Pellegrinaggi incrociati
Sono già alcuni giorni che sono in giro per l’India, ma oggi forse mi aspetta qualcosa di forte, di importante, di toccante. Stiamo viaggiando da tutto il giorno, superando strade collinari dissestate, attraversando villaggi coi mercati per strada, sopravvivendo ad un caldo insistente e devastante.
Nel tardo pomeriggio finalmente la nostra auto viene risucchiata nel traffico di Varanasi, o come la chiamano gli indiani, Benares, la città santa per gli hindù, meta di pellegrini e turisti da tutto il mondo.
E’ qui che ogni induista almeno una volta nella vita deve venire per immergersi nel sacro fiume Gange. Ed è qui dove ogni induista spera di morire e di poter essere cremato, affinchè le sue ceneri possano essere sparse nel Gange e la sua anima possa così salire in cielo.
Il frastuono e la confusione che ci circonda non ci fa pensare ad altro che a raggiungere l’hotel.
Ma il nostro autista hindù non ne vuol sapere. Nonostante le quasi 10 ore di guida vuole assolutamente portarci a visitare un sito archeologico a circa 10 km da Varanasi.
Sono le 16.30 e il sito chiude alle 17.00. Tutti pensiamo che sia inutile e vorremmo rinunciare, ma lui non desiste!
Prendiamo una strada che si rivela chiusa per lavori, dobbiamo tornare indietro, svicolare tra moto, risciò, tuk tuk, mucche e camionicini, ma poco a poco il traffico diminuisce e arriviamo in piccolo un villaggio che in confronto sembra silenzioso.
Dietro recinti, vegetazione, abitazioni e templi si scorge un enorme “monumento” a forma di torre.
Qualcuno esclama “Tutta questa strada per una pietra?”
Non ha capito che siamo a Sarnath, uno dei luoghi più sacri del Buddismo.
Nel tardo pomeriggio finalmente la nostra auto viene risucchiata nel traffico di Varanasi, o come la chiamano gli indiani, Benares, la città santa per gli hindù, meta di pellegrini e turisti da tutto il mondo.
E’ qui che ogni induista almeno una volta nella vita deve venire per immergersi nel sacro fiume Gange. Ed è qui dove ogni induista spera di morire e di poter essere cremato, affinchè le sue ceneri possano essere sparse nel Gange e la sua anima possa così salire in cielo.
Il frastuono e la confusione che ci circonda non ci fa pensare ad altro che a raggiungere l’hotel.
Ma il nostro autista hindù non ne vuol sapere. Nonostante le quasi 10 ore di guida vuole assolutamente portarci a visitare un sito archeologico a circa 10 km da Varanasi.
Sono le 16.30 e il sito chiude alle 17.00. Tutti pensiamo che sia inutile e vorremmo rinunciare, ma lui non desiste!
Prendiamo una strada che si rivela chiusa per lavori, dobbiamo tornare indietro, svicolare tra moto, risciò, tuk tuk, mucche e camionicini, ma poco a poco il traffico diminuisce e arriviamo in piccolo un villaggio che in confronto sembra silenzioso.
Dietro recinti, vegetazione, abitazioni e templi si scorge un enorme “monumento” a forma di torre.
Qualcuno esclama “Tutta questa strada per una pietra?”
Non ha capito che siamo a Sarnath, uno dei luoghi più sacri del Buddismo.
E’ qui infatti che circa nel 527 a.C. il Budda Shakyamuni, dopo aver raggiunto l’illuminazione, iniziò la sua predicazione tenendo il primo sermone a un gruppo di cinque sramana (asceti).
Da Bodhgaya, dove aveva sperimentato l’illuminazione sotto l’albero di Bodhi, il Budda percorse circa centocinquanta miglia per raggiungere Sarnath alla ricerca dei cinque monaci con i quali aveva, nei sei anni precedenti, praticato l’ascetismo. Questi cinque monaci l’avevano lasciato quando Shakyamuni, rifiutando l’ascetismo, aveva deciso di seguire la Via di Mezzo.
Dopo essersi risvegliato alla Verità della Vita il primo desiderio del Budda fu quello di condividere la sua scoperta con tutti gli esseri senzianti. E proprio a Sarnath, in un boschetto chiamato “Parco dei Cervi”, spiegò per la prima volta ai cinque asceti le Quattro Nobili Verità, mettendo così in moto, secondo la tradizione buddista, la Ruota del Dharma (Dharmacakra
Da Bodhgaya, dove aveva sperimentato l’illuminazione sotto l’albero di Bodhi, il Budda percorse circa centocinquanta miglia per raggiungere Sarnath alla ricerca dei cinque monaci con i quali aveva, nei sei anni precedenti, praticato l’ascetismo. Questi cinque monaci l’avevano lasciato quando Shakyamuni, rifiutando l’ascetismo, aveva deciso di seguire la Via di Mezzo.
Dopo essersi risvegliato alla Verità della Vita il primo desiderio del Budda fu quello di condividere la sua scoperta con tutti gli esseri senzianti. E proprio a Sarnath, in un boschetto chiamato “Parco dei Cervi”, spiegò per la prima volta ai cinque asceti le Quattro Nobili Verità, mettendo così in moto, secondo la tradizione buddista, la Ruota del Dharma (Dharmacakra
l'arma sacra
Il termine sanscrito Dharmacakra è il simbolo della religionr buddista. Questa "ruota" è nella iconografia indiana, un'arma sacra. Questa arma è messa in moto (lanciata) dal Buddha Shakyamuni per colpire gli ostacoli, gli errori, gli attaccamenti che impediscono all'uomo di raggiungere il Nirvana. E come un'arma, questa "ruota" (cakra ) "colpisce" da uomo a uomo, da paese a paese, da era storica a era storica con gli "insegnamenti" (dharma) del Buddha Shakyamuni.
Il dharmacackra è la stessa ruota che si trova al centro della bandiera nazionale indiana che, a sua volta, deriva dallo stemma nazionale indiano: quattro leoni posti su un piedistallo con quattro ruote, ognuno dei quali rivolto verso un punto cardinale. Lo stemma è lo stesso che si trova nella colonna fatta erigere dall’imperatore Ashoka proprio a Sarnath nel III secolo a.C. (ora conservata all’interno del museo archeologico).
Il dharmacackra è la stessa ruota che si trova al centro della bandiera nazionale indiana che, a sua volta, deriva dallo stemma nazionale indiano: quattro leoni posti su un piedistallo con quattro ruote, ognuno dei quali rivolto verso un punto cardinale. Lo stemma è lo stesso che si trova nella colonna fatta erigere dall’imperatore Ashoka proprio a Sarnath nel III secolo a.C. (ora conservata all’interno del museo archeologico).
museo
Ashoka proprio a Sarnath nel III secolo a.C. (ora conservata all’interno del museo archeologico).
A pensarci sembra davvero strano: un simbolo buddista sta al centro della bandiera e alla base dello stemma nazionale di un paese in cui l’82% della popolazione è di religione induista, il 12% è musulmano, il 2,3% è cristiano e solo lo 0,76% è ancora seguace del Buddismo.
Come nei secoli passati, ancor oggi Sarnath è meta di pellegrinaggi di buddisti da tutto il mondo.
Qui infatti si svolse uno dei quattro momenti fondamentali della vita del Budda Shakyamuni Siddharta Guatama: il luogo di nascita (Lumbini oggi in Nepal), il luogo dell’illuminazione/risveglio (Bodhgaya), il luogo dove iniziò la sua predicazione (Sarnath) e il luogo dove morì o meglio cessò l’esistenza psico-fisica dei suoi cinque aggregati (Kusinagar). Si dice che un buddista dovrebbe cercare di visitare questi luoghi almeno una volta nella vita.
A pensarci sembra davvero strano: un simbolo buddista sta al centro della bandiera e alla base dello stemma nazionale di un paese in cui l’82% della popolazione è di religione induista, il 12% è musulmano, il 2,3% è cristiano e solo lo 0,76% è ancora seguace del Buddismo.
Come nei secoli passati, ancor oggi Sarnath è meta di pellegrinaggi di buddisti da tutto il mondo.
Qui infatti si svolse uno dei quattro momenti fondamentali della vita del Budda Shakyamuni Siddharta Guatama: il luogo di nascita (Lumbini oggi in Nepal), il luogo dell’illuminazione/risveglio (Bodhgaya), il luogo dove iniziò la sua predicazione (Sarnath) e il luogo dove morì o meglio cessò l’esistenza psico-fisica dei suoi cinque aggregati (Kusinagar). Si dice che un buddista dovrebbe cercare di visitare questi luoghi almeno una volta nella vita.
sito archeologico
Il sito archeologico di Sarnath appare oggi come un grande parco disseminato di resti di monumenti e costruzioni di cui rimangono principalmente solo le fondamenta e i basamenti.
Non abbiamo tempo per visitare il museo che raccoglie, oltre alla colonna di Ashoka con il famoso capitello, antiche reliquie buddiste con immagini del Budda.
E’ il Dhamekh Stupa, una torre alta 35 metri, di 15 metri di diametro posta nel luogo dove fu esposto il primo sermone, che attira l’attenzione e ruba lo sguardo. Si trova in fondo al parco, disturbato solo da un enorme tempio di Giainisti che, nonostante siano solo lo 0,4% in India (e in tutto il mondo), qui sembrano voler rubare la scena.
Ci avviciniamo lentamente a questa immensa torre costruita in pietre e mattoni rossi con lo scopo (che è poi quello di ogni “stupa”) di custodire reliquie del Budda.
Nella lunga passeggiata per arrivare ai suoi piedi incrociamo qualche monaco buddista con la sua tipica tonaca rosso porpora o arancione, che come noi da turista fotografa qua e là. Solo quando arriviamo a pochi metri dallo stupa ci accorgiamo che qui il sito è molto “animato”.
Abbiamo la fortuna di incrociare un folto gruppo di pellegrini, provenienti da qualche regione asiatica (Cina?, Giappone? Indonesia?) intenti a effettuare la circumambulazione dello stupa e recitare mantra.
I gruppi forse sono due, uguali, o forse i pellegrini sono troppi e devono dividersi.
Sono tutti vestiti principalmente di bianco, molto seri e quasi “affannati” nel seguire il monaco che li guida nel rito della pradaksina, la deambulazione attorno allo stupa effettuato sempre in senso orario, per tenere alla propria destra l’oggetto da venerare (dal sanscrito: pradakśiṇā, letteralmente "dare la destra" ovvero mostrare il lato onorevole del corpo all'oggetto di devozione. Il praticante che compie la circumambulazione si trova nella posizione di attribuire valore di axis mundi al centro del suo percorso).
Non abbiamo tempo per visitare il museo che raccoglie, oltre alla colonna di Ashoka con il famoso capitello, antiche reliquie buddiste con immagini del Budda.
E’ il Dhamekh Stupa, una torre alta 35 metri, di 15 metri di diametro posta nel luogo dove fu esposto il primo sermone, che attira l’attenzione e ruba lo sguardo. Si trova in fondo al parco, disturbato solo da un enorme tempio di Giainisti che, nonostante siano solo lo 0,4% in India (e in tutto il mondo), qui sembrano voler rubare la scena.
Ci avviciniamo lentamente a questa immensa torre costruita in pietre e mattoni rossi con lo scopo (che è poi quello di ogni “stupa”) di custodire reliquie del Budda.
Nella lunga passeggiata per arrivare ai suoi piedi incrociamo qualche monaco buddista con la sua tipica tonaca rosso porpora o arancione, che come noi da turista fotografa qua e là. Solo quando arriviamo a pochi metri dallo stupa ci accorgiamo che qui il sito è molto “animato”.
Abbiamo la fortuna di incrociare un folto gruppo di pellegrini, provenienti da qualche regione asiatica (Cina?, Giappone? Indonesia?) intenti a effettuare la circumambulazione dello stupa e recitare mantra.
I gruppi forse sono due, uguali, o forse i pellegrini sono troppi e devono dividersi.
Sono tutti vestiti principalmente di bianco, molto seri e quasi “affannati” nel seguire il monaco che li guida nel rito della pradaksina, la deambulazione attorno allo stupa effettuato sempre in senso orario, per tenere alla propria destra l’oggetto da venerare (dal sanscrito: pradakśiṇā, letteralmente "dare la destra" ovvero mostrare il lato onorevole del corpo all'oggetto di devozione. Il praticante che compie la circumambulazione si trova nella posizione di attribuire valore di axis mundi al centro del suo percorso).
devozione
Una signora giovane guida la fila accanto ai monaci tenendo con la mano sinistra uno scatolotto di plastica al quale è collegato il microfono: tutti in coro recitano lo stesso mantra finchè ad un certo punto, raggiunto forse il numero di giri prefissato, si fermano e, disposti in modo circolare intorno al monumento, si inginocchiano uno ad uno e toccano con mani e fronte la base dello stupa in segno di devozione.
monaci
Sul prato poco distante una ventina di monaci seduti nella posizione del loto sono raccolti in meditazione e preghiera.
Il tramonto si avvicina e dobbiamo ripartire. L’indomani ci aspetta la sveglia alle 5 per andare a visitare, da una barchetta sul fiume Gange, le abluzioni nelle acque sacre delle Dea Ganga con le quali gli induisti salutano ogni giorno il sorgere del sole.
Ancora non sappiamo che accanto a noi ritroveremo diverse barche fitte di monaci pellegrini in tunica porpora o arancione
Alida Vanni 2012
Il tramonto si avvicina e dobbiamo ripartire. L’indomani ci aspetta la sveglia alle 5 per andare a visitare, da una barchetta sul fiume Gange, le abluzioni nelle acque sacre delle Dea Ganga con le quali gli induisti salutano ogni giorno il sorgere del sole.
Ancora non sappiamo che accanto a noi ritroveremo diverse barche fitte di monaci pellegrini in tunica porpora o arancione
Alida Vanni 2012