del monte sicura che lassù almeno avesse termine la sua infelicissima vita. Ma appena giunse nei pressi della vetta indicatale, ella si rese conto del rischio mortale che comportava quell’impresa smisurata. Quella cima, infatti, enorme e altissima, liscia e a strapiombo, inaccessibile, vomitava dalle sue viscere un orrido fiotto che irrompendo dai crepacci e scorrendo poi giù per il pendio, s’ingolfava in un angusto canale sotterraneo per poi scrosciare invisibile nella valle sotto stante. "A destra e a sinistra, tra gli anfratti rocciosi, orribili draghi strisciavano e rizzavano i lunghi colli, sentinelle vigilanti dagli occhi sempre aperti, dalle pupille eternamente spalancate alla luce. "Del resto quelle acque che erano parlanti, da se stesse provvedevano alla loro difesa: ‘Vattene!’ gridavano incessantemente. ‘Che fai qui? Bada a te! Che vuoi? Guardati! Fuggi via! Sei perduta!’ "Così Psiche rimase come impietrita nella sua impotenza, presente col corpo ma lontana coi sensi, schiacciata dall’enormità di un pericolo senza via d’uscita; e non le restava nemmeno l’estremo conforto del pianto.
Ma le tribolazioni di quell’anima innocente non sfuggirono all’occhio attento della buona provvidenza. E così l’uccello regale del sommo Giove, l’aquila rapace, spiegò le ali e in un attimo le venne in soccorso, memore dell’antica obbedienza, quando sotto la guida di Amore, rapì per Giove il coppiere frigio *. Ora, volendo ancora una volta offrire i suoi servigi a questo potente dio e cattivarsene il favore col soccorrere la sua sposa in pericolo, lasciò le eteree cime dell’eccelso Olimpo e cominciò a ruotare intorno alla fanciulla: ‘O tu, ingenua e inesperta come sei di tali cose,’ intanto le diceva, ‘speri, proprio tu, di poter portar via o soltanto toccare una sola goccia di quest’acqua sacra e tremenda insieme? Non sai, almeno per sentito dire, che queste acque infernali fanno paura anche agli dei, perfino allo stesso Giove, e che se voi di solito giurate sulla potenza degli dei questi sogliono giurare sulla maestà dello Stige? Ma dammi quest’anforetta’ e là per là gliela prese e tenendola stretta si librò sulle grandi ali remiganti e volteggiò a destra e a sinistra fra le mascelle irte di denti aguzzi e le lingue triforcute dei draghi riuscendo ad attingere di quell’acqua riluttante che gridava anche a lei di fuggir via finché era incolume e alla quale però ella rispondeva che per ordine di Venere sua padrona era venuta ad attingere; per questo le fu più facile avvicinarsi.