Il pellegrinaggio di Egeria
Il pellegrinaggio di Egeria in Terrasanta
E’ un testo scritto in latino volgare ITINERARIUM AETHERIAE . Egeria, una religiosa della Galizia, di condizione piuttosto elevata, lascia l’Europa e intraprende un lungo pellegrinaggio in Terrasanta, che si conclude con un soggiorno a Gerusalemme. Egeria ha scritto un diario di questo viaggio, in forma di relazione alle compagne della sua comunità religiosa, nel quale racconta in modo minuzioso ciò che ha visto. L’opera, conservata incompleta da un solo codice, si data al 400 circa d. C.
Egeria, che nel suo pellegrinaggio è ospitata e guidata dai religiosi residenti nei posti visitati, si attiene ad un criterio preciso. Ogni volta che raggiunge una nuova località, legge il testo o i testi della Bibbia relativi a quei luoghi e ai fatti che vi si sono svolti ( “desideraveram sempre, ut, ubicunque venissemus, sempre ipse locus de libro legeretur “4.3; cfr. anche X 3-5 ).
Egeria interessatissima alla dimensione spirituale del suo viaggio, non lo è di meno alla descrizione particolareggiata dei luoghi e degli ambienti.
..
E poiché nelle minute descrizioni di Egeria si ripetono generalmente le stesse parole, senza che l’autrice veda in questo un inconveniente. Lo SPITZER ha parlato di uno ‘stile epico ‘ della pellegrina, accostabile alle chansons de geste francesi.
…
Egeria conosce un solo modo di scrivere, il suo, proiettato nelle due direzioni della lingua parlata e del riempitivo formulare, si esprime dunque, non senza efficacia, nell’unico stile a sua disposizione: i suoi ‘errori’ rispetto alla norma di un latino classico che peraltro è fuori dal suo orizzonte culturale, sono involontari.
Il diario di Egeria s’iscrive di diritto al genere dell’autobiografia, di cui però è una realizzazione particolarissima: il suo viaggio infatti sarebbe immotivato se Egeria non fosse spinta da una ragione che va oltre la sua persona, dalla volontà di avere esperienza diretta di alcuni luoghi nei quali se è svolta la vicenda sacra consegnata alla Bibbia. Ovviamente Egeria conosce le verità della Bibbia prima di cominciare il pellegrinaggio, ma quando visita i luoghi santi, i dati topografici sono ugualmente riportati al libro per eccellenza del cristiano, con la lettura del passo relativo. Sulla verità già posseduta si saldano nuovamente le stesse verità, man mano che si snodano le tappe del viaggio: l’elemento autobiografico è preceduto e suggellato da una verità ormai scritta una volta per sempre ma che tuttavia rivive continuamente nelle coscienza del cristiano.
E’ un testo scritto in latino volgare ITINERARIUM AETHERIAE . Egeria, una religiosa della Galizia, di condizione piuttosto elevata, lascia l’Europa e intraprende un lungo pellegrinaggio in Terrasanta, che si conclude con un soggiorno a Gerusalemme. Egeria ha scritto un diario di questo viaggio, in forma di relazione alle compagne della sua comunità religiosa, nel quale racconta in modo minuzioso ciò che ha visto. L’opera, conservata incompleta da un solo codice, si data al 400 circa d. C.
Egeria, che nel suo pellegrinaggio è ospitata e guidata dai religiosi residenti nei posti visitati, si attiene ad un criterio preciso. Ogni volta che raggiunge una nuova località, legge il testo o i testi della Bibbia relativi a quei luoghi e ai fatti che vi si sono svolti ( “desideraveram sempre, ut, ubicunque venissemus, sempre ipse locus de libro legeretur “4.3; cfr. anche X 3-5 ).
Egeria interessatissima alla dimensione spirituale del suo viaggio, non lo è di meno alla descrizione particolareggiata dei luoghi e degli ambienti.
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E poiché nelle minute descrizioni di Egeria si ripetono generalmente le stesse parole, senza che l’autrice veda in questo un inconveniente. Lo SPITZER ha parlato di uno ‘stile epico ‘ della pellegrina, accostabile alle chansons de geste francesi.
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Egeria conosce un solo modo di scrivere, il suo, proiettato nelle due direzioni della lingua parlata e del riempitivo formulare, si esprime dunque, non senza efficacia, nell’unico stile a sua disposizione: i suoi ‘errori’ rispetto alla norma di un latino classico che peraltro è fuori dal suo orizzonte culturale, sono involontari.
Il diario di Egeria s’iscrive di diritto al genere dell’autobiografia, di cui però è una realizzazione particolarissima: il suo viaggio infatti sarebbe immotivato se Egeria non fosse spinta da una ragione che va oltre la sua persona, dalla volontà di avere esperienza diretta di alcuni luoghi nei quali se è svolta la vicenda sacra consegnata alla Bibbia. Ovviamente Egeria conosce le verità della Bibbia prima di cominciare il pellegrinaggio, ma quando visita i luoghi santi, i dati topografici sono ugualmente riportati al libro per eccellenza del cristiano, con la lettura del passo relativo. Sulla verità già posseduta si saldano nuovamente le stesse verità, man mano che si snodano le tappe del viaggio: l’elemento autobiografico è preceduto e suggellato da una verità ormai scritta una volta per sempre ma che tuttavia rivive continuamente nelle coscienza del cristiano.
Così la peregrina Egeria, nella seconda metà del IV secolo, ci dà testimonianza della celebrazione a Gerusalemme, presso la basilica dell’Anastasi (Risurrezione) della festa dell’Incontro del Signore, con la proclamazione della pericope evangelica di Lc 2, 22-40.
Sembra scorretto, e in parte lo è, accostare due testi così distanti fra loro per il tempo, per le condizioni culturali, per la diversa tempra culturale , come la salita di Egeria sul Monte Sinai e l’ascensione sul Ventoso, in Francia, narrata da una celebre epistola del Petrarca ( Familiares IV 1 ).
Certo sia Egeria che Petrarca , giunti sulla cima del monte, lasciano che lo sguardo percorra i quattro punti cardinali, e ammirano l’una la penisola del Sinai fin verso l’Egitto e la Palestina con i due mari, il Mediterraneo e il Mar Rosso, l’altro le Alpi e, nella direzione opposta, verso i Pirenei, i monti del lionese, Marsiglia, il Rodano.
Cero l’esperienza dell’alpinista che, guadagnata la vetta, guarda le cime minori circostanti, e spinge l’occhio fino all’estremo orizzonte, non è stata provata solo da Egeria e dal Petrarca.
Il confronto può valere per precisare punti di divergenza piuttosto che di affinità. Già la tecnica dell’ascesa distingue i due scalatori: Egeria sale per una via diritta e ripida, l’unica praticabile.
Il Ventoso può essere percorso nello stesso modo, e così fa Gerardo, il fratello del Petrarca che con lui sale sui fianchi del monte. Francesco invece cerca una via meno faticosa, che però lo fa arrivare più tardi sulla cima. Gerardo era monaco, mentre Petrarca cercava nel mondo la via della salvezza. Il significato del testo si amplia fino a comprendere, accanto alla narrazione di un fatto, un blocco di allusioni all’ordine morale. …..
Diversamente dal Petrarca Egeria sale per una strada erta con fatica ma senza sofferenza, il motivo, come spiega con ingenua schiettezza l’autrice, è che per essere soddisfatto un suo acuto desiderio: rileggere la pagina della Bibbia trovandosi sul posto di un evento decisivo nella storia dell’umanità, come la consegna delle Tavole della Legge.
Anche nell’ Itinerarium , dunque, dato realistico ed esperienza religiosa s’incontrano, benché naturalmente la miscela sia assai meno complessa. Alla variata gradazione petrarchesca delle fasi dell’ascesa alternate agli sviluppi meditativi, corrisponde nell’Itinerarium la sequenza fissa della descrizione minuziosa del viaggio, delle accoglienze, degli elementi paesaggistici, e della lettura del passo biblico appropriato al luogo sacro.
Ma la capacità narrativa di Egeria non va sottovalutata; mi riferisco ad esempio almodo con cui ella presenta il massiccio del Sinai: da lontano appare un monte unico, ma la molteplicità delle vette si rivela solo quando ci si avvicina; i monti che circondano il Sinai sembrano e sono altissimi, ma quando si arriva sulla cima del Sinai propiamente detto, gli altri sembrano appena dei colli; il Sinai che è il monte più alto, si vede solo quando si arriva alle sue falde e allor si manifesta improvvisamente in tutta la sua imponenza.
Sembra scorretto, e in parte lo è, accostare due testi così distanti fra loro per il tempo, per le condizioni culturali, per la diversa tempra culturale , come la salita di Egeria sul Monte Sinai e l’ascensione sul Ventoso, in Francia, narrata da una celebre epistola del Petrarca ( Familiares IV 1 ).
Certo sia Egeria che Petrarca , giunti sulla cima del monte, lasciano che lo sguardo percorra i quattro punti cardinali, e ammirano l’una la penisola del Sinai fin verso l’Egitto e la Palestina con i due mari, il Mediterraneo e il Mar Rosso, l’altro le Alpi e, nella direzione opposta, verso i Pirenei, i monti del lionese, Marsiglia, il Rodano.
Cero l’esperienza dell’alpinista che, guadagnata la vetta, guarda le cime minori circostanti, e spinge l’occhio fino all’estremo orizzonte, non è stata provata solo da Egeria e dal Petrarca.
Il confronto può valere per precisare punti di divergenza piuttosto che di affinità. Già la tecnica dell’ascesa distingue i due scalatori: Egeria sale per una via diritta e ripida, l’unica praticabile.
Il Ventoso può essere percorso nello stesso modo, e così fa Gerardo, il fratello del Petrarca che con lui sale sui fianchi del monte. Francesco invece cerca una via meno faticosa, che però lo fa arrivare più tardi sulla cima. Gerardo era monaco, mentre Petrarca cercava nel mondo la via della salvezza. Il significato del testo si amplia fino a comprendere, accanto alla narrazione di un fatto, un blocco di allusioni all’ordine morale. …..
Diversamente dal Petrarca Egeria sale per una strada erta con fatica ma senza sofferenza, il motivo, come spiega con ingenua schiettezza l’autrice, è che per essere soddisfatto un suo acuto desiderio: rileggere la pagina della Bibbia trovandosi sul posto di un evento decisivo nella storia dell’umanità, come la consegna delle Tavole della Legge.
Anche nell’ Itinerarium , dunque, dato realistico ed esperienza religiosa s’incontrano, benché naturalmente la miscela sia assai meno complessa. Alla variata gradazione petrarchesca delle fasi dell’ascesa alternate agli sviluppi meditativi, corrisponde nell’Itinerarium la sequenza fissa della descrizione minuziosa del viaggio, delle accoglienze, degli elementi paesaggistici, e della lettura del passo biblico appropriato al luogo sacro.
Ma la capacità narrativa di Egeria non va sottovalutata; mi riferisco ad esempio almodo con cui ella presenta il massiccio del Sinai: da lontano appare un monte unico, ma la molteplicità delle vette si rivela solo quando ci si avvicina; i monti che circondano il Sinai sembrano e sono altissimi, ma quando si arriva sulla cima del Sinai propiamente detto, gli altri sembrano appena dei colli; il Sinai che è il monte più alto, si vede solo quando si arriva alle sue falde e allor si manifesta improvvisamente in tutta la sua imponenza.
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La larghezza dicevano che era di quattromila passi. Dunque noi dovevamo attraversare questa valle , per poter iniziare l’ascesa del monte. Questa è dunque la valle grande e pianeggiante nella quale risedettero i figli d’Israele in quei giorni in cui il santo Mosè sal’ sul monte di Dio e vi rimase per quaranta giorni e 40 notti. Questa è poi la valle nella quale fu fabbricato il vitello, e il luogo si addita ancor oggi, infatti una grande pietra sta lì conficcata sul luogo. Questa è inoltre la valle alla cuie estremità è quel luogo dove il santo mosè, mentre pasceva le pecore del suocero suo, due volte gli parlò Dio dal rovereto in fiamme. E poiché nel nostro cammino dovevamo prima salire sul monte di Dio , perché la salita era migliore dal lato da cui venivamo, e di lì di nuovo dovevamo discendere verso l’, Estremità della valle, cioè dove era il rovereto, perché di li era migliore la discesa del monte di Dio, perciò si decise che, visto tutto ciò che desideravamo, discendendo dal monte di Dio , andassimo dove è il rovereto e di lì per tutta la via tornassimo attraverso il centro della valle , nel senso della lunghezza, sul nostro cammino con i religiosi che attraverso la valle andavano mostrandoci i singoli luoghi che sono scritti ( nella Bibbia ), come anche si fece. Dunque giungendo noi dal luogo dove venendo da Fananavevamo pregato, il cammino fu di attraversare per il centro l’estremità della valle in modo da avvicinarsi al monte di Dio. ……..
La larghezza dicevano che era di quattromila passi. Dunque noi dovevamo attraversare questa valle , per poter iniziare l’ascesa del monte. Questa è dunque la valle grande e pianeggiante nella quale risedettero i figli d’Israele in quei giorni in cui il santo Mosè sal’ sul monte di Dio e vi rimase per quaranta giorni e 40 notti. Questa è poi la valle nella quale fu fabbricato il vitello, e il luogo si addita ancor oggi, infatti una grande pietra sta lì conficcata sul luogo. Questa è inoltre la valle alla cuie estremità è quel luogo dove il santo mosè, mentre pasceva le pecore del suocero suo, due volte gli parlò Dio dal rovereto in fiamme. E poiché nel nostro cammino dovevamo prima salire sul monte di Dio , perché la salita era migliore dal lato da cui venivamo, e di lì di nuovo dovevamo discendere verso l’, Estremità della valle, cioè dove era il rovereto, perché di li era migliore la discesa del monte di Dio, perciò si decise che, visto tutto ciò che desideravamo, discendendo dal monte di Dio , andassimo dove è il rovereto e di lì per tutta la via tornassimo attraverso il centro della valle , nel senso della lunghezza, sul nostro cammino con i religiosi che attraverso la valle andavano mostrandoci i singoli luoghi che sono scritti ( nella Bibbia ), come anche si fece. Dunque giungendo noi dal luogo dove venendo da Fananavevamo pregato, il cammino fu di attraversare per il centro l’estremità della valle in modo da avvicinarsi al monte di Dio. ……..