LALIBELA
Lalibela
LALIBELA
La Gerusalemme di Etiopia
Sull'altipiano etiope ad un'altitudine di 2700 m si trova una piccola città : Lalibela.
Qui 800 anni fa è stata realizzata l'ottava meraviglia del mondo: una costruzione di 11 chiese rupestri, scavate nella roccia tufacea, costruite senza muratura, né pietre né legname e collegate internamente con corridoi e cunicoli.
La leggenda racconta che per la loro rapida costruzione di giorno lavorarono gli uomini e di notte gli angeli.
La creazione di questo capolavoro si deve al mitico Re Lalibela.
Prima di allora il luogo si chiamava Roha, la capitale rurale del regno degli Zagwe, dinastia che governava i popoli di origine cuscita, gli eredi dell'impero di Axum (uno dei più antichi regni africani, dominio della regina di Saba), che si convertirono al cristianesimo nel 300.
Nella seconda metà del XII secolo, a Roha, nella casa reale nacque un bambino.
Un giorno, la madre trovò il bimbo circondato da uno sciame di api ed a quella vista, ricordò un' antico detto e gridò: "Le api sanno che questo bambino diventerà Re".
Perciò chiamò suo figlio Lalibela, che significa "le api riconoscono la sua sovranità".
Ciò sconvolse il fratello maggiore che cercò di liberarsi del predestinato avvelenandolo.
Ma proprio in punto di morte Dio stesso intervenne e gli ordinò di costruire quelle chiese.
Il giovane Re procurò muratori, falegnami e attrezzature e material e le chiese furono costruite una rapidità che sembrava miracolosa.
Ci sono documentazioni dalle cronache medievali che parlano dell'arrivo a Lalibela di oltre 500 operai, provenienti da Alessandria d'Egitto.
Gli architetti del cristianesimo copto costruirono la loro "Città Santa" fra i canyon e le montagne dell'Etiopia. Svuotarono quelle montagne, traforarono colline, intagliarono tunnel e passaggi sotterranei, scolpirono e crearono una città invisibile e cattedrali di roccia direttamente dalla montagna unite da un sistema di collegamento con gallerie.
Alcuni la chiamarono la Gerusalemme nera e Giordano fu detto il piccolo fiume che scorreva nella valle.
Tutte le chiese vennero lavorate sia all'esterno con porte, finestre impreziosite di fregi, sia all'interno dove le sale, gli archi e le colonne rispondono ad uno stile con influenze axsumite. Diverse chiese hanno il tetto a livello del terreno e quattro sorgono direttamente dalla roccia, saldate alla montagna dal pavimento;una chiesa, Bet Abba Libanos, è allacciata alla roccia solo dal soffitto, altre due sono fuse con le colline da una o più pareti.
Si narra che, quando il Re Lalibela ebbe quasi terminato la costruzione delle chiese, fu severamente rimproverato da San Giorgio che ne richiedeva una esclusivamente dedicata a lui. Immediatamente Lalibela promise al santo che gli avrebbe creato una chiesa ancora più bella. Sempre secondo la leggenda, San Giorgio sorvegliò l'esecuzione dei lavori di persona; un'impronta dello zoccolo del suo cavallo impressa nello scivolo-tunnel che conduce alla chiesa viene indicata dai monaci ai visitatori.
Isolata dalle altre, la bellissima chiesa Bet Giorgis (San Giorgio), è forse la più elegante, si trova in un affossamento e le sue pareti perpendicolari formano un perfetto monolite a forma di croce greca incassato per 13 metri nella roccia e collegato all'esterno da un lungo tunnel. Si trova ai confini del villaggio, isolata e distante dai due complessi di basiliche rupestri, è invisibile fino a quando non si arriva ad un passo dalla voragine che la nasconde.
L'unica chiesa affrescata è quella di Bet Maryam (casa di Maria) dedicata alla Madonna.
È la più amata, non solo dai sacerdoti di Lalibela, ma anche dalla moltitudine di pellegrini che si riversa sul sagrato nei giorni di festa.
Anche il Re Lalibela preferiva questa chiesa alle altre e vi faceva celebrare la messa quotidiana. Sulla parete orientale del sagrato, di fronte all'entrata principale, è ancora visibile un palco della famiglia reale di Lalibela.
Dalla chiesa di Bet Maryam una galleria conduce alla grotta della Trinità, luogo sacro e inaccessibile, dove sono custoditi i resti mortali del Re-fondatore della città rupestre; accanto a lui ci sarebbe la tomba vuota di Cristo, ma è impossibile saperne di più, i monaci-guardiani ne sbarrano l'accesso.
Per l'Unesco le chiese rupestri di Lalibela sono "Patrimonio dell'umanità", per gli Ortodossi costituiscono meta di pellegrinaggi e luoghi di preghiera; per la gente del posto sono opera degli angeli; per i turisti sono una meta da non perdere perché mostrano un paesaggio insolito che racchiude nelle chiese monolitiche storia, leggenda, splendori di regni ormai scomparsi e la genialità dei cristiani copti, che hanno saputo scolpire la propria fede nella roccia.
Oggi qui si incontrano pellegrini avvolti nei loro teli bianchi, donne e uomini, in severo stato di digiuno, sdraiati o appoggiati al bastone della preghiera, che partecipano alle cerimonie sacre recitando melodie, accompagnate dal ritmo di tamburi e sistri, e da danze rituali.
La Gerusalemme di Etiopia
Sull'altipiano etiope ad un'altitudine di 2700 m si trova una piccola città : Lalibela.
Qui 800 anni fa è stata realizzata l'ottava meraviglia del mondo: una costruzione di 11 chiese rupestri, scavate nella roccia tufacea, costruite senza muratura, né pietre né legname e collegate internamente con corridoi e cunicoli.
La leggenda racconta che per la loro rapida costruzione di giorno lavorarono gli uomini e di notte gli angeli.
La creazione di questo capolavoro si deve al mitico Re Lalibela.
Prima di allora il luogo si chiamava Roha, la capitale rurale del regno degli Zagwe, dinastia che governava i popoli di origine cuscita, gli eredi dell'impero di Axum (uno dei più antichi regni africani, dominio della regina di Saba), che si convertirono al cristianesimo nel 300.
Nella seconda metà del XII secolo, a Roha, nella casa reale nacque un bambino.
Un giorno, la madre trovò il bimbo circondato da uno sciame di api ed a quella vista, ricordò un' antico detto e gridò: "Le api sanno che questo bambino diventerà Re".
Perciò chiamò suo figlio Lalibela, che significa "le api riconoscono la sua sovranità".
Ciò sconvolse il fratello maggiore che cercò di liberarsi del predestinato avvelenandolo.
Ma proprio in punto di morte Dio stesso intervenne e gli ordinò di costruire quelle chiese.
Il giovane Re procurò muratori, falegnami e attrezzature e material e le chiese furono costruite una rapidità che sembrava miracolosa.
Ci sono documentazioni dalle cronache medievali che parlano dell'arrivo a Lalibela di oltre 500 operai, provenienti da Alessandria d'Egitto.
Gli architetti del cristianesimo copto costruirono la loro "Città Santa" fra i canyon e le montagne dell'Etiopia. Svuotarono quelle montagne, traforarono colline, intagliarono tunnel e passaggi sotterranei, scolpirono e crearono una città invisibile e cattedrali di roccia direttamente dalla montagna unite da un sistema di collegamento con gallerie.
Alcuni la chiamarono la Gerusalemme nera e Giordano fu detto il piccolo fiume che scorreva nella valle.
Tutte le chiese vennero lavorate sia all'esterno con porte, finestre impreziosite di fregi, sia all'interno dove le sale, gli archi e le colonne rispondono ad uno stile con influenze axsumite. Diverse chiese hanno il tetto a livello del terreno e quattro sorgono direttamente dalla roccia, saldate alla montagna dal pavimento;una chiesa, Bet Abba Libanos, è allacciata alla roccia solo dal soffitto, altre due sono fuse con le colline da una o più pareti.
Si narra che, quando il Re Lalibela ebbe quasi terminato la costruzione delle chiese, fu severamente rimproverato da San Giorgio che ne richiedeva una esclusivamente dedicata a lui. Immediatamente Lalibela promise al santo che gli avrebbe creato una chiesa ancora più bella. Sempre secondo la leggenda, San Giorgio sorvegliò l'esecuzione dei lavori di persona; un'impronta dello zoccolo del suo cavallo impressa nello scivolo-tunnel che conduce alla chiesa viene indicata dai monaci ai visitatori.
Isolata dalle altre, la bellissima chiesa Bet Giorgis (San Giorgio), è forse la più elegante, si trova in un affossamento e le sue pareti perpendicolari formano un perfetto monolite a forma di croce greca incassato per 13 metri nella roccia e collegato all'esterno da un lungo tunnel. Si trova ai confini del villaggio, isolata e distante dai due complessi di basiliche rupestri, è invisibile fino a quando non si arriva ad un passo dalla voragine che la nasconde.
L'unica chiesa affrescata è quella di Bet Maryam (casa di Maria) dedicata alla Madonna.
È la più amata, non solo dai sacerdoti di Lalibela, ma anche dalla moltitudine di pellegrini che si riversa sul sagrato nei giorni di festa.
Anche il Re Lalibela preferiva questa chiesa alle altre e vi faceva celebrare la messa quotidiana. Sulla parete orientale del sagrato, di fronte all'entrata principale, è ancora visibile un palco della famiglia reale di Lalibela.
Dalla chiesa di Bet Maryam una galleria conduce alla grotta della Trinità, luogo sacro e inaccessibile, dove sono custoditi i resti mortali del Re-fondatore della città rupestre; accanto a lui ci sarebbe la tomba vuota di Cristo, ma è impossibile saperne di più, i monaci-guardiani ne sbarrano l'accesso.
Per l'Unesco le chiese rupestri di Lalibela sono "Patrimonio dell'umanità", per gli Ortodossi costituiscono meta di pellegrinaggi e luoghi di preghiera; per la gente del posto sono opera degli angeli; per i turisti sono una meta da non perdere perché mostrano un paesaggio insolito che racchiude nelle chiese monolitiche storia, leggenda, splendori di regni ormai scomparsi e la genialità dei cristiani copti, che hanno saputo scolpire la propria fede nella roccia.
Oggi qui si incontrano pellegrini avvolti nei loro teli bianchi, donne e uomini, in severo stato di digiuno, sdraiati o appoggiati al bastone della preghiera, che partecipano alle cerimonie sacre recitando melodie, accompagnate dal ritmo di tamburi e sistri, e da danze rituali.
BISNOI
Bisnoi
Devoti alla natura I Bishnoi
Il Grande Deserto Indiano è una vasta regione, settima nella graduatoria mondiale delle estensioni dei deserti, che si trova nella parte nord occidentale del subcontinente indiano. Si chiama anche deserto del Thar e tocca quattro stati dell' India, in maggior parte occupa quello del Rajasthan occidentale.
In questo deserto si trova la duna del Samrathal, importante perché meta di un pellegrinaggio che nasce da una speciale devozione. Vi si trova un mausoleo di marmo, luogo sacro di sepoltura di un guru, Jambeshwar Bhagavan, il fondatore della comunità Bishnoi. I membri di questa comunità vanno in pellegrinaggio ad onorare questa tomba con preghiere e riti, ma il loro obbiettivo non si esaurisce con questa fedeltà. L’ultimo impegno della loro meta è scalare la duna per arricchirla di un mucchietto di sabbia che ognuno ha portato dentro una sciarpa, il gesto potrà rendere la duna più alta e più forte barriera contro il vento del deserto. In questo modo i Bishnois cercano di proteggere meglio i loro raccolti ed i loro amati alberi che loro considerano come loro simili; questo aveva detto loro di fare il grande guru! Questa storia è cominciata nel 1458, nelle terre di Marusthal, durante il regno chiamato Marwar. Una tremenda carestia faceva emigrare migliaia di contadini quando il guru Jambeshwar Bhagavan si propose di fermarli. Cominciò a girare fra loro per convincerli a non lasciare la propria terra, accettandone anche la sua durezza, a non darsi per vinti e affrontare con uno spirito nuovo e con nuove regole un diverso rapporto con la natura .
Oltre alla carestia la popolazione era stremata anche dagli scontri provocati da gruppi mussulmani che si erano insediati in quelle zone. Il guru ebbe anche l’ intuizione di studiare il modo di far coesistere gli elementi fondamentali delle due religioni, creando un ambiente operoso e pacifico. attraverso la composizione di nuove regole di vita. Furono stabilite 29 regole sulle quali creare una nuova comunità.
Bish = venti e Noi = nove .
Bishnoi fu il nome della nuova comunità.
Si scavarono pozzi, si costruirono cisterne, siimpose di difendere e diffondere il concetto di purezza e di pulizia del corpo e dell’ambiente, ma soprattutto Jambeshwar insegnò a comprendere il concetto di superfluo, il rifiuto dell’avidità e l’attenzione a non possedere più del proprio fabbisogno. Si stabilì che i morti dovessero essere seppelliti e non più cremati evitando lo spreco del legno; si impararono nuove regole di pulizia e di igiene per mantenere la persona e renderla più forte anche nelle difficoltà.
Il Grande Deserto Indiano è una vasta regione, settima nella graduatoria mondiale delle estensioni dei deserti, che si trova nella parte nord occidentale del subcontinente indiano. Si chiama anche deserto del Thar e tocca quattro stati dell' India, in maggior parte occupa quello del Rajasthan occidentale.
In questo deserto si trova la duna del Samrathal, importante perché meta di un pellegrinaggio che nasce da una speciale devozione. Vi si trova un mausoleo di marmo, luogo sacro di sepoltura di un guru, Jambeshwar Bhagavan, il fondatore della comunità Bishnoi. I membri di questa comunità vanno in pellegrinaggio ad onorare questa tomba con preghiere e riti, ma il loro obbiettivo non si esaurisce con questa fedeltà. L’ultimo impegno della loro meta è scalare la duna per arricchirla di un mucchietto di sabbia che ognuno ha portato dentro una sciarpa, il gesto potrà rendere la duna più alta e più forte barriera contro il vento del deserto. In questo modo i Bishnois cercano di proteggere meglio i loro raccolti ed i loro amati alberi che loro considerano come loro simili; questo aveva detto loro di fare il grande guru! Questa storia è cominciata nel 1458, nelle terre di Marusthal, durante il regno chiamato Marwar. Una tremenda carestia faceva emigrare migliaia di contadini quando il guru Jambeshwar Bhagavan si propose di fermarli. Cominciò a girare fra loro per convincerli a non lasciare la propria terra, accettandone anche la sua durezza, a non darsi per vinti e affrontare con uno spirito nuovo e con nuove regole un diverso rapporto con la natura .
Oltre alla carestia la popolazione era stremata anche dagli scontri provocati da gruppi mussulmani che si erano insediati in quelle zone. Il guru ebbe anche l’ intuizione di studiare il modo di far coesistere gli elementi fondamentali delle due religioni, creando un ambiente operoso e pacifico. attraverso la composizione di nuove regole di vita. Furono stabilite 29 regole sulle quali creare una nuova comunità.
Bish = venti e Noi = nove .
Bishnoi fu il nome della nuova comunità.
Si scavarono pozzi, si costruirono cisterne, siimpose di difendere e diffondere il concetto di purezza e di pulizia del corpo e dell’ambiente, ma soprattutto Jambeshwar insegnò a comprendere il concetto di superfluo, il rifiuto dell’avidità e l’attenzione a non possedere più del proprio fabbisogno. Si stabilì che i morti dovessero essere seppelliti e non più cremati evitando lo spreco del legno; si impararono nuove regole di pulizia e di igiene per mantenere la persona e renderla più forte anche nelle difficoltà.
Khejri cineraria Prosopis
I pochi alberi non rimasero più alla mercé del caldo e della sete, e da allora la comunità divide la propria acqua anche quando è scarsa con le piante ed il cibo con gli animali.
Oggi i Bishnois sono una comunità di sei milioni di devoti disseminati tra il Rajasthan e le regioni vicine, che vive secondo una vera e propria religione di pace, rispetta un regime vegetariano e un attenta pratica igienica.
Un particolare albero contribuisce al loro sostentamento soprattutto nei momenti di maggiore siccità. Si chiama Khejri, cineraria Prosopis, un piccolo albero che riesce a sopportare più delle altre piante i venti più caldi e la stagione più secca. Resiste alla siccità perché le sue radici arrivano fino a 100 metri di profondità, le sue foglie essiccate sono un ottimo foraggio per gli animali, i suoi frutti quando sono ancora acerbi vengono cucinati, da maturi sono preziosi. Un detto popolare ricorda che la morte non raggiunge un uomo anche in tempo di carestia se intorno a lui c’è un Khejri, una capra e un cammello.
Nonostante una realtà ambientale dura per la sopravvivenza la comunità continua a seguire queste regole di vita e le nuove generazioni crescono nel totale rispetto della natura, degli animali e delle piante mostrando infine anche di godere di uno stato di buona salute. Intorno ai villaggi Bishnoi si incontrano animali in assoluta libertà, il cervo maculato, antilopi e il buck nero. Accade ancora che cacciatori si avventurino in quelle zone per la facilità di trovare queste preziose prede, ma i Bishnois difendono i loro animali con molta attenzione e, se scoperti, i cacciatori vengono sottoposti ad un severo metodo di rieducazione sul rispetto degli animali e della natura. Questa cultura ha portato i suoi effetti anche su altre tribù vicine che hanno finito per abbandonare le loro antiche pratiche di sacrifici di animali agli dei. I villaggi Bishnoi sono caratterizzati dai colori vivaci delle vesti femminili, il rosso e l’arancio, mentre tutti gli uomini vestono solo di bianco. L’attività principale della comunità è la cura dei campi per i quattro mesi all’anno in cui è possibile la coltivazione, poi si rivolge con grande maestria alla lavorazione del legno, legno rigorosamente ottenuto solo da alberi caduti o morti. Le coltivazioni riguardano solo le piante di cui possono consumare i semi, o i tuberi, con la grande accortezza di mantenere sempre in vita la pianta che è la fonte del loro alimento.
Oggi i Bishnois sono una comunità di sei milioni di devoti disseminati tra il Rajasthan e le regioni vicine, che vive secondo una vera e propria religione di pace, rispetta un regime vegetariano e un attenta pratica igienica.
Un particolare albero contribuisce al loro sostentamento soprattutto nei momenti di maggiore siccità. Si chiama Khejri, cineraria Prosopis, un piccolo albero che riesce a sopportare più delle altre piante i venti più caldi e la stagione più secca. Resiste alla siccità perché le sue radici arrivano fino a 100 metri di profondità, le sue foglie essiccate sono un ottimo foraggio per gli animali, i suoi frutti quando sono ancora acerbi vengono cucinati, da maturi sono preziosi. Un detto popolare ricorda che la morte non raggiunge un uomo anche in tempo di carestia se intorno a lui c’è un Khejri, una capra e un cammello.
Nonostante una realtà ambientale dura per la sopravvivenza la comunità continua a seguire queste regole di vita e le nuove generazioni crescono nel totale rispetto della natura, degli animali e delle piante mostrando infine anche di godere di uno stato di buona salute. Intorno ai villaggi Bishnoi si incontrano animali in assoluta libertà, il cervo maculato, antilopi e il buck nero. Accade ancora che cacciatori si avventurino in quelle zone per la facilità di trovare queste preziose prede, ma i Bishnois difendono i loro animali con molta attenzione e, se scoperti, i cacciatori vengono sottoposti ad un severo metodo di rieducazione sul rispetto degli animali e della natura. Questa cultura ha portato i suoi effetti anche su altre tribù vicine che hanno finito per abbandonare le loro antiche pratiche di sacrifici di animali agli dei. I villaggi Bishnoi sono caratterizzati dai colori vivaci delle vesti femminili, il rosso e l’arancio, mentre tutti gli uomini vestono solo di bianco. L’attività principale della comunità è la cura dei campi per i quattro mesi all’anno in cui è possibile la coltivazione, poi si rivolge con grande maestria alla lavorazione del legno, legno rigorosamente ottenuto solo da alberi caduti o morti. Le coltivazioni riguardano solo le piante di cui possono consumare i semi, o i tuberi, con la grande accortezza di mantenere sempre in vita la pianta che è la fonte del loro alimento.
La collina di sabbia
Accanto al nome Bishnoi si ricorda
“ Il grande sacrificio “e non è una leggenda!
E’accaduto nel 1730 quando il maharaja di Jodhpur, Abhay Singh, ordinò ai suoi soldati di andare a tagliare un grande quantità di alberi necessari per abbellire il suo palazzo. Gli abitanti del villaggio si posero come scudo e rimasero abbracciati agli alberi mentre i soldati li abbattevano. Amrita Devi è il nome della vittima simbolo di questa vicenda, insieme alle sue figlie e a 366 Bishnois morì in difesa della vita degli alberi.
Un’altra storia come questa è stata raccontata in un film che ha vinto il premio per l’ambiente al 5° Festival Internazionale di Film di Bratislava, nell’ottobre del 1996. Nihal Chand Bishnoi sacrifica la sua vita per proteggere gli animali selvatici.
I Bishnois As we take a tour around the village, we come across giggling women in colorful clothes, sturdy men in their traditional white dhoti-kurtas zooming around on their motorbikes, sparkling clean mud houses and an occasional carpenter carving wood with intense concentration.non ricevono alcun aiuto dal governo perché ritengono che ogni società deve risolvere i propri problemi nel suo interno. Ogni anno il 5 giugno si celebra la Giornata Mondiale dell'Ambiente tenuta dalla Comunità Bishnoi assieme agli ambientalisti di tutto il mondo.
Grande esempio!
I Bishnois fanno di un pellegrinaggio non solo un simbolo, non solo una meta da raggiungere, ma anche un impegno di costruzione di una vita migliore.
Lucia Mazzucco
“ Il grande sacrificio “e non è una leggenda!
E’accaduto nel 1730 quando il maharaja di Jodhpur, Abhay Singh, ordinò ai suoi soldati di andare a tagliare un grande quantità di alberi necessari per abbellire il suo palazzo. Gli abitanti del villaggio si posero come scudo e rimasero abbracciati agli alberi mentre i soldati li abbattevano. Amrita Devi è il nome della vittima simbolo di questa vicenda, insieme alle sue figlie e a 366 Bishnois morì in difesa della vita degli alberi.
Un’altra storia come questa è stata raccontata in un film che ha vinto il premio per l’ambiente al 5° Festival Internazionale di Film di Bratislava, nell’ottobre del 1996. Nihal Chand Bishnoi sacrifica la sua vita per proteggere gli animali selvatici.
I Bishnois As we take a tour around the village, we come across giggling women in colorful clothes, sturdy men in their traditional white dhoti-kurtas zooming around on their motorbikes, sparkling clean mud houses and an occasional carpenter carving wood with intense concentration.non ricevono alcun aiuto dal governo perché ritengono che ogni società deve risolvere i propri problemi nel suo interno. Ogni anno il 5 giugno si celebra la Giornata Mondiale dell'Ambiente tenuta dalla Comunità Bishnoi assieme agli ambientalisti di tutto il mondo.
Grande esempio!
I Bishnois fanno di un pellegrinaggio non solo un simbolo, non solo una meta da raggiungere, ma anche un impegno di costruzione di una vita migliore.
Lucia Mazzucco
GIAPPONE
Giappone
SIKOKU , una delle quattro isole più importanti del Giappone è un luogo di grande richiamo religioso, importante anche per il rito del pellegrinaggio.
Si racconta che la sacralità dell’ isola provenga dal grande KUKAI, un maestro e monaco di grande levatura, vissuto nel periodo storico HEIAN, che raggiunse questo luogo, allora isolato, per la meditazione e la ricerca dell’illuminazione.
Kukai divenne il fondatore di un ramo del buddismo, quello chiamato SHINGON.
Monaci buddisti provenienti da tutto il Giappone vollero seguire le orme del maestro e nacque la pratica di raggiungere questa isola.
Nel periodo EDO la devozione cominciò a diffondersi anche nella popolazione.
Oggi, nell’isola si trovano ottantotto grandi templi e numerosi altri di minore importanza dedicati al culto ed alla pratica buddista.
Sono collegati fra loro in un percorso lungo da 1220 a 1400 chilometri che può essere fatto a piedi o con altri mezzi.
Lungo il percorso che tocca le 88 chiese si trovano luoghi che offrono cibo e alloggio a piccolo prezzo e in qualche caso anche senza richiedere compenso.
Le persone che vivono lungo il percorso sono solite fare offerte ai pellegrini con la convinzione che ciò sarà propizio per loro.
Si racconta che la sacralità dell’ isola provenga dal grande KUKAI, un maestro e monaco di grande levatura, vissuto nel periodo storico HEIAN, che raggiunse questo luogo, allora isolato, per la meditazione e la ricerca dell’illuminazione.
Kukai divenne il fondatore di un ramo del buddismo, quello chiamato SHINGON.
Monaci buddisti provenienti da tutto il Giappone vollero seguire le orme del maestro e nacque la pratica di raggiungere questa isola.
Nel periodo EDO la devozione cominciò a diffondersi anche nella popolazione.
Oggi, nell’isola si trovano ottantotto grandi templi e numerosi altri di minore importanza dedicati al culto ed alla pratica buddista.
Sono collegati fra loro in un percorso lungo da 1220 a 1400 chilometri che può essere fatto a piedi o con altri mezzi.
Lungo il percorso che tocca le 88 chiese si trovano luoghi che offrono cibo e alloggio a piccolo prezzo e in qualche caso anche senza richiedere compenso.
Le persone che vivono lungo il percorso sono solite fare offerte ai pellegrini con la convinzione che ciò sarà propizio per loro.
DOGYO FUTARI
I pellegrini portano una scritta DOGYO FUTARI , è un detto che significa che sulla strada il pellegrino non è mai solo, sono sempre in due perché il grande maestro affianca tutti nel cammino.
Per tutto l’itinerario occorrono dai 30 ai 60 giorni, può essere fatto a piedi o con diversi mezzi.
Fino a poco tempo fa l’isola si poteva raggiungere solo via mare.
E divisa in due da aspre catene di monti. La parte settentrionale si affaccia sul Mare Interno, ha un clima secco e piogge molto scarse. La parte meridionale si affaccia sull'Oceano Pacifico, dove non sono rare le tempeste di mare e la pioggia è frequente tutto l'anno.
Il clima di Shikoku è temperato ed è caratterizzato da inverni particolarmente miti. I monti arrivano a toccare i 2000 metri e sono solcati da gole e vallate meravigliose. nelle sue valli si possono incontrare paesi di contadini che mantengono quasi inalterate le caratteristiche architettoniche risalenti al periodo Edo (1603-1868).
Nel 1989 è stato aperto il ponte Seto che collega Shikoku a Honshu.
Nell’isola il 53,2% della popolazione è scintoista e il 40,9% buddista
JNKO SONODA
Per tutto l’itinerario occorrono dai 30 ai 60 giorni, può essere fatto a piedi o con diversi mezzi.
Fino a poco tempo fa l’isola si poteva raggiungere solo via mare.
E divisa in due da aspre catene di monti. La parte settentrionale si affaccia sul Mare Interno, ha un clima secco e piogge molto scarse. La parte meridionale si affaccia sull'Oceano Pacifico, dove non sono rare le tempeste di mare e la pioggia è frequente tutto l'anno.
Il clima di Shikoku è temperato ed è caratterizzato da inverni particolarmente miti. I monti arrivano a toccare i 2000 metri e sono solcati da gole e vallate meravigliose. nelle sue valli si possono incontrare paesi di contadini che mantengono quasi inalterate le caratteristiche architettoniche risalenti al periodo Edo (1603-1868).
Nel 1989 è stato aperto il ponte Seto che collega Shikoku a Honshu.
Nell’isola il 53,2% della popolazione è scintoista e il 40,9% buddista
JNKO SONODA
EL ROCIO
El Rocio
Si chiama Pellegrinaggio del Rocío un grande richiamo di pellegrini che avviene ogni anno nella settimana di pentecoste nel villaggio del Rocio nella Huelva di Almonte nella Spagna del sud.
E’ una di quelle feste Andaluse che accomunano fede e paganesimo con una partecipazione animata da canti suoni danze e preghiere.
La devozione è rivolta a La Vergine del Rocío o, la Blanca Paloma o la Reina de las Marismas così chiamata a seconda dei riferimenti alla sua tradizione. Questa devozione proviene dal quindicesimo secolo, quando un cacciatore trovò una statua della Vergine Maria nel tronco di un albero. Altre fonti parlano di una vera e propria apparizione della Vergine vicino al tronco di una quercia che chiedeva ad un cacciatore la costruzione di un eremo nella zona de Las Marismas, una località conosciuta come La Rocina.
E’ una di quelle feste Andaluse che accomunano fede e paganesimo con una partecipazione animata da canti suoni danze e preghiere.
La devozione è rivolta a La Vergine del Rocío o, la Blanca Paloma o la Reina de las Marismas così chiamata a seconda dei riferimenti alla sua tradizione. Questa devozione proviene dal quindicesimo secolo, quando un cacciatore trovò una statua della Vergine Maria nel tronco di un albero. Altre fonti parlano di una vera e propria apparizione della Vergine vicino al tronco di una quercia che chiedeva ad un cacciatore la costruzione di un eremo nella zona de Las Marismas, una località conosciuta come La Rocina.
i carri
Il Pellegrinaggio del Rocío riesce a riunire i fedeli provenienti da ogni regione, sono i "romeros", i pellegrini, e alcuni di loro percorrono anche mille chilometri a piedi formando un corteo colorato e musicale proveniente da tutta la Spagna.
La caratteristica del pellegrinaaggio del Rocío che lo differenzia dagli altri pellegrinaggi e dalle altre feste religiose della Spagna sta nelle Hermandades e nel Camino.
Le Hermandades sono confraternite fondate per il culto della Vergine e composte da poche centinaia a qualche migliaio di "rocieros"nate nelle località vicine al Rocío e poi diffuse alle città andaluse e alle grandi località della Spagna raggiunte dall’emigrazione andalusa.
Quando nasce una Hermandad si allestisce un carro per accogliere un altare in argento con un tabernacolo, riccamente lavorato, il Sinpecado (senza peccato) sul quale è posta l'immagine della Vergine.Il Sinpecado è venerato per tutto l'anno nella sede dell'Hermandad e in occasione della Pentecoste viene condotto al Rocío, a salutare e rendere omaggio alla Virgen, in una marcia di trasferimento chiamata Camino.
Il Camino rappresenta uno dei momenti più autenticamente genuini e folcloristici della Romería e non è azzardato affermare che esistano due Rocío: quello del Camino e quello delle cerimonie religiose e dei festeggiamenti nelle case e nelle strade che circondano l'antica Ermita, oggi basilica. Secondo la distanza che separa la città di una Hermandad da Almonte, il Camino può durare da uno a più giorni e viene compiuto a piedi o a cavallo. Ci sono Hermandades anche lontane ma trovano il mondo di raggiungere il Rocio ogni anno per la settimana di pentecoste.
La caratteristica del pellegrinaaggio del Rocío che lo differenzia dagli altri pellegrinaggi e dalle altre feste religiose della Spagna sta nelle Hermandades e nel Camino.
Le Hermandades sono confraternite fondate per il culto della Vergine e composte da poche centinaia a qualche migliaio di "rocieros"nate nelle località vicine al Rocío e poi diffuse alle città andaluse e alle grandi località della Spagna raggiunte dall’emigrazione andalusa.
Quando nasce una Hermandad si allestisce un carro per accogliere un altare in argento con un tabernacolo, riccamente lavorato, il Sinpecado (senza peccato) sul quale è posta l'immagine della Vergine.Il Sinpecado è venerato per tutto l'anno nella sede dell'Hermandad e in occasione della Pentecoste viene condotto al Rocío, a salutare e rendere omaggio alla Virgen, in una marcia di trasferimento chiamata Camino.
Il Camino rappresenta uno dei momenti più autenticamente genuini e folcloristici della Romería e non è azzardato affermare che esistano due Rocío: quello del Camino e quello delle cerimonie religiose e dei festeggiamenti nelle case e nelle strade che circondano l'antica Ermita, oggi basilica. Secondo la distanza che separa la città di una Hermandad da Almonte, il Camino può durare da uno a più giorni e viene compiuto a piedi o a cavallo. Ci sono Hermandades anche lontane ma trovano il mondo di raggiungere il Rocio ogni anno per la settimana di pentecoste.
la Paloma
La parte ludica di questa ricorrenza non è inferiore all’importanza religiosa della imponente Romería di Pentecoste.
Il viaggio culmina nella domenica con la messa celebrata dal vescovo di Huelva e prosegue fino al lunedì quando la statua della Virgen del Rocio, trasportata dalla Hermandad di Almonte, esce dalla chiesa. Il lunedì è il massimo della festa.La gente si prepara, sfoggia i costumi tradizionale, si organizza, e piano piano si avvicina al santuario riempiendo il grande piazzale, di musica, di canti e di preghiere. L'attesa per l'uscita della statua della Virgen del Rocio dalla Chiesa è spasmodica. Dopo ore di attesa essa appare sulla porta, portata dalla Hermandad di Almonte, l'unica ad avere questo privilegio.
In queste terre che hanno assistito a continui passaggi di genti e alternanze di religioni, è difficile risalire con precisione storica alle origini di questa tradizione; alcuni studiosi ritengono possibile che il culto sia nato prima del cristianesimo.
Alcune divinità pagane, ad esempio, potevano essere adorate nello stesso punto delle Marismas (maremme) del Guadalquivir che in seguito fu teatro dell'occupazione moresca e - verso la fine del XIII secolo - della costruzione di un eremo cristiano destinato alla venerazione di un'immagine gotica chiamata Santa Maria de las Rocinas, divenuta "el Rocío" in epoca barocca.
Con il trascorrere del tempo il pellegrinaggio alla Virgen si è consolidato: l’eremo è diventato una basilica, e la partecipazione è sempre più grande.
Il viaggio culmina nella domenica con la messa celebrata dal vescovo di Huelva e prosegue fino al lunedì quando la statua della Virgen del Rocio, trasportata dalla Hermandad di Almonte, esce dalla chiesa. Il lunedì è il massimo della festa.La gente si prepara, sfoggia i costumi tradizionale, si organizza, e piano piano si avvicina al santuario riempiendo il grande piazzale, di musica, di canti e di preghiere. L'attesa per l'uscita della statua della Virgen del Rocio dalla Chiesa è spasmodica. Dopo ore di attesa essa appare sulla porta, portata dalla Hermandad di Almonte, l'unica ad avere questo privilegio.
In queste terre che hanno assistito a continui passaggi di genti e alternanze di religioni, è difficile risalire con precisione storica alle origini di questa tradizione; alcuni studiosi ritengono possibile che il culto sia nato prima del cristianesimo.
Alcune divinità pagane, ad esempio, potevano essere adorate nello stesso punto delle Marismas (maremme) del Guadalquivir che in seguito fu teatro dell'occupazione moresca e - verso la fine del XIII secolo - della costruzione di un eremo cristiano destinato alla venerazione di un'immagine gotica chiamata Santa Maria de las Rocinas, divenuta "el Rocío" in epoca barocca.
Con il trascorrere del tempo il pellegrinaggio alla Virgen si è consolidato: l’eremo è diventato una basilica, e la partecipazione è sempre più grande.
Coto Donana
Il fascino della grande chiesa bianca, è completato da una palude che si trova ai suoi piedi dove convivono e si alimentano uccelli acquatici, cavalli e fenicotteri rosa. Arrivare da una strada alquanto arida e trovarsi improvvisamente immersi in questo speciale spazio verde sottolinea il valore e il ripetersi di questo enorme pellegrinaggio. E’ un posto che ha qualcosa di magico ed irripetibile, un luogo paradisiaco alle porte del Parco di Doñana alle foci del Guadalquivir, a sud-ovest di Sevilla.
Il Parque Nacional de Donana è il più importante parco naturale della Spagna ed è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Il parco è uno dei pochi habitat protetti per la sopravvivenza di animali in via d’estinzione come l’aquila imperiale spagnola e la lince pardina. Il parco offre dei paesaggi meravigliosi ed unici, come le marismas, le paludi del delta del Guadalquivir, secche in estate, ricche di uccelli migratori acquatici in autunno
Il Parque Nacional de Donana è il più importante parco naturale della Spagna ed è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Il parco è uno dei pochi habitat protetti per la sopravvivenza di animali in via d’estinzione come l’aquila imperiale spagnola e la lince pardina. Il parco offre dei paesaggi meravigliosi ed unici, come le marismas, le paludi del delta del Guadalquivir, secche in estate, ricche di uccelli migratori acquatici in autunno
KAILASH
La montagna sacra Kailash
Monte Kailash
La montagna più bella e più sacra del mondo si trova in Tibet.
E’ il Monte Kailash alto 6.714 m.; la sua vetta non è mai stata scalata
E’ la montagna sacra più importante di tutta l’Asia, venerata da oltre mezzo miliardo di persone in India, Tibet, Nepal e Bhutan.
E’ sacra per i tibetani di fede Bon, quella antica religione preesistente all’arrivo del Buddismo in Tibet, e viene chiamata ” il gigante di cristallo” sul quale Thonpa Shenrab, il fondatore della religione, discese sulla Terra dal cielo..
Gli induisti la considerano la dimora di Shiva che vi risiede insieme alla consorte Parvati.
Per i buddisti è la dimora della divinità tantrica Chakrasamvara e della sua consorte Vajravarahi.
Gli jainisti la adorano come Monte Ashtapada, il luogo dove il grande saggio e fondatore della religione Rishabanatha ricevette l’illuminazione.
Situato sull’Altopiano del Tibet dietro la catena principale dell’Himalaya il monte Kailas si trova nel punto più elevato dell’altopiano del Tibet e dal suo territorio nascono i quattro principali fiumi del subcontinente indiano: il Karnali, importante affluente del Gange, l’Indo, il Brahmaputra e il Sutlej. Le loro sorgenti si trovano tutte nel raggio di 100 km, da qui si diramano verso i rispettivi estuari che sono a più di 2000 km di distanza l’uno dall’altro.
Per i tibetani, come per gli induisti contemplare almeno una volta nella vita la montagna sacra rappresenta un sogno: là è lo spazio divino dove poter apprendere la potenza e la saggezza che rende liberi dalla schiavitù della sofferenza. Fare il pellegrinaggio alla montagna, significa raggiungere il centro dell’universo, il luogo dove ogni cosa ha inizio e fine e trova il suo significato.
Si chiama Kora, il percorso circolare che viene compiuto in senso orario attorno alla montagna sacra, ed è la meta finale del pellegrinaggio per il quale sono necessari tre giorni, per pregare e compiere riti.
Il pellegrinaggio richiede un certo allenamento anche per via dell’ altitudine, per questo è previsto un accampamento a 5.000 metri.
Una organizzazione prepara il pellegrinaggio ogni anno da giugno a settembre al quale partecipano in totale 900 fedeli suddivisi in 16 gruppi. Si tratta di un faticoso trekking di 800 chilometri ad un’altitudine elevata, che attraversa alcuni dei più spettacolari paesaggi himalayani. Sospeso dopo l’invasione cinese del Tibet, il pellegrinaggio al Kailash e al lago sacro di Mansarovar è ripreso nel 1981 grazie ad un trattato bilaterale tra India e Cina.
Saga Dawa
Saga Dawa è la più importante festa annuale del Kailash, cade nel giorno di luna piena del quarto mese lunare (secondo il calendario tibetano), in questi giorni il gigantesco palo con le bandiere di preghiera, il Tarboche, viene abbattuto e le bandiere sostituite.
Pellegrini tibetani confluiscono nella zona da tutto il paese, spesso anche con parecchi giorni di anticipo, portando con sè merci e prodotti da vendere con il risultato di creare un considerevole e vivace movimento.
La cerimonia del palo che viene eretto e puntato ad est verso il Monastero di Gyangdrak è seguita dai monaci con appositi riti e con una cacofonia di corni, conchiglie ed altri strumenti per dare il benvenuto al nuovo innalzarsi del palo. Una volta completamente posizionato, i tibetani trarranno auspici dalla posizione finale del Tarboche.
La montagna più bella e più sacra del mondo si trova in Tibet.
E’ il Monte Kailash alto 6.714 m.; la sua vetta non è mai stata scalata
E’ la montagna sacra più importante di tutta l’Asia, venerata da oltre mezzo miliardo di persone in India, Tibet, Nepal e Bhutan.
E’ sacra per i tibetani di fede Bon, quella antica religione preesistente all’arrivo del Buddismo in Tibet, e viene chiamata ” il gigante di cristallo” sul quale Thonpa Shenrab, il fondatore della religione, discese sulla Terra dal cielo..
Gli induisti la considerano la dimora di Shiva che vi risiede insieme alla consorte Parvati.
Per i buddisti è la dimora della divinità tantrica Chakrasamvara e della sua consorte Vajravarahi.
Gli jainisti la adorano come Monte Ashtapada, il luogo dove il grande saggio e fondatore della religione Rishabanatha ricevette l’illuminazione.
Situato sull’Altopiano del Tibet dietro la catena principale dell’Himalaya il monte Kailas si trova nel punto più elevato dell’altopiano del Tibet e dal suo territorio nascono i quattro principali fiumi del subcontinente indiano: il Karnali, importante affluente del Gange, l’Indo, il Brahmaputra e il Sutlej. Le loro sorgenti si trovano tutte nel raggio di 100 km, da qui si diramano verso i rispettivi estuari che sono a più di 2000 km di distanza l’uno dall’altro.
Per i tibetani, come per gli induisti contemplare almeno una volta nella vita la montagna sacra rappresenta un sogno: là è lo spazio divino dove poter apprendere la potenza e la saggezza che rende liberi dalla schiavitù della sofferenza. Fare il pellegrinaggio alla montagna, significa raggiungere il centro dell’universo, il luogo dove ogni cosa ha inizio e fine e trova il suo significato.
Si chiama Kora, il percorso circolare che viene compiuto in senso orario attorno alla montagna sacra, ed è la meta finale del pellegrinaggio per il quale sono necessari tre giorni, per pregare e compiere riti.
Il pellegrinaggio richiede un certo allenamento anche per via dell’ altitudine, per questo è previsto un accampamento a 5.000 metri.
Una organizzazione prepara il pellegrinaggio ogni anno da giugno a settembre al quale partecipano in totale 900 fedeli suddivisi in 16 gruppi. Si tratta di un faticoso trekking di 800 chilometri ad un’altitudine elevata, che attraversa alcuni dei più spettacolari paesaggi himalayani. Sospeso dopo l’invasione cinese del Tibet, il pellegrinaggio al Kailash e al lago sacro di Mansarovar è ripreso nel 1981 grazie ad un trattato bilaterale tra India e Cina.
Saga Dawa
Saga Dawa è la più importante festa annuale del Kailash, cade nel giorno di luna piena del quarto mese lunare (secondo il calendario tibetano), in questi giorni il gigantesco palo con le bandiere di preghiera, il Tarboche, viene abbattuto e le bandiere sostituite.
Pellegrini tibetani confluiscono nella zona da tutto il paese, spesso anche con parecchi giorni di anticipo, portando con sè merci e prodotti da vendere con il risultato di creare un considerevole e vivace movimento.
La cerimonia del palo che viene eretto e puntato ad est verso il Monastero di Gyangdrak è seguita dai monaci con appositi riti e con una cacofonia di corni, conchiglie ed altri strumenti per dare il benvenuto al nuovo innalzarsi del palo. Una volta completamente posizionato, i tibetani trarranno auspici dalla posizione finale del Tarboche.
LA GROTTA SACRA
Tempio di Amarnath
In una grotta situata in una valle glaciale del Kashmir si trova una stalagmite che è diventata da centinaia di anni un simbolo del dio Shiva, una delle divinità molto venerata e spesso onorata anche da persone di altre religioni. Il luogo sacro si trova a 3.800 metri al fondo di una stretta vallata a cui si accede dopo due o tre giorni di cammino. Si stratta di una formazione di ghiaccio che nel periodo da giugno ad agosto raggiunge il massimo della sua formazione crescendo e decrescendo secondo l’influenza della luna. In questo periodo migliaia di pellegrini raggiungono questo tempio, in numero così grande che le autorità hanno dovuto stabilire delle regole di iscrizione e delle modalità di partecipazione. Innanzi tutto i pellegrini devono avere sufficiente protezione dal freddo, devono essere registrati ed avere l’età superiore agli otto anni. Sono i saddhu che fanno da guida e regolano il movimento affinché non avvengano quei pericoli che possono essere generati da una così grande massa di persone. Vengono usati dei lunghi bambù per dissuadere chi non rispetta il proprio posto nella fila.
Lo spettacolo è suggestivo ed offre una esperienza eccezionale. I pellegrini attendono la luce del plenilunio per entrare nella grotta e coglierne la magia. Fra i pellegrini molte sono le coppie giovani che chiedono fecondità e un figlio maschio.
Questa tradizione ha una leggenda e dei riferimenti nei poemi epici antichi. La leggenda parla di un santo che regala ad un pastore una borsa piena di carbone. Il pastore arrivato a casa trova delle monete d’oro al posto del carbone. Corre a cercare il santo per ringraziarlo e trova la grotta. Secondo l’epopea locale invece la storia racconta che la valle del Kashmir era sotto l’acqua e che un dio in visita sull’Imalaia operò un drenaggio con fiumi e ruscelli.
La durezza del terreno del cammino è per i devoti che compiono il pellegrinaggio una prova che li può avvalere verso la felicità eterna.
Lo spettacolo è suggestivo ed offre una esperienza eccezionale. I pellegrini attendono la luce del plenilunio per entrare nella grotta e coglierne la magia. Fra i pellegrini molte sono le coppie giovani che chiedono fecondità e un figlio maschio.
Questa tradizione ha una leggenda e dei riferimenti nei poemi epici antichi. La leggenda parla di un santo che regala ad un pastore una borsa piena di carbone. Il pastore arrivato a casa trova delle monete d’oro al posto del carbone. Corre a cercare il santo per ringraziarlo e trova la grotta. Secondo l’epopea locale invece la storia racconta che la valle del Kashmir era sotto l’acqua e che un dio in visita sull’Imalaia operò un drenaggio con fiumi e ruscelli.
La durezza del terreno del cammino è per i devoti che compiono il pellegrinaggio una prova che li può avvalere verso la felicità eterna.